Cos’è l’Autopsia Psicologica

Edwin Shneidman, padre della suicidologia, definisce tale metodologia come: “ la ricostruzione retrospettiva della vita di una persona scomparsa con lo scopo di assistere il magistrato nel prendere una decisione nell’ambito del certificato di morte in modo da identificare la modalità di morte più appropriata (chiamate nel mondo anglosassone NASH: natural, accidental, suicide e homicide) nei casi in cui essa sembra equivoca o incerta (questa incertezza di solito si verifica nei casi di suicidio o incidente ).” La procedura venne sviluppata al Centro per la Prevenzione del suicidio di Los Angeles nel 1958 su specifica richiesta del dott. Theodore Curphey. Nel 1961 dunque, due psicologi, Edwin Shneidman e Norman Farberow elaborarono il primo modello di autopsia psicologica basato sull’intervistare persone che conoscevano il deceduto per ricavare informazioni circa l’intenzione del deceduto di aver cercato la morte. Il metodo individuato si divide in 16 categorie:

  1. Informazioni d’identità ( nome, età, indirizzo, sesso, stato coniugale, occupazione, religione)
  2. Dettagli della morte (rapporti di polizia)
  3. Storia personale ( fratelli, malattie e terapie, tentati suicidi)
  4. Storia dei decessi in famiglia
  5. Modelli di reazione allo stress
  6. Tensioni e/o scontri recenti
  7. Ruolo dell’alcol e/o delle droghe nello stile di vita e nella morte dello scomparso
  8. Relazioni interpersonali
  9. Fantasie dello scomparso
  10. Sogni dello scomparso (incubi)
  11. Pensieri e paure dello scomparso in relazione alla morte, agli incidenti o al suicidio
  12. Cambio di abitudini, hobbies, alimentazione, modelli sessuali o di altre routines di vita immediatamente precedenti la morte
  13. Informazioni relative la “visione” di vita del deceduto ( obiettivi, aspirazioni, successi)
  14. Valutazione di interazione ( ruolo dello scomparso/a nella sua morte)
  15.  Tasso di reazione letale degli informatori relativa alla morte del deceduto
  16. Commenti ed annotazioni speciali

Il modello risponde ad una duplice finalità:

a) Elaborare un profilo vittimologico nei casi di omicidio che serva a fornire informazioni utili per la ricostruzione di un profilo dell’offender, coadiuvando in tal senso le indagini

b) Alleviare alcuni sensi dei sentimenti di colpa e vergogna nei sopravvissuti con un conseguente effetto terapeutico.

Occorre tuttavia sottolineare che Shneidman definì tale metodologia di intervista dei sopravvissuti come “un misto di conversazione, colloquio, supporto emotivo, domande generali ed una buona dose di ascolto” specificando inoltre che le aree sopra descritte dovevano essere intese quali semplici linee guida per la conduzione delle autopsie psicologiche piuttosto che rigide strutture di intervista.

Il dott. Robert Litman nel 1963 riprese tale modello e ne identificò uno ulteriore, orientato sulla ricostruzione in senso biografico del soggetto, enfatizzando aspetti come il suo stile di vita, la personalità, gli stress recenti, l’infermità mentale e l’enunciazione di idee orientate alla morte focalizzando l’attenzione sulle ultime ore e gli ultimi giorni. Risultava chiaro che il metodo per essere applicato doveva essere la risultante di un lavoro in equipe, quindi in collaborazione con le forze di polizia, il medico legale, gli psichiatri ecc. pertanto nel 1968 Avery Weisman denominò il gruppo di investigatori che conducevano l‘autopsia psicologica Death Investigation Team ( DIT) e la relativa intervista come Structured Interview of Reported Symptoms volta ad investigare i sintomi veri o presunti denunciati nel corso della vita o negli ultimi giorni di vita del soggetto. Purtroppo però veniva rilevato un punto debole alla nuova metodologia: ovvero la mancanza di una procedura standard da seguire per stabilire come si andrà a realizzare, ragione per la quale gli investigatori misero in discussione la validità e l’affidabilità del procedimento. Altri studiosi, come Ebert , Young ed Annon elaborarono rispettivamente nel 1987, nel 1992 e nel 1995 altri modelli di autopsia psicologica per arrivare ad una standardizzazione. In particolare: il primo, Ebert, individuò quattro obiettivi fondamentali da perseguire attraverso l’Autopsia Psicologica nei casi di suicidio:

