Leadership: competenza, calore e moralità

triangolo della leadershipSecondo Il Modello del Contenuto degli Stereotipi (SCM; Cuddy, Fiske & Glick, 2008; Fiske, Cuddy, Glick & Xu, 2002), sono due le principali dimensioni su cui si fonda la percezione sociale: competenza e calore. Queste dimensioni sono influenzate rispettivamente dalla competizione intergruppi e dallo status dell’outgroup. In particolare quanto più elevato è lo status, tanto maggiore è la competenza percepita di un outgroup, mentre la competizione accentua la mancanza di calore (Fiske, Xu, Cuddy, Glick, 1999).

Inoltre la combinazione della presenza o meno di competenza e calore elicita diverse emozioni verso l’outgroup: ammirazione, disprezzo, invidia, pietà (Figura 2).

Figura . Emozioni prodotte dai diversi livelli di competenza e calore

 SCM11

 Secondo Fiske, Cuddy e Glick (2006), queste percezioni sociali, come tutte le percezioni, riflettono ragioni evoluzionistiche. Proprio come per tutti gli animali, anche gli uomini hanno bisogno di determinare in poco tempo se l’altro è amico o nemico. Per questo chi è percepito come caldo e competente elicita emozioni positive (ammirazione), mentre chi non è percepito né come caldo né come competente determina emozioni uniformemente negative (disprezzo). Coloro i quali sono classificati come caldi ma non competenti, o viceversa, elicitano prevedibilmente reazioni comportamentali e affettive ambivalenti (rispettivamente, il pregiudizio invidioso e quello paternalistico). Nel pregiudizio invidioso i membri dell’outgroup sono giudicati competenti, ma privi di calore; nel pregiudizio paternalistico i membri del gruppo target sono percepiti come caldi, ma incompetenti, esso è tipico dei dominanti nei confronti di subordinati percepiti come non minacciosi.

I risultati sperimentali degli studi di Judd, James-Hawkins, Yzerbit e Kashima (2005) mostrano come ci sia un meccanismo compensatorio tra competenza e calore: quando un oggetto sociale è percepito come molto competente tenderà ad essere percepito come poco caloroso e viceversa. Alcuni risultati di ricerca mostrano, inoltre, come questo meccanismo di compensazione sia accentuato nel caso in cui nel contesto comparativo sia presente un gruppo dalle caratteristiche opposte (Kervyn, Yzerbit, Demoulin & Judd, 2008).[1]

Uno studio cross-culturale di Cuddy, Fiske, Kwan, Glick, Demoulin et al. (2009) ha confermato l’universalità di questo modello nelle sue caratteristiche principali, e alcune differenze. In questo studio (N = 1028) sono stati considerati sette paesi europei e tre paesi dell’est asiatico; i paesi europei, seguendo una categorizzazione usata da Markus e Kitayama (1991) sono considerate culture individualistiche, mentre i paesi dell’est asiatico sono considerate culture collettivistiche.[2] Dallo studio cross-culturale risultano confermate tre ipotesi nelle 10 nazioni studiate (ibidem, 2008, p.10):

  1. calore e competenza percepiti differenziano gli stereotipi sociali di gruppo in maniera affidabile;
  2. vengono associati spesso stereotipi ambivalenti agli outgroup (alto calore, bassa competenza o bassa competenza e alto calore);
  3. i gruppi di alto status stereotipicamente sono competenti, mentre i gruppi competitivi stereotipicamente manca il calore;

Si è trovata, invece, una differenza tra le culture analizzate: le culture collettiviste non posizionano la propria cultura nel cluster positivo (alto calore e alta competenza) così come fanno le culture individualistiche.

Leach, Ellemers e Barreto (2007, p. 236) rilevano come, nel valutare le dimensioni della percezione sociale, sia stata tralasciato un aspetto centrale, cioè quello della moralità: “l’importanza della moralità non è chiara in quanto in alcuni studi che hanno considerato la moralità, essa è stata confusa con altre caratteristiche come la dominanza e la socievolezza”; infatti, è possibile per un gruppo essere morali senza essere socievoli, come è possibile essere morali senza essere competenti, e viceversa. In questo studio, le autrici notano come la teoria della identità sociale (Tajfel, 1974) assume che qualunque caratteristica utilizzata per definire l’ingroup possa consentire di stabilire una sua valutazione positiva. Quindi, come è possibile utilizzare la competenza o il calore per formulare questa valutazione positiva, è possibile utilizzare anche la moralità. La caratteristica più usata è la competenza, tuttavia come rilevano Tajfel e Turner (1979), quando c’è un divario nella competenza dei gruppi di confronto, il gruppo di basso status utilizza strategie di “creatività sociale” per affermare la valutazione positiva dell’ingroup, ovvero affermano di disporre di una minore competenza, ma aumenta il favoritismo dell’ingroup per quanto riguarda un’altra caratteristica, ad esempio il calore. Esistono alcune evidenze relative all’uso della moralità come caratteristica di valutazione positiva del proprio ingroup nelle strategie di creatività sociale.

