Come riconoscere i sintomi dissociativi

di Anna del Torto

2.1.1      I sintomi dissociativi

 

Come detto precedentemente, trauma e dissociazione in psicopatologia sono concetti strettamente associati.

Infatti, il trauma attiva nell’individuo dei meccanismi arcaici di difesa nei confronti delle minacce ambientali che provocano il distacco dall’usuale esperienza di sé e del mondo esterno e conseguenti sintomi dissociativi (depersonalizzazione e derealizzazione).

Questo distacco comporta una sospensione delle normali capacità di riflessione e mentalizzazione (Bateman e Fonagy, 2004) e quindi un ostacolo all’integrazione dell’evento traumatico nella continuità della vita psichica.

Da tale disintegrazione del ricordo traumatico e della costruzione dei significati, deriva la frammentazione delle rappresentazioni di sé, ovvero le molteplicità non integrate degli stati dell’Io che caratterizza la dissociazione patologica (Liotti e Farina, 2011).

Nel descrivere la dissociazione, la Steinberg  parla dell’esistenza di cinque sintomi fondamentali, i quali, in misura diversa, vengono universalmente sperimentati in seguito all’esposizione a un trauma (Steinberg e Schnall, 2001).

I sintomi dissociativi fondamentali sono:

  1. Amnesia. E’ l’incapacità di ricordare importanti informazioni personali, soprattutto legate ad un trauma subito.

La memoria, ciò che effettivamente viene “colpito” nell’amnesia, è una parte essenziale della nostra coscienza, perché abbiamo bisogno di avere una memoria continua degli eventi prima di darne loro significato. Inoltre l’immagine di noi stessi si fonda sul ricordo degli eventi passati, delle relazioni e sull’attesa di certe risposte in determinate situazioni sulla base delle nostre esperienze passate.

L’amnesia, come conseguenza di un trauma, va quindi inevitabilmente ad intaccare anche il futuro dell’individuo. Infatti, l’incapacità di integrare i ricordi traumatici fa si che la persona rimanga fissata al momento del trauma e compromette l’integrazione di nuove esperienze (Steinberg e Schnall, 2001).

La Steinberg  parla dell’amnesia come un “buco nero dei ricordi perduti”.

L’amnesia per i ricordi traumatici è un caso di memoria interrotta: i ricordi traumatici vengono dimenticati.

Le persone che soffrono di disturbi dissociativi, anche se non ricordano grossa parte del loro trauma infantile, paradossalmente, possono avere una capacità mnestica aumentata per quell’esperienza, in determinate circostanze.

I flashback, che provocano il riemergere dei ricordi traumatici con affranto realismo, possono essere spietatamente dettagliati e, di solito, si verificano in momenti stressanti della vita oppure quando c’è uno stimolo ad attivarli.

In realtà, questi buchi di memoria di cui fanno esperienza i pazienti con disturbi dissociativi non sono veramente vuoti. In alcuni casi, soprattutto nei casi gravi, emergono degli alter e l’amnesia serve proprio a tenerli separati.

Alcuni, ad esempio, possono mettere in atto atti violenti o addirittura rimettere in atto l’abuso subito durante questi periodi di tempo che non ricordano.

  1. Depersonalizzazione. Con questo termine si intende quell’esperienza caratterizzata da una sensazione di distacco dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se questi venissero osservati dall’esterno (Gabbard, 2005).

      Le sensazioni di distacco da se stessi possono manifestarsi in varie forme: ad esempio l’esperienza di essere fuori dal corpo, la perdita di sensibilità di parti del corpo, e ancora, l’incapacità di riconoscere se stessi allo specchio, un senso di distacco dalle proprie emozioni, oppure, dialoghi interattivi con una persona immaginaria (Steinberg e Schnall, 2001).

Inoltre, gli episodi di depersonalizzazione possono anche presentarsi con la sensazione di essere scisso in un osservatore e un partecipante.

