Burnout: una definizione

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Maslach (1976, 1982) definisce il burnout come una sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e ridotta efficacia professionale, che può presentarsi in soggetti che, nella vita professionale, lavorano a contatto con le persone. Si tratta di una reazione di difesa alla tensione emotiva cronica creata dal contatto continuo con altre persone, in particolare quando esse hanno dei problemi o motivi di sofferenza. Nel costrutto, possono essere distinte tre dimensioni, l’esaurimento emotivo (emotional exhaustion) è la componente centrale ed atipica del burnout; è definibile come la sensazione della persona di aver esaurito le energie psicologiche, fisiche ed emozionale per affrontare l’attività lavorativa. Il termine burnout (“burned out”), infatti, fa pensare ad un ultimo guizzo di fiamma [1].

La depersonalizzazione (depersonalization) è definibile come un distacco nella relazione con i clienti e con gli utenti mediante un processo di disumanizzazione basato sul trattamento degli altri come oggetti o numeri piuttosto che come persone (Maslach & Leiter, 2000).

Il ridotto senso di fiducia professionale (reduced personal accomplishment) è la terza componente del burnout. In questo caso l’operatore non si sente in grado di stabilire una  relazione d’aiuto efficace con i propri utenti, ha poca stima di sé a livello professionale, fino a sentirsi in colpa per non riuscire ad aiutare gli altri.

Secondo Nonnis e Rutelli (in De Carlo, Faa & Rutelli, 2008, pp.202-203) “per evitare l’insorgere di fenomeni di affaticamento e disaffezione […] l’azienda dovrebbe essere in grado di identificare gli elementi che legano l’individuo all’organizzazione, lo spingono a rimanere e a impegnarsi nel proprio lavoro, progettando e realizzando interventi di prevenzione della disaffezione lavorativa e, soprattutto, di promozione del benessere individuale e organizzativo […] si è rafforzata l’idea di collocare il job burnout lungo un continuum in cui al polo opposto si trova il job engagement.

Inizialmente, si riteneva il burnout una sindrome esclusiva delle professioni d’aiuto. Secondo le formulazioni più attuali del costrutto (Maslach & Leiter, 1997) si ritiene che il burnout possa manifestarsi in tutte le altre professioni. A livello diagnostico oggi ci sono difficoltà nell’identificarlo, uno dei più diffusi manuali nosografici, il DSM-IV, non contiene la descrizione del burnout. Alcune delle difficoltà principali nella diagnosi della sindrome di burnout sono:

  1. si ritiene che a determinare il burnout siano soprattutto condizioni psicosociali e non individuali;
  2. è facile confondere i sintomi della sindrome di burnout con  sintomi dell’ansia, della depressione, dei disturbi somatoformi, psicosomatici, svalutazione di sé, sovra-affaticamento da lavoro (Pellegrino, 2000);
  3. è facile confondersi con i disturbi di adattamento;
  4. nei casi in cui la sindrome di burnout si verifichi in operatori che lavorano con utenti con patologie croniche c’è, inoltre, difficoltà nella diagnosi differenziale rispetto al disturbo post-traumatico da stress;

Nota Haslam (2004), che nello studio del burnout, utilizzando soprattutto disegni one-shot o disegni correlazionali non si sia riusciti a cogliere realmente la relazione causale che si stabilisce tra le variabili legate al burnout.

Uno dei motivi per cui oggi si presta attenzione a fenomeni e disagi soggettivi nelle organizzazioni è costituito dal fatto che tali disagi determinano costi (anche economici) oggettivi per l’organizzazione. Esistono una serie di sintomi legati alla sindrome da burnout. In Cherniss (1986) troviamo una lista di sintomi:

  1. affaticamento, stanchezza, esaurimento, anche dopo il lavoro;
  2. tachicardia, cefalea, nausea, incapacità di ascoltare ciò che l’utente sta dicendo, rappresentazione stereotipata dell’utente, cinismo verso l’utente;
  3. disturbi gastrointestinali, mal di testa;
  4. assenteismo;
  5. rabbia, risentimento, ritiro, negativismo, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento;
  6. eccessiva preoccupazione per se stessi, eccessivo uso di farmaci o alcol;
  7. conflitti coniugali e familiari;

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[1] Non è un caso se il termine burnout, traducibile in italiano coi termini “bruciato”, “scoppiato”, ha fatto la sua prima apparizione nel gergo sportivo nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni risultati positivi, ad ottenere ulteriori successi o a mantenere quelli già acquisiti.

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