Come si sviluppano le emozioni di un bambino

Articolo di Erika Bruno

Le problematiche dello sviluppo richiamano l’attenzione su aspetti determinanti della dimensione familiare, in termini di gestione dei rapporti tra i membri e clima sperimentato. Tra le cause ambientali nello sviluppo delle anomalie di tipo cognitivo-comportamentale, quelle relative all’ambiente d’origine sono intese come determinanti.


La regolazione emotiva si esplica, fin dall’infanzia, secondo le modalità di socializzazione primaria: si ritiene che un esagerato controllo del genitore verso il comportamento manifestato dal figlio, unito ad aspettative negative, determini una maggiore vulnerabilità a sviluppare disturbi comportamentali per il figlio. Tale aspetto è profondamente legato alla questione degli stili educativi adottati e alla capacità di adattamento alle situazioni stressanti.
Lo psicanalista Winnicott (1984), nell’ambito degli studi sulle dinamiche intrapsichiche, conferisce al ruolo genitoriale materno, di cura e attenzione nel periodo infantile, l’importante funzione di favorire la giusta dose di fiducia in se stessi.
Il figlio così: «Supera tutti i limiti, mette alla prova la sua forza per rompere, distruggere, spaventare… e appropriarsi delle cose». È un momento in cui la madre funge da ‘oggetto’ e da ‘ambiente’, allo stesso tempo.
Secondo Winnicott, l’essere coinvolti da adulti nel circuito penale o il soffrire di disturbi psichiatrici, dipende proprio dall’impossibilità di sperimentare, in età infantile, e accedere al simbolico, a causa di figure genitoriali instabili emotivamente. Subentra, cioe’, una scarsa capacita’ di rapportarsi all’ambiente, un’inadeguatezza che si esplica anche nel non saper gestire le intime pulsioni e fantasie.
Il riferimento è, ancora una volta, agli stili educativi adottati, alla sicurezza dell’attaccamento, al modelling positivo (quindi imitabile), alla capacità di modulare affetto e norme e, in ultima analisi, alla cosiddetta ‘capacità riflessiva’.
Se la famiglia si dimostra inadeguata a svolgere questo compito, il ragazzo cercherà altri modi per formare la propria identità, seguendo regole proprie, con esiti incerti.
Scrive Winnicott:
«Quando un bambino ruba fuori da casa, sta cercando sua madre, ma la cerca con un senso di maggiore frustrazione e con un crescente bisogno di trovare, allo stesso tempo, l’autorità paterna che può porre un limite alle conseguenze reali del suo comportamento impulsivo e all’agire le idee che gli vengono quando è in stato di eccitazione» (1956).
La condotta antisociale, spesso, nasconde solo il tentativo di attirare l’attenzione di figure genitoriali altrimenti imprevedibili.
Lo stile educativo adottato è fortemente legato alla questione della competenza genitoriale, in termini di gestione dei rapporti interni ed esterni alla famiglia (sostegno sociale), di abilità di affrontare i conflitti, oltre alla capacità di definire limiti precisi.
Contrapposto al criticismo (ostilità e risentimento) si pone l’ipercoinvolgimemento emotivo (iperprotettività) verso il figlio, che viene controllato nei comportamenti e nei pensieri, dimostrando scarse aspettative in merito alle sue capacità. La critica cronica esprime la frustrazione covata in silenzio e una collera repressa.
Si afferma l’adeguatezza di uno stile genitoriale cosiddetto “autorevole” – basato su regole chiare, da far rispettare con fermezza, ma senza l’uso della coercizione nel disciplinare i figli, su una comunicazione efficace tra i membri e l’ascolto attento – rispetto ad una funzione “permissiva” o, all’opposto, “autoritaria”.

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