Neurobiologia della relazione tra madre e figlio: come la relazione incide sullo sviluppo del cervello

La neurobiologia ha un effetto particolarmente incisivo su tutte le funzioni del cervello, andando a incidere su aspetti di regolazione delle emozioni, di condotta, di memoria e attentive. In questo paragrafo verranno descritti alcuni risultati relativi allo studio della neurobiologia rispetto a vari aspetti della relazione madre-figlio.

Alcune evidenze ci portano ad affermare che la deprivazione materna possa incidere in termini neurobiologici. In alcuni studi condotti su animali, la deprivazione materna è associata a problemi di comportamento sociale che possono essere ridotti o eliminati tramite la somministrazione di farmaci serotoninergici (Rosenblum et al., 1994; Post, Weiss, 1997). Questi dati sottolineano l’esistenza di un’influenza diretta delle esperienze di attaccamento precoci sullo sviluppo del cervello (Kraemer, 1992; Sigman, Siegel, 1992); D’altra parte, il fatto che i problemi comportamentali si verifichino in seguito alla  sospensione del trattamento farmacologico indica che i cambiamenti sono radicati nei circuiti nervosi che controllano attività fondamentali, come le relazioni sociali, la regolazione delle emozioni e il comportamento. Come ricordato nel capitolo inerente la dicotomia natura-cultura occorre considerare che la risposta positiva a un farmaco è insufficiente per definire un problema “di natura genetica” e non legata  alle esperienze dell’individuo. Come abbiamo riferito precedentemente: le esperienze precoci influiscono significativamente sulla struttura e le funzioni del cervello, influenzano la modalità con cui i geni vengono espressi (Kandel, 1998), ovvero non è possibile separare come contenitori stagni l’effetto dei geni e l’effetto dell’ ambiente.

Da un punto di vista neurobiologico, successivamente alla nascita, i fattori ambientali influiscono in maniera significativa sulla formazione delle connessioni sinaptiche (Goldsmith et al., 1997). In particolare, per i neonati e i bambini molto piccoli le relazioni di attaccamento rappresentano la fonte primaria delle interazioni con il mondo esterno durante le fasi di massima crescita del loro cervello. I genitori e le altre figure di attaccamento diventano quindi le persone che principalmente possono influenzare le esperienze del bambino.

Lo sviluppo del cervello è dunque geneticamente programmato, ma “esperienza-dipendente”. Il potenziale genetico viene espresso all’interno di esperienze sociali che esercitano effetti diretti sui modi in cui le cellule nervose si collegano fra loro: per questo motivo, le connessioni tra persone possono portare alla creazione di connessioni neuronali.

Un esempio significativo a questo proposito è fornito dai bambini che hanno avuto esperienze traumatiche in età precoce, e che dunque presentano un rischio molto alto di sviluppare a disturbi emotivi (Perry, 1997; Teicher et al., 1997). Schore afferma un aspetto importante delle basi neurobiologiche di questo tipo di sviluppo: “In questo  periodo critico la ‘sovra-produzione’ di sinapsi è controllata geneticamente, ma il loro mantenimento o la loro eliminazione dipendono direttamente da fattori di natura ambientale. Chiaramente ciò implica, negli individui in cui il sistema limbico è di per sé geneticamente programmato a una ‘sotto-produzione’ di sinapsi, la sovrapposizione di condizioni di sviluppo che inducono una eccessiva eliminazione di terminazioni sinaptiche che porta allo stabilirsi di un quadro ad alto rischio” (Schore, 1997). I traumi, dunque, possono avere effetti tossici diretti sulle funzioni cerebrali del bambino. Gli studi di Karr-Morse (1997) e di Perry (1997) mostrano che gli ormoni secreti in risposta allo stress determinano fenomeni di morte neuronale a livello dei circuiti fondamentali delle aree limbiche e neocorticali responsabili dei processi di regolazione delle emozioni. Questo tipo di esperienze si inserisce in un quadro di “sotto-produzione sinaptica” geneticamente determinato, il risultato finale sarà una particolare vulnerabilità nei confronti di disturbi emotivi: geni ed esperienze influiscono sull’aumento delle probabilità di sviluppo di successivi disturbi, rischio che viene alla fine espresso a livello dei circuiti cerebrali.