Leach, Ellemers et al. (2007, Studio 1) hanno chiesto a 84 studenti universitari di definire quanto fossero importanti moralità, calore e competenza, valutandole su 9 tratti (tre per fattore) per il proprio gruppo. Dall’analisi fattoriale confermativa si è trovata una buona struttura fattoriale, come previsto a tre fattori, con tutte le saturazioni statisticamente significative. La distinzione tra i tre fattori è inoltre sottolineata dal fatto che solamente la moralità era correlata con la correttezza, solamente la competenza dell’ingroup era correlata con il successo, solamente la socievolezza era correlata con la comunanza. La varianza spiegata durante la prima estrazione dell’analisi fattoriale è massima per la moralità (32.98%), seguita da competenza (15.64%) e calore (6.95%). Chiedendo ai partecipanti quale fosse l’importanza, in valore assoluto, di ogni tratto, i tratti relativi alla moralità sono stati considerati come più importanti (M = 6.93, DS = .65).  Per verificare la bontà di questa struttura fattoriale, in un secondo studio si è chiesto, in maniera meno diretta, tra diversi tratti quali fossero importanti per la valutazione positiva dell’ingroup, creato sperimentalmente (gruppi quasi-minimali). Anche in questo secondo studio la struttura fattoriale (analisi fattoriale esplorativa) rimane invariata a tre fattori: calore, competenza e moralità. Nello Studio 2 si è voluto, inoltre, valutare il legame tra identificazione con l’ingroup e attribuzione all’ingroup di tratti di  calore, competenza e moralità, con l’ipotesi, poi verificata, che l’identificazione fosse maggiormente predittiva dell’attribuzione dei tratti di moralità, rispetto ai tratti di competenza e calore.

Alcune manipolazioni sperimentali di moralità e competenza nello Studio 3, moralità e calore nello Studio 4, hanno mostrato che solo la moralità dell’ingroup influenza gli aspetti del concetto di sé a livello di gruppo nelle valutazioni positive. Coerentemente con questo risultato, l’identificazione con gruppi creati sperimentalmente e naturali ha influenzato positivamente l’attribuzione della moralità all’ingroup, cosa che non accade con la competenza.

Nella ricerca sulla leadership ci sono diverse caratteristiche del leader che possono essere ricondotte alla competenza, come intelligenza, capacità concettuali, di decisione nel giudizio, altre al calore come abilità interpersonali e sociali (vedi ad es., Stogdill, 1974). Anche gli studi relativi al comportamento del leader, cioè l’orientamento alle relazioni interpersonali (ad es., consideration) e l’orientamento al raggiungimento degli obiettivi (ad es., initiation structure) possono essere ricondotti alle due dimensioni fondamentali del giudizio sociale previste dalla teoria di Fiske et al (2002).[3]

Altri aspetti che spiegano perché la teoria del contenuto degli stereotipi di Fiske et al. (2002) può essere d’aiuto nel comprendere la leadership sono:

1. la teoria dello scambio tra leader e membro, che fonda il suo funzionamento sulla norma di reciprocità;

2. il concetto di leadership come profondo processo relazionale ed emozionale.

La teoria sullo scambio tra leader e membro.

La ricerca sullo scambio leader-membro (Dansereau, Graen, & Haga, 1975) ha mostrato come esso sia legato positivamente ad esiti positivi in ambito lavorativo, questo accade perché all’aumentare degli scambi tra leader e dipendenti nell’organizzazione aumentano i benefit tangibili che riguardano la possibilità di influenzare le decisioni aziendali, l’avanzamento di carriera, e l’aumento della retribuzione e quelli intangibili, relativi cioè alla comunicazione con i leader, e alla relazione basata sulla fiducia.

