Le teorie delle emozioni in psicologia: definizione, riassunto

Articolo di Katsiaryna Valko

Le emozioni in quanto espressioni della vita umana e animale sono state studiate da epoche remote. Già i filosofi greci si sono occupati della loro definizione[1]. Aristotele per esempio espose la sua visione delle emozioni in varie opere. Possiamo schematizzare tale visione in questa maniera: le credenze generano emozioni, da cui discendono delle azioni. Perché questo accada è necessario che una credenza sia valutata attraverso un procedimento razionale che produce quindi le emozioni, in un secondo tempo la percezione emotiva causerà un’azione. Secondo questo schema risulta che le emozioni possano essere tenute sotto controllo e ciò contraddice l’idea di Platone che pensava fossero incontrollabili e quindi nocive.

Nell’età moderna, Cartesio[2] dà una rappresentazione delle emozioni secondo una teoria dualistica nell’ambito dei rapporti tra emozioni e cervello, per cui distingue tra proprietà puramente umane e quelle animali a cui le emozioni appartengono (“esprit de bete”). In pratica, introduce una separazione tra ragione ed emozione. Quindi Cartesio distingue le passioni, che ci forniscono informazioni su modificazioni importanti del corpo, dalle emozioni che ci informano sui mutamenti significativi dell’anima. Inoltre, Cartesio per primo individua un certo numero di emozioni di base, e cioè: la gioia, l’infelicità, l’odio, l’amore, il desiderio, la meraviglia. Il loro mescolarsi, per Cartesio, genera le emozioni più articolate.

Secondo le teorie odierne, l’amore non è compreso tra le emozioni di base perché si caratterizza per la sua persistenza, il desiderio viene ritenuto più una pulsione che un’emozione, cioè un impulso che garantisce il mantenimento di un rapporto equilibrato tra l’ambiente e il corpo. Invece, la meraviglia oggi è intesa come emozione di base solo se è equiparabile alla sorpresa, in quanto lo stupore non può essere definito un’emozione.

Comunque fino a tutto il XVIII ° secolo compreso, le emozioni sono state considerate nell’ambito delle varie teorie filosofiche e solo nel XIX°  esse vengono studiate sotto il profilo scientifico, più specificatamente biologico. L’antesignano di questi studi è stato Charles Darwin. Nel suo libro “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali[3](1872), formulò l’ipotesi che molte delle espressioni facciali delle emozioni avessero un significato adattativo, cioè in senso evoluzionistico e che tali espressioni fossero universali. Inoltre egli riteneva che le espressioni delle emozioni fossero legate a degli aspetti fisiologici. Tali correlati fisiologici sono stati studiati da Darwin al fine di poter verificare se essi avessero ugualmente un significato adattativo, in tal senso molti aspetti delle nostre emozioni, che ritroviamo in parte anche negli animali, sono residui comportamentali di una lontanissima epoca preistorica in cui hanno svolto una loro funzione. Darwin condusse le sue prime ricerche sulla muscolatura facciale e sui loro nervi e scoprì che i primati non umani hanno gli stessi muscoli facciali dell’uomo. Ciò rappresentò un’importante novità in quanto in quell’ epoca si riteneva che tali muscoli fossero tipici solo degli esseri umani e che con essi si potessero esprimere i propri sentimenti.

Successivamente William James[4] nel 1884 fece riferimento a processi neurofisiologici in base a quali si determina l’emozione; cioé un “sentire” quei mutamenti neurovegetativi a livello viscerale in seguito ad un impulso scatenante. Dunque siamo di fronte ad un processo retroattivo dalla periferia dell’organismo al sistema nervoso centrale che è alla radice dell’esperienza emotiva. Tale teoria prende il nome di “teoria periferica”. Da semplice percezione dell’evento induce quindi a ciò che è emotivamente sentito, per cui le emozioni sono la conseguenza e non l’anticipazione di mutazioni fisiologiche periferiche. L’attivazione fisiologica è fondamentale per definire l’emozione  come un particolare processo psichico. Infatti, senza questo tipo di attivazione non si può parlare di emozioni.

In Europa, interpretazioni simili furono proposte intorno al 1885 da C. Lange, un medico che fornì contributi scientifici in vari campi: la neurologia, la psichiatria e la psicologia. Egli evidenziò come la complessità e l’integrazione di differenti risposte sensoriali e fisiche portino a provare emozioni diverse dove i livelli di intensità e di sfumature derivano dalla diversità degli stimoli originari.

Dopo James gli studi sperimentali delle emozioni, condotti da W. Cannon e P. Bard intorno al 1927, portarono a contestare le idee di James-Lange[5]. Essi proposero in alternativa una teoria delle emozioni in contraddizione all’idea di James basandosi sul fatto che i visceri sono caratterizzati da scarsa sensibilità e quindi non possono essere ritenuti l’origine delle emozioni.  Secondo questo autore le emozioni sorgono a livello cerebrale in aree del sistema nervoso centrale che sono predisposte all’elaborazione e all’organizzazione degli stimoli sia interni che esterni, da cui vengono successivamente propagate sia a livello viscerale che cognitivo.