Il tipo di dialogo che si va ad instaurare tra essi è una caratteristica chiave per distinguere una persona normale da una con un disturbo dissociativo. Questo perché il dialogo con se stessi appartiene a tutte le persone normali, ad esempio nel prendere decisioni o durante un lutto, ma nelle persone con disturbo dissociativo, le conversazioni sono molto più frequenti e sono del tutto personificate piuttosto che simboliche e inoltre mancano delle qualità intenzionali dei dialoghi interiori delle persone normali (Steinberg e Schnall, 2001).

Per le persone che sono distaccate da se stesse, la vita diventa senza gioia, un sogno vuoto. Esse osservano il mondo come attraverso uno spesso strato di nebbia, non sentendo nient’altro che un freddo senso di morte.

Vivere come se si fosse già morti è il prezzo da pagare per distanziarsi dall’ansia” (Steinberg e Schnall, 2001, p. 66).

  1. Derealizzazione. Ci si riferisce specificatamente alla sensazione di sentirsi estraniato dal proprio ambiente (Gabbard, 2005).

      Riguarda, quindi, quelle esperienze caratterizzate dalla sensazione che il mondo circostante è irreale o che gli eventi non stiano accadendo veramente. La si può pensare come un jamais vu, opposto al déja vu, ovvero che persone e luoghi che dovrebbero essere familiari, appaiono completamente estranei (Steinberg e Schnall,  2001).

Ci sono diverse esperienze con le quali la derealizzazione può manifestarsi, come ad esempio la sensazione di distacco dal mondo, il non riconoscere la propria casa, gli ambienti usuali come familiari, o ancora la sensazione che quello che sta accadendo non sia reale, o addirittura cambiamenti nella percezione visiva dell’ambiente.

Questa sensazione di non riconoscere luoghi o persone che normalmente sono familiari, riflette la presenza di un disturbo nella memoria emozionale. Il paziente con questo disturbo, infatti, riconosce l’ambiente/persona cara razionalmente ma è l’emozione che la dovrebbe accompagnare ad essere rimossa.

La persona è consapevole che a quell’esperienza mancano le emozioni, i sentimenti di amore, vicinanza, conforto e sicurezza. Tutto ciò dimostra come la derealizzazione è un sintomo dissociativo che separa la coscienza di una persona dalla percezione della familiarità del mondo esterno (Steinberg e Schnall, 2001).

  1. Confusione dell’identità. E’ una sensazione d’incertezza, perplessità, o conflitto su chi si è. Ci si può sentire come se al proprio interno si stesse svolgendo una continua lotta per definire se stessi.

Non è difficile capire il motivo per cui l’abuso fisico e/o sessuale nell’infanzia, che rappresenta, tra l’altro, una delle caratteristiche fondamentali dell’attaccamento disorganizzato, possa produrre una confusione dell’identità e quindi disturbi dissociativi.

Avendo passato tutta l’infanzia a lottare per evitare il dolore inflitto loro dalle persone più care, da quelle persone che avrebbero dovuto prendersi cura di loro ed amarli, e che invece li hanno sempre trascurati, maltrattati e ignorato i loro bisogni, interessi e fatti sentire come stupidi, cattivi, incapaci e bugiardi, non possono ora definire chi sono e in cosa credono o esprimere quello che vogliono in modo coerente e profondo (Steinberg e Schnall, 2001).

La confusione dell’identità di queste persone va oltre il normale disorientamento di alcune fasi della vita -come l’adolescenza, la perdita di persone care-, è una confusione che parte dall’interno, dal profondo senso di sé.

  1. Alterazione dell’identità. Sta a rappresentare un cambiamento nel ruolo o nell’identità della persona, accompagnato da cambiamenti comportamentali osservabili dagli altri, come parlare con voce e vocaboli diversi.

Queste alterazioni dell’identità patologiche non sono sempre sotto il controllo della persona. La persona con questo disturbo si sente come se ci fossero una o più persone diverse al proprio interno che sono in grado di influenzare il suo comportamento.