  • Stabilire le modalità della morte
  • Determinare il perché lo scomparso scelse quel momento e quel luogo per porre fine alla sua vita
  • Imparare e valutare le tendenze suicide per porre in atto azioni preventive e terapie che impediscano alle persone di raggiungere livelli potenzialmente pericolosi
  • Fornire una spiegazione riguardo la perdita del loro caro ai familiari e agli amici dello scomparso,

Young ampliò le categorie individuate da Shneidman arrivando ad elencarne 26:

1) Storia del consumo alcolico
2) Note sul suicidio
3) Scritti e diari
4) Libri
5) Valutazione delle relazioni interpersonali nel giorno prima della morte
6) Valutazione del rapporto coniugale
7) Umore e stato d’animo
8) Fattori di stress psico sociali
9) Comportamenti pre-suicidi
10) Lingua
11) Consumo di droghe
12) Storia medica
13) Esame riflessivo dello stato mentale , della condizione del deceduto prima della sua morte
14) Storia psicologica
15) Studi ed analisi di laboratorio
16) Rapporto medico-legale
17) Valutazione delle motivazioni
18) Ricostruzione degli eventi
19) Pensieri e sentimenti riguardo la morte
20) Storia militare
21) Storia familiare
22) Storia delle morti familiari
23) Storia lavorativa
24) Storia scolastica
25) Familiarità del deceduto con i metodi di morte
26) Rapporti di polizia

Nel 1995 Annon propose inoltre oltre all’attento esame della scena dove accaddero i fatti:

  • la valutazione di foto e registrazioni in video della scena stessa
  • lo studio dei documenti concernenti il fatto
  • la raccolta dei documenti riguardanti la vittima prima della sua morte
  • Le interviste a persone informate sui fatti e degli antecedenti quali i membri della famiglia, testimoni oculari, amici, conviventi ecc..

Ma l’ulteriore elaborazione di un modello di AP venne sviluppato a Cuba prendendo come quadro teorico le investigazioni di Litman, Terroba e Saltijeral. Il modello, basato su 59 ITEMS, è strutturato in modo tale che il margine di errore sia ridotto al minimo. Il MAP ( Modelo de autopsia psicologica) venne creato attraverso la revisione dei modelli, delle scale di valutazione, delle guide e dei formulari tratti dai lavori precedenti. Successivamente vennero incorporati altri items ed il modello cosi perfezionato prese il nome di MAPI ( Modelo de Autopsia Psicologica Integrado). Gli operatori che lo utilizzano per evitare che s’includano elementi soggettivi durante la valutazione del caso non solo devono attenersi strettamente al manuale ma devono utilizzare particolari accorgimenti tali da permettere che l’intervista fluisca liberamente come ad esempio comprendere il meccanismo di negazione nei familiari sopravvissuti. In quanto alla connotazione scientifica il MAPI è stato validato dal Ministero della Salute Pubblica di Cuba in particolare dall’Istituto di Medicina Legale della Citta de la Habana attraverso tre investigazionj realizzate tra il 1990 e 1996 sulle vittime di suicidio, omicidio ed incidenti, procedendo in tre fasi ed applicando il metodo ad almeno due familiari, conviventi o vicini al soggetto. L’intervista venne realizzata in forma indipendente e privata, previa analisi del rapporto medico-legale. Il risultato ottenuto comprovava l’affidabilità del metodo basato sul reperimento di informazioni da terze persone ed inoltre dimostrava che il tempo ottimale per realizzare le interviste poteva essere esteso anche ai 6 mesi dopo il decesso poiché in tale lasso di tempo si conserva la nitidezza del ricordo, trascorso tale periodo la rielaborazione del lutto può inficiare l’obiettività causando magari l’idealizzazione del deceduto. Infine, a tutt’oggi l’utilizzo dell’Autopsia Psicologica nel nostro paese è ancora piuttosto limitato, complice anche la mancanza di un quadro normativo ben definito che permetta la configurazione di prova disciplinata dalla legge, nonostante la sua validità sia ampiamente acclarata.

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