La relazione tra economia e psicologia: questioni metodologiche e punti di incontro

La relazione tra economia e psicologia: questioni metodologiche e punti di incontro

Di Ilaria Polidori

Si sono così delineati i caratteri di una disciplina nuova e particolare, nell’ambito della quale, se non vi sono problemi ad individuare terreni di comune interesse, ve ne sono, e molti, sul versante del metodo d’indagine. Infatti, l’economia è andata sempre più sviluppando la caratterizzazione di una disciplina “guidata dalla teoria”, mentre la psicologia si è caratterizzata come una disciplina fortemente ancorata all’evidenza empirica prodotta dal lavoro sperimentale (Lea, Webley, Young, 1992). [1]

La prima, utilizzando fondamentalmente lo strumentario ipotetico-deduttivo proprio di una scienza che si propone di formulare modelli sottoponibili a controllo empirico; la seconda, utilizzando invece, il paradigma induttivo. Il problema della psicologia economica, è quindi quello di ridurre il divario metodologico fra le due scienze, senza con ciò annullare le peculiarità di ciascuna di esse.

L’obiettivo non è di appiattimento, bensì è di dimostrare l’esistenza di margini di arricchimento reciproco di due discipline che pur permangono autonome: l’affermazione della loro sostanziale autonomia, non implica il fatto che non ci debba essere una possibilità di reciproca fecondazione.

L’economia fa fatica ad utilizzare all’interno dei suoi modelli, le risultanze sperimentali della psicologia, tuttavia negli anni più recenti si manifesta una rivoluzione, che può chiamarsi “cognitivista”, che sotto l’impulso del lavoro di Herbert Simon in particolare, induce gli economisti ad avvicinarsi alla psicologia come ad una disciplina strumentale rispetto alle esigenze teoretiche della stessa economia politica.

La rivoluzione cognitivista abitua l’economista a considerare la ricerca psicologica, non come alternativa a quella economica, bensì complementare ad essa.

Per Simon punto-chiave di questo processo di integrazione fra le due discipline è costituito dal concetto di razionalità così come è diversamente inteso dalla scienza economica e dalla scienza psicologica.

La razionalità della scienza economica è da Simon chiamata “razionalità sostanziale”, mentre la razionalità derivata dalla scienza psicologica è chiamata da Simon “razionalità procedurale”, perché esprime fondamentalmente il percorso che un soggetto compie per risolvere un problema davanti al quale può trovarsi (Mistri, Rumiati, 1994).

La differenza fondamentale sottesa ai due tipi di razionalità è ben espressa da Simon stesso, nella conclusione ad un saggio sull’argomento, recante il titolo “La razionalità in psicologia e in economia” (Simon,1982)

La premessa è che tra gli esponenti dei due tipi di razionalità, vi sono differenze fondamentali nel modo di elaborare una teoria che si propone di essere scientifica.

Dice l’autore: “… gli economisti neoclassici attribuiscono un’elevata probabilità a priori, all’affermazione che gli individui hanno una funzione di utilità coerente e che in realtà massimizzano l’utilità in senso oggettivo… Sono pronti a formulare qualsiasi ipotesi empirica ausiliaria necessaria per conservare il postulato di massimizzazione dell’utilità, anche quando le ipotesi empiriche non sono verificate. Quando se ne richiede una dimostrazione, tendono a cercare una prova del fatto che la teoria compie delle previsioni corrette e respingono il suggerimento di osservare direttamente i meccanismi e i processi decisionali.

Dato l’elevato valore attribuito alla probabilità a priori […] che esprime la fiducia nella teoria e la debolezza del tipo di dimostrazioni indirette concesse per sottoporla a test, l’economia neoclassica diventa essenzialmente tautologica e inconfutabile… A causa della sua preoccupazione circa la massimizzazione dell’utilità, essa non riesce a osservare che… la forza delle sue previsioni deriva dalle ipotesi ausiliarie, generalmente non verificate, che descrivono l’ambiente nel quale vengono prese le decisioni…

Le teorie comportamentistiche della razionalità – invece – attribuiscono un’elevata probabilità a priori, all’ipotesi che gli agenti economici applicano gli stessi processi fondamentali per prendere le loro decisioni, quali sono stati osservati in altre attività cognitive umane e che questi processi sono realmente osservabili. In situazioni complesse nelle quali le informazioni sono molto incomplete… le teorie comportamentiste negano che vi sia un artificio magico per produrre un comportamento che si avvicini anche lontanamente alla massimizzazione oggettiva dei profitti o dell’utilità. Si sforzano quindi di determinare qual è il contesto effettivo delle decisioni, in che modo tale contesto emerge dalla situazione decisionale e come, in questo contesto, opera la ragione. Ad un livello di complessità di questo tipo, non esiste un unico principio sovrano per la previsione deduttiva. Le leggi della razionalità procedurale… di conseguenza… comportano una proporzione molto alta di indagine empirica per sviluppare una teoria, uno studio meticoloso dei fatti del processo stesso di

formazione delle decisioni…”

A questo punto, quale conclusione se ne deve trarre che risulti utile per la ricerca economica?

Innanzitutto, la chiave del problema, secondo Simon, è che non vi sarebbe motivo di continuare a discutere se la teoria della razionalità sostanziale e le ipotesi di massimizzazione dell’utilità forniscono una base sufficiente per spiegare e prevedere il comportamento economico: le prove che confutano tale assunto sono, sempre secondo Simon, schiaccianti.

In secondo luogo, poiché in psicologia si dispone già di un importante sistema teorico, empiricamente verificato, sui processi che gli individui mettono in atto nella realtà per prendere delle decisioni, il punto di partenza di una nuova disciplina è proprio l’applicazione della teoria procedurale della razionalità, all’economia.

Ciò naturalmente implica un’ampia ricerca empirica, da condurre in gran parte a livello microeconomico, per determinare specificamente, in che modo i processi si conformino al contesto degli ambienti economici reali, e per definire le conseguenze di questa interazione per quanto concerne i risultati economici di questi processi (Simon, 1982).

* * *

Si è solo agli albori di una disciplina che può definirsi di frontiera, eppure qualche balzo in avanti nel comprendere determinate problematiche è già stato fatto, sebbene bisogna tenerepresente che, per ora, si sono solamente spalancate delle porte, e ci vorrà ancora molto cammino prima che si riesca a chiuderne alcuna.

consulenzabrevegratuita


[1] Una precisazione. Con quanto detto, non vuol intendersi che in economia non esista una ricerca empirica o un’attività sperimentale; semplicemente che queste hanno delle caratteristiche differenti rispetto ad altre discipline. Ad esempio, in economia, è difficile creare degli esperimenti di laboratorio del tipo di quelli utilizzati in fisica, la cui caratteristica è quella di essere ripetibili. Inoltre gli esperimenti economici sono diversi da quelli psicologici, per il fatto che l’analisi empirica degli economisti è di solito guidata dalla teoria.

 

Scrivi a Igor Vitale