Empowerment individuale e di gruppo: definizione e significato

di Raffaele Napolitano

Empowerment individuale e di gruppo
Il termine di empowerment ha, nel panorama attuale, diversi significati sia a livello concettuale sia a livello metodologico. Varie sono, infatti, le esperienze di empowerment che si differenziano per grado, spessore e finalità e che possono dar luogo a confusioni circa il contenuto semantico.
Partendo da questa considerazione, il testo cui si fa riferimento (Quinn, Spreitzer, Quaglino, 2005) si propone di fornire una mappa per orientarsi all’interno delle proposte etichettate “empowerment” nei contesti organizzativi, nella speranza che si possano sviluppare sempre più organizzazioni empowering ed empowered.
L’autrice, intenzionalmente, non traduce in lingua italiana il termine “empowerment” in quanto non esiste un’unica parola in grado di rappresentarlo nella sua ricchezza semantica.
Le radici del costrutto possono essere rintracciate all’interno delle discipline dove il termine è stato coniato. Esso fa la sua comparsa negli anni 60 nelle scienze della politica, della medicina e della psicoterapia, della pedagogia degli adulti, della psicologia di comunità, ma è solo negli anni 80 che i concetti e le parole chiave, elaborati negli ambiti di cui sopra, entrano a far parte della letteratura manageriale ed organizzativa.
Piccardo fa notare come la parola è divenuta, spesso, un “concetto ombrello” assimilabile ad ambiti e a situazioni molto diversificate; l’ampiezza delle definizioni e degli ambiti in cui è stato applicato, può disorientare. Tuttavia, i filo rosso che unisce le diverse accezioni presentate, può essere rintracciato nella necessità di creare nuove condizioni di lavoro affinché i lavoratori occupino una posizione centrale e acquisiscano “potere” per mobilitare energie, per realizzarsi e per rendere l’impresa sempre più competitiva.
L’empowerment diviene quindi il concetto chiave per rinnovare una cultura del lavoro, per ri-pensare al ruolo dell’impresa e del lavoratore e per ri-formulare modelli organizzativi. Tali istanze non si muovono da una sollecitazione filantropica ma dalla necessità di rendere le organizzazioni più flessibili, più competitive, più attente alle relazioni umane, alla soddisfazione dei dipendenti e a quella dei clienti. Non si tratta di cambiare il comportamento dei lavoratori ma di reinterpretare la cultura del lavoro, delle regole, della concezione del potere e del controllo, nell’intento di sviluppare organizzazioni empowering ed empowered.
Il costrutto di empowerment ha suscitato importanti risonanze, soprattutto in riferimento al concetto di potere che è incluso nel suo significato. Piccardo presenta varie tesi in cui si riflette sul rapporto fra potere ed empowerment all’interno di strutture organizzative, osservando come spesso, nella letteratura scientifica, tale tema è trattato in termini ambigui, oppure declinati con espressioni ottimistiche e positive.
Fra le varie posizioni che sottolineano la relazione fra empowerment e potere, l’autrice si concentra su quelle teorie in cui il potere è correlato alla presenza di relazioni significative che non limitano l’espressività e la libertà individuale e che sono orientate verso la mutua reciprocità.
In particolare l’autrice cita il lavoro di Tolber che, nell’ottica di promuovere lo sviluppo personale e morale degli individui, propone una nuova pratica manageriale, in cui i soggetti (soprattutto i leader) possano esprimere “l’equilibrio del potere” che è espressione di relazioni orientate verso la reciprocità, il coinvolgimento, la gestione delle contraddizioni e delle conflittualità. Torber individuando percorsi di sviluppo personali in tema di potere, indica che nello stadio più evoluto si attua il “potere trasformativo dell’equilibrio”, in cui si può realizzare un potere caratterizzato da un agire etico, curioso, indagativo, comprensivo ed orientato a creare nuovi spazi nei rapporti umani. In sostanza, il potere trasformativo si rende concreto nell’incontro con l’altro attraverso un’autentica intersoggettività comunicativa.
Alla luce delle considerazioni di Torber e di altri autori, Piccardo definisce l’empowerment come “un processo di utilizzo delle potenzialità insite nella dinamica degli scambi intersoggettivi degli attori organizzativi a tutti i livelli”.
Sono poi presentate tre diverse definizioni di empowerment che corrispondono a tre possibili approcci operativi, articolati su due livelli:
– Individuale: in cui è presente l’approccio self-empowerment;
– Organizzativo: che include un approccio psico-socio-politico ed uno socio-organizzativo.
Approccio individuale (self-empowered) – Le opzioni teoriche ed ideologiche di riferimento, pur con le differenze che le contraddistinguono, sono orientate a diffondere un insieme di valori per indirizzare comportamenti utili sia allo sviluppo del singolo, sia delle organizzazioni. L’accento è posto sulla creazione di un clima utile a valorizzare le persone, a sostenerne la crescita, a svilupparne l’autostima e il senso di identità. E’ questo background che permetterebbe una ri-definizione dello sviluppo organizzativo.
