Le emozioni hanno contribuito nell’evoluzione della specie?

di Roberto Desiderio

Le teorie evoluzioniste sono denominate in quanto tali poiché riprendono il pensiero e la teoria evoluzionista di Darwin. Gli studiosi contemporanei d’impostazione psicoevoluzionista svilupparono una teoria coerente, che poneva le espressioni emozionali al centro di una visione delle emozioni come risposte adattative alle emergenze ambientali. Nel campo della psicologia delle emozioni, il problema dell’universalità è stato posto per la prima volta come un tema critico alla fine degli anni ‘60 da alcuni autori di ispirazione evoluzionista, secondo i quali le emozioni si configurano come unità distinte, regolate da meccanismi innati su base genetica e dunque universali.

3.1 Le basi poste da Darwin

La teoria evolutiva di Darwin spiega come ogni organismo si adatti all’ambiente che lo circonda. Questo adattamento non avviene soltanto attraverso modificazioni anatomiche, ma riguarda anche la mente e i suoi processi. Cominciò a raccogliere prove a sostegno delle sue concezioni e nel 1872 pubblicò L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, che ebbe una profonda influenza sul modo di concepire le emozioni. Nel tentativo di spiegare le diverse espressioni osservate negli esseri umani e negli animali, formulò tre ipotesi (o princìpi). Il primo principio, detto  principio delle abitudini associate, dichiara che <alcuni atti complessi hanno un’utilità diretta o indiretta in certi stati d’animo, perché alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri e così via>;. Il secondo principio è detto dell’antitesi e afferma che <certi stati d’animo provocano particolari atti abituali che hanno un’utilità (….). Quando sopravviene uno stato d’animo che sia l’esatto contrario del precedente, si ha una forte ed involontaria tendenza a eseguire i movimenti di natura opposta>[1]. Il terzo principio denominato “degli atti determinati dalla costruzione del sistema nervoso” affermava che una forte eccitazione del sistema nervoso si trasmette ai vari sistemi del corpo, come sudorazione, tremore muscolare, cambiamento del colore della pelle ecc.

Nel suo libro Darwin considerò un altro problema, quello riguardo al carattere innato delle espressioni emozionali. Egli ritenne che molte espressioni, ma non tutte, abbiano un origine innata e, di conseguenza, non sono apprese dall’individuo. Alcune di esse possono comparire in forma simile in molti animali, oppure in bambini molto piccoli nella stessa forma di espressione degli adulti, prima che vi siano state grandi opportunità di apprendimento. In altri casi si dimostrano identiche nei bambini nati cieche e in quelli con vista normale. Alcune espressioni emozionali, inoltre, compaiono in forma simile in razze e gruppi umani ampiamente diversificati. Nonostante Darwin fosse fermamente convinto del carattere innato di molte espressioni emozionali, comprese che alcune sono semplicemente gesti che, come la parola, vengono appresi.

Le teorie psicoevoluzionistiche

Tra gli anni ‘60 e ‘80, attraverso i lavori di Tomkins[2] e Plutchik [3], si sviluppava, prevalentemente negli Stati Uniti, la cosiddetta concezione psicoevoluzionistica delle emozioni. I due autori elaborarono la loro teoria partendo dai pensieri di Darwin sulle emozioni, ritenendo che esse fossero associate alla sopravvivenza e funzionali alla specie ed all’individuo. E’ questa la tesi accolta e sviluppata anche da Ekman (1972) e da Izard (1978) e implica l’accettazione della visione innatista delle espressioni facciali delle emozioni[4]. Le teorie psicoevoluzionistiche hanno una concezione categoriale delle emozioni, cioè ritengono che ogni tipo di emozione primaria (tristezza, collera, dolore, ira, paura ecc. ecc.) ha una propria struttura di tipo fisiologico (espressioni facciali, risposte fisiologiche ecc.) e psicologico che è universale e innata, frutto di apprendimento e adattamento filogenetico. Così anche le espressioni facciali delle emozioni, come le emozioni, sono universali e legate a specifiche reazioni neurofisiologiche che determinano la generalità dello sviluppo emozionale e la reazione ad eventi probabili nell’ambiente.

 

Le teorie di Tomkins e Izard

Il primo studioso che riprese i concetti darwiniani per proporre una visione psicoevoluzionista delle emozioni fu Tomkins che propone l’esistenza di otto emozioni fondamentali (o primarie), chiamate da lui affetti. Gli affetti positivi sono interesse, sorpresa e gioia. Quelli negativi sono angoscia, paura, vergogna, disgusto e rabbia. Queste emozioni primarie sono, secondo l’autore, risposte strutturate innate a certi tipi di stimoli e vengono espresse attraverso una vasta gamma di reazioni corporee, soprattutto espressioni facciali. Per ogni affetto, Tomkins ipotizza l’esistenza di programmi specifici in aree subcorticali del cervello confermando l’esistenza di una base genetica specie-specifica per l’espressione delle emozioni primarie[5].

Successivo a Tomkins, Carrol Izard ha ampliato questa teoria con particolare attenzione al ruolo delle espressioni facciali delle emozioni. Secondo L’autore, nove sarebbero le emozioni fondamentali: gioia, sorpresa, interesse, dolore, rabbia, disgusto, disprezzo, vergogna e paura, dalla cui combinazione derivano tutte le altre. Per illustrare le sue idee sulla mescolanza delle emozioni, Izard prende come riferimento l’ansia e in particolare le idee di Tomkins riguardo ad essa. Nel 1966, essa veniva descritta come affetto dirompente identificabile semplicemente come paura. Ma nel 1972, con il contributo di Tomkins, si concluse che l’ansia è un concetto multidimensionale che include le emozioni di paura e due o più delle seguenti emozioni: rabbia, vergogna, senso di colpa e interesse. Seguendo questo percorso, Izard afferma che, da un punto di vista evolutivo, le persone non hanno bisogno di imparare come provare una certa emozione; quello che deve essere appreso sono le condizioni e gli stimoli precisi che possono farle suscitare negli individui. Egli sostiene la tesi secondo cui gli elementi cognitivi non sono parte essenziale dell’emozione perché, anche se normalmente vi è interazione tra i vari processi, quello emotivo è completamente indipendente da quello cognitivo[6], tesi che verrà ribaltata dai successivi studi cognitivi sulle emozioni[7].


[1] Darwin (1872)

[2] Tomkins S. S. (1962).

[3] Plutchik R. (1980).

[4] Anolli L. – Legrenzi P. (2001).

[5] Per approfondire ulteriormente l’argomento: Tomkins S.S. (1970).

[6] Per approfondire ulteriormente l’argomento: Izard C.E. (1991).

[7] Nel cap. 4 verranno trattate le principali teorie cognitive delle emozioni.

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