 

La norma di reciprocità

 

La teoria dello scambio leader-membro (LMX), si basa sulla norma di reciprocità (Mauss, 1925;[4] Gouldner, 1960, Cialdini 1986). La norma di reciprocità è una norma per cui si tende a ricambiare un dono, concreto o astratto che sia. La diffusione di questa norma è stata studiata sostanzialmente in tutte le culture e definita nell’articolo di Gouldner (1960), il quale dà una spiegazione evoluzionistica allo sviluppo di questa norma. Alvin Gouldner, antropologo e sociologo, definisce il concetto di reciprocità, inquadrandolo non solo come una norma implicita che è stata funzionale all’evoluzione e alla sopravvivenza dell’uomo primitivo, ma anche come principio di coesione sociale. La pervasività di questa norma ha permesso ad alcuni di parlare addirittura di uomo-in-reciprocità o di homo reciprocus (Becker, 1950). Scrive Hobhouse (1906, p.12) “la reciprocità pervade ogni aspetto della vita primitiva”; questa norma, infatti, è stata fondamentale alla sopravvivenza della specie secondo alcuni teorici, in quanto la reciprocità, il dare con l’aspettativa di avere un ritorno, ha consentito, nelle società primitive, una rete di scambi di risorse funzionale alla sopravvivenza. Per Gouldner, questo non è tutto, in accordo con Simmel che afferma: “la coesione e l’equilibrio sociale non possono esistere senza la norma della reciprocità” (Simmel, 1950, p.387). Con Simmel, cioè, non c’è più solo una funzionalità nella sopravvivenza della specie in discussione, ma anche la coesione e l’equilibrio sociale tra i meriti della reciprocità. La reciprocità è considerata una norma universale. Gouldner critica le correnti relativiste della reciprocità, che postulavano una reciprocità come relativa solo ad alcune culture, e scrive: “può essere ipotizzato che la norma di reciprocità è universale […] credo, che la norma di reciprocità non sia meno universale del tabù dell’incesto, sebbene, similarmente ad esso, può variare in base al contesto culturale e al periodo storico” (Gouldner, 1960, p.171).

Per Gouldner la norma di reciprocità ha due aspetti principali:

a)      le persone dovrebbero aiutare chi ha aiutato loro in passato;

b)      le persone non dovrebbero danneggiare chi ha aiutato loro in passato.

Gouldner distingue, inoltre, la reciprocità eteromorfica dalla reciprocità omomorfica. La prima prevede che “le cose scambiate possono essere diverse tra di loro in concreto ma dovrebbero essere equivalenti in valore”, mentre la reciprocità omomorfica “prevede che le cose scambiate dovrebbero essere in concreto simili, o identiche tra di loro” (Gouldner, 1960, p. 172). Un esempio perfetto di reciprocità omomorfica negativa è la lex talionis (o legge del taglione), principio di diritto utilizzato nelle popolazioni antiche per cui chi aveva prodotto un danno doveva subirlo in eguale misura, legge la cui “enfasi è stabilita non nello scambio di vantaggi, ma nella riproduzione dei danni” (Gouldner, 1960, p. 173).

Il principale dato che non ha preso in considerazione Gouldner, ma che è stato trovato dalla ricerca successiva sul concetto di reciprocità, sta nel fatto che nello scambio di reciprocazione spesso non si scambiano beni equivalenti in valore: il valore dei beni scambiato può essere diverso. Altro aspetto trascurato da Gouldner è il valore simbolico che possono avere i beni scambiati[5]. Per questo motivo, nelle organizzazioni, all’aumentare degli scambi tra leader e membro, aumentano i benefici tangibili e intangibili, aumenta la tendenza a ricambiare. Secondo la letteratura, questa tendenza a ricambiare si esprime mediante aumenti della soddisfazione lavorativa, della performance lavorativa e dei comportamenti di cittadinanza organizzativa.

La leadership come profondo processo relazionale ed emozionale.

Recentemente le emozioni sono state oggetto di interesse nello studio della vita organizzativa,[6] sia per quanto riguarda lo studio delle decisioni economiche sia dal punto di vista della leadership. L’assunto economico per cui l’uomo (homo oeconomicus) tende unicamente a massimizzare l’utile, era stato già messo in crisi del premio Nobel Herbert Simon (1955), con la teoria della razionalità limitata. Gli studi sulla violazione dei principi di razionalità nelle decisioni umane (Kahneman, 1994, 2003a, 2003b; Tversky & Kahneman, 1974, 1981, 1986, 1992), hanno portato sempre di più l’attenzione dei ricercatori ai processi emotivi che determinano le scelte umane. In ambito organizzativo, il ruolo delle emozioni nelle scelte e nei processi relazionali era stato già preso in considerazione da Fineman, che nel 1993, ha definito le organizzazioni come arene emotive, e ha sostenuto come molti degli obiettivi organizzativi, le strategie di azione, il modo di organizzare e gestire le persone risultano poco comprensibili se si resta solamente sul piano razionale.[7] Dal punto di vista di George (2000 p. 1046), la leadership è un “processo caratterizzato dalle emozioni, sia dalla prospettiva del leader, sia da quella del seguace.” La teoria degli eventi affettivi di Weiss e Cropanzano (1996) afferma che le reazioni emotive dei dipendenti hanno un’influenza diretta sui loro comportamenti e atteggiamenti. Alcuni studi mostrano che le emozioni negative (rabbia, paura) e positive (gioia, piacere), hanno un impatto su molti costrutti come il benessere, la soddisfazione lavorativa, la performance, la creatività, il turnover e i comportamenti prosociali (Greenberg,  Ashton-James, & Ashkanasy, 2007; Cropanzano, James & Konowsky, 1993; Lyubominrsky, King & Deiner, 2005; Wright & Cropanzano, 2004). I leader possono comunicare e condividere, attraverso le loro emozioni, significati e valori comuni (Avolio, Howell, & Sosik, 1999; Damen, van Knippenberg & van Knippenberg, 2008; Van Maanen & Kunda, 1989), ma possono anche comportarsi in un modo che evochi certe emozioni.