Cannon analizzò in dettaglio la reazione emotiva presentata in situazioni di emergenza, in cui il soggetto percepisce una condizione di minaccia che lo porta a dover scegliere tra l’attuare una delle due strategie di difesa: il combattimento o la fuga. Ne dedusse che determinate reazioni neurofisiologiche, come l’aumento della frequenza cardio-respiratoria, della glicemia e della vasocostrizione a livello degli organi interni a favore dell’apparato muscolare, costituiscono una risposta organica che aumenta le probabilità di sopravvivenza di un individuo a fronte di condizioni ambientali variabili e imprevedibili. In pratica, il cervello attiverebbe contemporaneamente una risposta emozionale a supporto di quella fisiologica così da potenziare e ottimizzare, ai fini della sopravvivenza, la risposta dell’individuo attuata di fronte a situazioni esterne.

Negli anni ’60 un altro psicologo statunitense, S. Schachter[6] elaborò una teoria che metteva in relazione le emozioni con uno stato di eccitazione neurofisiologica (“arousal”), provocato dall’interagire di due elementi, uno di natura psicologica e uno fisiologica, da cui la denominazione di “teoria dei due fattori”. Secondo Schachter, le risposte fisiologiche pilotate dal sistema nervoso autonomo, vengono interpretate dal soggetto alla luce sia del contesto situazionale che degli stimoli che le hanno provocate, come pure in base agli atti cognitivi che vi si relazionano e alle precedenti esperienze di vita. L’emozione scaturirebbe, quindi, secondo l’interpretazione di Schachter, dalla combinazione tra uno stato di eccitazione neurofisiologica che costituisce il primo fattore, e una coppia di atti cognitivi, di cui il primo, relativo alla percezione degli stimoli e alla loro elaborazione finalizzata a poter identificare la situazione da cui scaturisce l’emozione mentre il secondo mette in relazione il precedente con lo stato di attivazione psico-fisiologica, permettendo all’individuo di interpretare le risposte viscerali percepite. Pertanto le emozioni vengono considerate come interpretazioni delle situazioni esterne attraverso atti cognitivi di natura soggettiva. Schachter, insieme allo psicologo J. Singer, effettuò una serie di esperimenti psicologici su gruppi di persone per verificare la validità del suo modello e avvalorarne così l’autenticità. La teoria dei “due fattori” stimolò il dibattito riguardante i rapporti tra emozioni e cognizione. Da qui discendono le teorie dell’”appraisal[7]” secondo cui le emozioni sono in una relazione di dipendenza dalla modalità con cui gli stimoli ambientali fisici e sociali vengono interpretati e valutati dalle persone.

Dunque non è la natura della circostanza a provocare le emozioni, ma è l’interpretazione che un soggetto dà dell’evento in funzione del suo benessere a farlo; ne consegue che uno stesso stimolo sia soggetto ad una valutazione diversa dall’individuo e in tal modo provochi emozioni differenti, ad esempio: trovandosi di fronte ad un impedimento un soggetto può provare paura nel caso che lo valuti un qualcosa di pericoloso, mentre un altro può sentire collera valutandolo semplicemente come un ostacolo.

Negli ultimi anni si sono formulate diverse ipotesi riguardo alla capacità dell’uomo di provare emozioni,  qui ne presentiamo due: la teoria di Plutchik e la teoria di Ekman. In primo luogo prenderemo in considerazione la teoria di Plutchik.

Egli sostiene che vi siano otto emozioni fondamentali, raggruppate in quattro paia di opposti: gioia\tristezza, affetto\disgusto, collera\paura e aspettativa\sorpresa. Una discussione ancora aperta riguarda il numero di emozioni di base. Un modo per determinare questo numero di base, sarebbe quello di prendere in considerazione solo i diversi tipi di espressioni facciali che si possono riconoscere negli altri. Infatti, secondo l’idea di Plutchik, le altre emozioni sono derivate dalle combinazioni di queste espressioni di base riconoscibili[8].

Riteniamo utile di soffermarci sulla teoria proposta da Ekman i cui studi pionieristici sulle emozioni in relazione con le espressioni facciali hanno condotto alla creazione di un atlante delle emozioni con più di diecimila di queste espressioni.

Le sue scoperte sono state pubblicate in un libro dal titolo “Emotions revealed[9]”. Esso tratta delle emozioni e delle loro relazioni con le espressioni facciali, nonché dei modi più appropriati per capire, riconoscere e gestire tali relazioni.

 

[1] Barthes, R., (1972), La retorica antica, Bompiani, Milano.

[2] Cartesio, R.,  (2003), Passioni dell’anima, Bompiani, Italia.

[3] Darwin, C., L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, traduzione italiana Longanesi, Milano, (1972).

[4] James, W., (1884), What is Emotion?, Mind, Vol.9, No.34, pp. 188-205.

[5] Cannon, W.B., (1927), The James-Lange theory of emotions: A critical examination and alternative theory, American Journal of Psychology, 39, pp. 106-126.

[6] Schachter, S., Singer, J., (1962), Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State, Psycological Review, 69, pp.379-399.

[7] Anolli, L., (2002), Le emozioni, Edizione Unicopi, Milano, p.39.

[8] Plutchik, R., (1995), Psicologia e biologia delle emozioni, Bollati Boringhieri.

[9] Ekman, P., (2003), Emotions revealed, second edition: Recognizing faces and feelings to improve communication and emotional life (2nd Ed.), Henry Holt and Company, New York.

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