Come il bambino apprende tramite i neuroni specchio

Il ruolo dei primi anni di vita nella crescita del bambino è da tutti gli studiosi dello sviluppo riconosciuto come fondamentale e cruciale. Le relazioni che s’instaurano in questo periodo con le figure parentali andranno a plasmare e formare la mente del bambino ed estenderanno la loro influenza fin alle fasi più avanzate dello sviluppo (P. Venuti, C. Poderico, 2007).

Ma ciò che più vien naturale al bambino nei primissimi anni d’infanzia è proprio l’osservare come prima modalità di conoscenza del mondo; talvolta all’osservare segue il desiderio di riproporre attivamente ciò che si è posto dinanzi ai nostri occhi , dunque “imitare”.

Imitare significa riprodurre un modello comportamentale (Galimberti, 1992), sottolineandone  sia la funzione sociale sia un modo per poter diffondere le conoscenze acquisite dai singoli individui ad altri gruppi o da una generazione all’altra(Butterworth, 1983b). 

Possiamo considerare diversi filoni di ricerca,che talvolta si pongono in contrapposizione tra di loro, in merito alla questione secondo la quale l’imitazione rappresenti una capacità innata oppure che si sviluppi con il tempo;

da un lato, pertanto, facciamo riferimento a Piaget(1945), studioso ginevrino e fondatore dell’epistemologia genetica, il quale non prevede una capacità imitativa neonatale bensì ritiene che per imitare intenzionalmente sia necessaria una capacità rappresentativa, ragion per cui i comportamenti interpretati come imitativi nei primissimi mesi di vita sono riconducibili a meri riflessi.

Per contro Meltzoff (1982), noto psicologo americano ed esperto nel campo dello sviluppo infantile ,ha dimostrato che i bambini , fin dal primo mese di vita, sono in grado di imitare i movimenti della bocca o della lingua nonché del volto; difatti,in un esperimento(Meltzoff, Moore, 1994) i due autori osservarono neonati di sei settimane di vita intenti ad imitare un movimento di protrusione laterale della lingua attuato dallo sperimentatore e, nonostante non rientrasse nella branca dei pattern comportamentali innati, il neonato,in seguito a diversi tentativi, riuscì a menadito nell’impresa anche senza la presenza del modello imitativo.

Quindi il bambino piccolo, nell’interazione diadica, imita l’adulto e si fa imitare da questo, apprendendo così nuovi comportamenti.

Bandura (1977), ad esempio, esponente della teoria dell’apprendimento sociale, ha svolto una disamina sull’apprendimento osservativo nei bambini piccoli attraverso l’imitazione di un modello, il quale a sua volta rappresenta un’evidente attrattiva da parte del soggetto ma anche la motivazione ad eseguire un dato comportamento. Per analogia, vedendo lodare di frequente dall’insegnante un compagno che si impegna nello studio, il bambino cerca di imitare quel comportamento;allo stesso modo viene subito imitato anche il compagno che si comporta male ma riesce a farla franca. Bandura e Walters(1963) hanno chiamato questo processo rinforzo vicariante.

 È bene citare, a tal proposito, una delle prime e più famose ricerche di laboratorio sull’apprendimento osservativo( Bandura, Ross e Ross, 1961).

Un gruppo di bambini in età prescolare osservava le interazioni aggressive tra un pupazzo gonfiabile chiamato “Bobo” ed un modello adulto, che gli dava un pugno e lo colpiva sulla testa con un martello; in un gruppo di confronto, il modello giocava in modo non aggressivo con delle costruzioni di legno, mentre nel gruppo di controllo non c’era alcun modello. Più tardi i bambini erano condotti in una stanza che conteneva un certo numero di giochi aggressivi (il pupazzo Bobo, fucili giocattolo) e non aggressivi, inclusi i giocattoli utilizzati dal modello adulto in modo non aggressivo. I bambini che avevano osservato il modello aggressivo si comportavano in maniera molto più aggressiva rispetto ai bambini degli altri gruppi. L’aumento dell’aggressività è attribuibile all’apprendimento di nuovi comportamenti violenti oppure è ipotizzabile che l’osservazione di gesti aggressivi del modello determini una disinibizione che incoraggia il bambino a manifestare comportamenti già noti.

Questo studio suscitò scalpore poiché suggeriva la possibilità che l’esposizione a scene violente in televisione o nei film potesse incrementare i comportamenti aggressivi.

Ad ogni modo, l’apprendimento osservativo non rappresenta solo un normale processo di socializzazione, ma anche un possibile tipo di terapia per problemi di comportamento; per esempio può aiutare i bambini a superare le paure . Difatti in uno studio (Bandura, 1967), bambini di scuola materna con la fobia dei cani osservavano un coetaneo che si avvicinava pian piano ad un cane e giocava con lui; al termine della terapia, la maggioranza dei soggetti riusciva a dar da mangiare e a giocare con un cane, talvolta anche ad un mese di distanza dall’apprendimento osservativo.

L’imitazione,pietra miliare dell’apprendimento sociale, è tornata al centro del dibattito in seguito ai risultati della ricerca nel campo delle neuroscienze cognitive. Un interessante fenomeno è il riscontro, in soggetti che osservano un’altra persona compiere un’azione (come afferrare un oggetto), di uno schema di attivazione cerebrale identico a chi esegue effettivamente l’azione. Tale attività è attribuibile ad un sistema di neuroni definiti specchio (Rizzolatti e Craighero, 2004). Questo fenomeno suggerisce che le azioni eseguite e osservate siano codificate in un rete neurale e cognitiva comune, utile per consentire ai bambini di comprendere le intenzioni altrui e imitare i comportamenti diretti ad uno scopo.

 Il sistema dei neuroni specchio appare così decisivo per l’insorgere di quel terreno d’esperienza       comune che è all’origine della nostra capacità d’agire come soggetti non soltanto individuali ma anche e soprattutto sociali. Forme più o meno complicate d’imitazione, di apprendimento […] trovano un riscontro puntuale nell’attivazione di specifici circuiti specchio(Rizzolatti,Sinigaglia 2006).

Codesti ricercatori, dunque, ritengono che affinché ci sia imitazione o anche apprendimento osservativo, è necessario un sistema di controllo sui neuroni specchio che faciliti o inibisca l’attivazione degli stessi; se così non fosse replicheremmo qualsiasi tipo di atto motorio.                                                                                            Tale sistema di controllo, pertanto, potrebbe spiegare i comportamenti neonatali ; gli infanti possiederebbero un sistema di neuroni specchio, ma il loro sistema di controllo risulterebbe poco efficace a causa della scarsa mielinizzazione del lobo frontale.

 

FONTI:

–        Marcone, R. 0-24 Mesi. Lo sviluppo delle funzioni di base. Milano, Unicopli;

–        P.H.Miller, “Teorie dello sviluppo psicologico”, quinta edizione, Mulino;

 

                                                                                                             Articolo di Carla Tiscione

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