Le emozioni previste nella teoria del contenuto degli stereotipi (Fiske et al. 2002; vedi Figura 2)  possono essere ricondotte alle emozioni positive, proposte da Haidt, 2003) che lodano gli altri (otherpraising emotion) ovvero elevazione, gratitudine e ammirazione.

L’Elevazione rappresenta la risposta emozionale alle azioni che esprimono bellezza morale e virtù. La Gratitudine è la sensazione che deriva dall’essere beneficiari dell’azione morale di un altro individuo che prescinde da aspetti utilitaristici. L’Ammirazione corrisponde al sentimento delle persone quando osservano in altri individui una serie di abilità, talenti o successo (Haidt & Keltner, 2004). L’ammirazione nei confronti del leader, dunque, è un’emozione positiva che in un ambiente di lavoro potrebbe influenzare positivamente atteggiamenti e comportamenti organizzativi, può essere determinata dalle attribuzioni al leader dei tratti di competenza e calore.

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[1] Ad esempio se includiamo nello stesso contesto comparativo italiani, stereotipicamente calorosi e poco competenti, e tedeschi, stereotipicamente freddi e competenti, le differenze tra di loro si accentueranno: seguendo l’esempio, dunque, i tedeschi, stereotipicamente freddi, appariranno ancora più competenti e meno calorosi, mentre gli italiani appariranno ancora più calorosi e meno competenti.

[2] Alcuni autori considerano questa classificazione come una semplificazione troppo grossolana del ben più complesso processo di interazione e continuo cambiamento delle culture (Mantovani, 2008). Queste classificazioni, inoltre, tendono a cristallizzare la cultura, sottovalutando le sue caratteristiche di processo. Considerare la cultura come un fenomeno bidimensionale appiattisce la cultura.

[3] “Consideration” e “initiation structure” sono due dimensioni del comportamento del leader, identificate negli studi denominati Ohio State Leadership Study (Stogdill, 1974; vedi anche ad es., Tracy, 1987; Judge, Piccolo, Ilies, 2004). I comportamenti legati alla dimensione “consideration” possono essere associati alla percezione di calore, infatti, si riferiscono all’orientamento relazionale, la tendenza a considerare il dipendente come un proprio pari; i comportamenti legati alla dimensione “initiation structure” possono essere associati alla percezione di competenza, questi comportamenti si riferiscono al mantenere degli standard di performance.

[4] E’ il sociologo e antropologo Marcel Mauss uno dei primi autori a focalizzarsi sul principio di reciprocità, in particolare questo autore prevedeva una vera e propria economia del dono, basata sullo scambio di reliquie di leader politici e religiosi. Nel pensiero di Mauss l’economia del dono prevedeva scambio di beni che avevano un valore soprattutto simbolico, le reliquie religiose, simbolicamente, rappresentavano il contatto con l’aldilà.

[5] Molto spesso lo scambio, in azienda, è fatto anche di beni intangibili. Come notava lo stesso Marcel Mauss, nell’Ottocento, lo scambio di reliquie appartenute a santi non avevano valore in quanto tali, ma in quanto consentivano il contatto col divino, il loro valore era dunque simbolico.

[6] Come abbiamo visto in precedenza, l’emozione ha un ruolo cruciale anche delle teorie psicoanalitiche e nella psicologia delle folle. Tuttavia, in questi casi l’emozionalità è letta più come irrazionalità e regressione primitiva, nelle teorie più recenti l’emozione non ha una accezione negativa, né è necessariamente opposta alla razionalità.

[7] Dal punto di vista di Damasio (1995), emozioni e cognizioni non sono processi realmente separabili.

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