In questo ambito l’autrice presenta le esperienze condotte da Mayer e da Bruscaglioni sul tema dello sviluppo delle persone, il cui filo rosso è dato dalla capacità di “liberare gli individui” per vivere in modo più significativo.
In queste esperienze destinatario del self-empowerment è il singolo individuo e l’oggetto di intervento è rappresentato della leadership di sé, vale a dire dello sviluppo del soggetto attraverso l’espressione di nuove potenzialità che possono divenire patrimonio anche dell’organizzazione.
Approccio organizzativo psico-socio-politico – Questo approccio parte dalla consapevolezza che per sviluppare crescita e sviluppo personale nell’organizzazione sia necessario agire su due livelli: quello personale (l’individuo nel gruppo ed i componenti del gruppo) e quello organizzativo.
Le riflessioni che sono all’origine di questo approccio sottolineano la presenza nel mondo del lavoro di posizioni di alienazione, di emarginazione, di depressione (condizione di powerlessness) che devono esser superate per rendere il soggetto “empowered”, vale a dire “potente”, rafforzando le dimensioni di fiducia, di autodeterminazione, di autoregolazione, affinché il compito assegnato sia fonte di responsabilizzazione e di attivazione di energie positive. Lo sviluppo del processo di empowerment parte dall’attenta valutazione di un momento diagnostico, attraverso cui analizzare i fattori individuali e organizzativi che possono aver determinato la situazione di powerlessness.
Piccardo presenta un modello di intervento, rivolto parallelamente ai soggetti ed all’organizzazione, per favorire il processo di empowerment i cui momenti fondamentali sono: l’analisi clinico-diagnostica e la messa in atto di interventi di “ricerca-azione”. L’approccio prevede momenti di ricostruzione di senso delle situazioni, la messa in crisi degli schemi interpretativi e la riflessione sulla realtà concreta dell’esperienza lavorativa per poi sperimentare e mettere in pratica nuove modalità di comportamento.
In sostanza al centro di questo approccio c’è nuovamente l’individuo inserito nel contesto lavorativo, con ruolo non di staff. Il disagio psichico ed operativo all’interno dell’organizzazione è il focus dell’intervento, il quale è finalizzato a rimuovere le cause (individuali ed organizzative) che hanno determinato lo stato di powerlessness.
Approccio socio-organizzativo – Gli interventi dell’approccio socio-organizzativo si rivolgono alle persone (soprattutto i middle manager e il top management), ed alle organizzazione (a livello micro e macro). Il processo di empowerment è percepito come un processo per lo sviluppo, per l’innovazione dell’impresa e per potenziare il vantaggio competitivo, quindi in questo contesto empowerment non ha l’intento di recuperare disagi o situazioni di disempowerment, ma quello di promuovere una nuova cultura organizzativa.
Questo approccio include tre orientamenti. Il primo si basa sullo sviluppo della leadership empowering, cioè di una leadership che stimola, provoca, infonde energia, che rafforza il sentimento di autoefficacia. Il leader è visto come un coach che aiuta a crescere e a creare occasioni di crescita personale, per questo egli stesso deve aver raggiunto una profonda consapevolezza di sé e deve aver acquisito competenze peculiari nel campo comunicativo-relazionale; le buone relazioni che il capo riesce ad avere con i collaboratori, unitamente ad altre peculiarità, sarebbero le caratteristiche che lo porterebbero ad attuare strategie di empowering e a traghettare le organizzazioni da una situazione culturale burocratica e paternalistica ad una rinnovata cultura imprenditoriale.
Il secondo, riguarda gli “empowered work group”, cioè la creazione di gruppi di lavoro autonomi, in cui sperimentare modelli partecipativi per divenire responsabili.
Il terzo fa riferimento alle organizzazioni empowering ed empowered nelle quali i concetti di libertà, di autonomia, di simmetria, hanno raggiunto livelli estremi. In tali organizzazioni i lavoratori sono visti come alleati, la condivisione (di responsabilità, di potere, di profitti) è la parola chiave e non esistono organigrammi; è in questo contesto che si incoraggia l’utilizzo di tutte le risorse individuali.

Nella parte finale del libro Piccardo rinunciando a comporre una sintesi di costrutti, di modelli, di interventi sul tema dell’empowerment, propone una riflessione critica dell’efficacia assoluta dell’empowerment, rilevando che non può esistere un unico modello organizzativo orientato sempre verso l’empowerment (anzi per alcune realtà sarebbe perfino improduttivo).
Riconosce però, che l’empowerment ha ridato significato alla obsoleta teoria della motivazione sul lavoro contribuendo ad offrire un’alternativa rispetto ad una concezione meccanicistica del lavoro.
L’auspicio finale è rivolto ai lavoratori affinché possano esperire una favorevole condizione psicologica sul lavoro, le cui linee ordinatrici sono da ricercare sia a livello di fattori organizzativi sia individuali.

R. E. QUINN, G. M. SPREITZER in QUAGLINO G., (2005), Leadership, Raffaello Cortina, Milano

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