I segni di un’alterazione dell’identità includono il fare riferimento a se stessi con nomi diversi, l’agire come una persona completamente diversa, lo scrivere con una calligrafia diversa o l’agire come se si fosse ancora dei bambini e infine il dimostrare conoscenze su un argomento che non si ricorda di aver studiato (Steinberg e Schnall, 2001).

Recentemente, per cercare di far chiarezza sui vari modi di manifestarsi della dissociazione patologica, è stato proposto di ripartire i vari sintomi dissociativi in due categorie: detachment e compartmentalizition (Holmes et al., 2005, cit. in Liotti e Farina, 2011).

  • I sintomi di distacco (detachment) dissociativi.

I sintomi dissociativi di distacco rimandano tutti all’esperienza di sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo, dalla propria identità, e dal non avere più familiarità con l’ambiente circostante. Quindi si vede come i sintomi caratteristici di questa categoria  sono la depersonalizzazione -alterazione dell’esperienza cosciente di sé- e la derealizzazione -alterazione dell’esperienza del proprio mondo circostante- (Liotti e Farina, 2011).

La forma di coscienza che appare alterata in questi sintomi è quella in prima persona, chiamata coscienza fenomenica contrapposta alla coscienza di accesso, in terza persona (Liotti, 2001, Liotti e Farina, 2011).

La coscienza fenomenica è formata da sensazioni, emozioni, sentimenti, ed è per questo che i sintomi di distacco esprimono più direttamente l’effetto patologico disintegrativo delle esperienza traumatiche sulle funzioni mentali.

il primo effetto patogeno del trauma è quello di far perdere la confidenza con l’esperienza interna” (Albasi, 2009, cit. in Liotti e Farina, 2011, p. 45).

  • Sintomi di compartimentazione (compartmentalization) dissociativi.

I sintomi di compartimentalizzazione comprendono l’amnesia dissociativa, distorsioni della memoria, fuga dissociativa, coesistenza di stati dell’Io diversi tra loro che il paziente non riesce ad integrare al fine di mantenere un senso di sé coeso e stabile.

Quindi si vede bene come questi sintomi sono il risultato di quei processi dissociativi messi in moto da un trauma che vanno ad ostacolare le operazioni di sintesi, integrazione e regolazione degli stati dell’Io che normalmente producono un senso di sé unitario e coeso (Liotti e Farina, 2011).

In questa categoria di sintomi, è la coscienza di accesso ad essere intaccata, chiamata così perché le sue componenti sono prevalentemente verbali o comunque rappresentazioni mentali alle quali si ha accesso cosciente attraverso la parola.

In questo tipo di sintomi, sono impediti i confronti e le connessioni semantiche fra contenuti mentali che normalmente dovrebbero entrare simultaneamente nel campo della coscienza dell’Io (Liotti, 2001, Liotti e Farina, 2011).

In realtà, considerare causale il rapporto che lega il trauma alla dissociazione è un errore. Infatti è stato visto che il rapporto che esiste tra questi due concetti è multifattoriale e non lineare (Giesbrecht, Mercklebach, 2008; cit. in Liotti e Farina, 2011).

Non è chiaro perché individui che sono andati incontro a gravi traumi non hanno sviluppato dei disturbi dissociativi (Gabbard, 2005), oppure al contrario, si sono riscontrati sintomi dissociativi in persone che hanno avuto nell’infanzia un genitore emotivamente fragile ma assolutamente non maltrattante (Liotti e Farina, 2011).

Proprio per cercare di spiegare queste diverse situazioni, si è visto che il paradigma dell’attaccamento può dare una spiegazione e un modello nuovo della relazione trauma-dissociazione, dando maggior importanza ai diversi tipi di traumi nei quali una persona può andare incontro, alle emozioni e sentimenti che queste esperienze traumatiche provocano nell’individuo.

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