I tratti di personalità di un individuo risultano dunque dalle interazioni fra i suoi aspetti geneticamente determinati e le esperienze che derivano dai suoi contatti con il mondo e soprattutto con l’ambiente sociale (Kendler, Eaves, 1986; Schore, 1997; Bouchard, 1994; Clakins, Fox, 1994; Rothbart, Ahadi, 1994; Kagan, 1997; Thomas, Chess, 1997). Se quindi la mente può mantenere le sue capacità di adattamento, ciò che la persona vive a livello relazionale e di attaccamento può continuare ad alimentare un cambiamento a livello delle connessioni sinaptiche cerebrali anche in età adulta.

Secondo Vrticka, Andersson, Grandjean, Sander, Vuilleumier (2008) lo stile adulto di attaccamento fa riferimento a tratti di personalità individuale che influenzano i legami e le reazioni ai partner sociali e sentimentali. La ricerca comportamentale ha mostrato che tali stili possono portare a sensibili differenze alle condizioni di supporto sociale o conflitto. Sono invece meno indagati i substrati neurali sottostanti tali differenze individuali.

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), sono stati esaminati i tre prototipi classici dello stile di attaccamento, ovvero, lo stile di attaccamento sicuro, lo stile di attaccamento evitante e lo stile di attaccamento ansioso. I partecipanti erano coinvolti nel contesto di un gioco sociale e veniva modulata la risposta del cervello alle espressioni facciali che trasmettevano sia espressioni positive che negative come feedback a una serie di compiti. L’attivazione dello striato e dell’area ventrale tegmentale è stata associata ai feedback positivi (ovvero all’esposizione delle espressioni facciali sorridenti), tale attivazione era significativamente meno importante nelle persone con uno stile di attaccamento evitante. Tale risultato indica una maggiore impassibilità alla ricompensa sociale. Al contrario la risposta dell’amigdala sinistra, attivata dalle espressioni facciali negative e correlate positivamente all’attaccamento ansioso, suggeriscono una maggiore sensibilità alla punizione sociale. Le persone con uno stile di attaccamento sicuro hanno mostrato attivazioni dei neuroni specchio nello striato e nell’amigdala, ma non altri correlati specifici. Questo risultato rivela un ruolo importante del cervello nei sistemi di ricompensa. Dimostrano inoltre che la risposta del cervello alle espressioni facciali non è spiegabile solamente in base alle caratteristiche delle espressioni facciali. Collegando le fondamentali dimensioni psicosociali dell’attaccamento adulto alle funzioni del cervello, i risultati della ricerca aiutano a capire l’impatto di tali circuiti sul comportamento e vanno a corroborare le basi biologiche del comportamento di attaccamento.

Ma quanto il cervello è in grado di cambiare e modificare la sua struttura nel tempo? È possibile distinguere dei circuiti neuronali che dopo una fase critica di maturazione rimangono relativamente “fissi”, da quelli che invece mantengono la capacità di stabilire nuovi collegamenti? In alcuni individui che hanno avuto esperienze di attaccamento non positive si può parlare di margini di crescita e sviluppo; in altri, una completa assenza di relazioni di attaccamento in età precoce o una storia di traumi particolarmente pesanti come gli abusi, possono determinare alterazioni irreversibili delle strutture neurobiologiche cerebrali (Karr-Morse, Wiley, 1997; Perry, 1997; Rutter, 1997). Resta dunque un focus centrale quello inerente le modalità di prevenzione di tali esperienze. È possibile migliorar le condizioni di questi individui?

La ricerca in questo ambito di intervento ci suggerisce che le relazioni interpersonali possano favorire la salute e la crescita del cervello. Ad esempio, le forme di comunicazione collaborative che riguardano la capacità di recepire i segnali che ci vengono trasmessi, di riflettere sull’importanza degli stati mentali e di sintonizzarsi a livello non verbale con gli altri (Fonagy, 1998). Le recenti ricerche sulle relazioni fra attaccamento e sviluppo di disturbi psicopatologici hanno fornito una serie di importanti riscontri (Crowell et al., 1988; Pianta et al., 1996; Rosenstein, Horowitz, 1996; Atkinson, Zucker, 1997; Sroufe, 1997). Una meta-analisi condotta da Van IJzendoorn e Bakermans-Kranenburg su precedenti ricerche che usavano come strumento la Adult Attachment Interview indica che un attaccamento non sicuro è associato statisticamente a una maggiore probabilità di sviluppo di malattie psichiatriche come ad es., i disturbi d’ansia e dell’umore. Inoltre uno studio di Carlo Schuengle e collaboratori riporta che la presenza in un genitore con un’esperienza di perdita non risolta si ripercuote in maniera più o meno negativa sui figli a seconda del suo stato della mente, insicuro o sicuro, rispetto all’attaccamento (Schuengel et al., 1997, 1999). Un attaccamento sicuro negli adulti sembra quindi trasmettere una maggiore capacità di reazione nei confronti di esperienze traumatiche, e questa osservazione è in accordo con le conclusioni generali che derivano dai risultati di questi studi: i processi di attaccamento forniscono le basi fondamentali per il successivo adattamento alle esperienze della vita. La meta-analisi di Van IJzendoorn indica che, rispetto alla popolazione generale, in popolazioni psichiatriche, la prevalenza di stili di attaccamento insicuro (secondo la classificazione dell’AAI) sia molto maggiore.(van IJzendoorn, Bakermans-Kranenburg, 1997). Il tipo di attaccamento che adulti e bambini manifestano è considerato come un fattore organizzativo della mente; quindi, un attaccamento insicuro di per sé non è sinonimo di patologia, ma può favorire una scarsa flessibilità e adattabilità, incertezza o disorganizzazione e disorientamento.

Il problema fondamentale è dunque quello di capire i modi in cui gli schemi di comunicazione nei rapporti di attaccamento possano consentire alla mente di mantenere il contatto con le figure di attaccamento e di sviluppare processi auto organizzativi.

In riferimento a questo aspetto, Main osserva che: “è probabile che il mantenimento di strategie comportamentali ‘minimizzanti’ (evitanti) o ‘massimizzanti’ (resistente/ambivalenti), rendano la persona non solo dipendente dal controllo o dalla manipolazione dell’attenzione, ma richieda anche la partecipazione di meccanismi legati alla memoria, alle emozioni e alla consapevolezza di quelle che sono le condizioni ambientali” (Main, 1995).

Da un punto di vista neurobiologico, il dato per cui lo sviluppo di un determinato tipo di attaccamento sia correlato con una serie di processi mentali cruciali per la regolazione emotiva e della condotta, può essere spiegato dai risultati di alcuni studi che individuano nella corteccia orbito-frontale l’area cerebrale esperienza-dipendente responsabile dell’integrazione di queste diverse funzioni, (Schore, 1997)

L’associazione tra forme di attaccamento insicuro e rischio di malattia psichica potrebbe quindi appartenere alle regioni cerebrali che dipendono, per la loro corretta maturazione, dagli schemi di comunicazione che si sviluppano quindi nelle prime fasi di vita e che nello stesso tempo svolgono un ruolo centrale nella regolazione e nell’integrazione dell’attenzione, della memoria, della percezione e dell’emozione.

Una scarsa regolazione di tali attività integrative fondamentali può incidere negativamente sullo sviluppo delle capacità di organizzazone del Sé e di modulazione delle emozioni e favorire quindi l’insorgere di diverse forme di patologia mentale.

 

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