Il contributo dello psicologo nelle situazioni catastrofiche e di emergenza

di Marijana Milotic

Nel XX secolo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che sono stati colpiti da eventi catastrofici, in vario modo, circa 30 milioni di individui; un terzo di questi ha perso la casa; centinaia di migliaia di persone hanno perso la vita o quella dei loro cari. Se ci limitiamo al continente europeo, e guardiamo agli eventi disastrosi del nuovo millennio, la situazione non è affatto migliorata. Nell’ultimo rapporto redatto dall’Agenzia Ue per l’ambiente, emerge un incremento sia del numero che dell’impatto dei disastri ambientali in Europa. Quasi 100.000 morti, 11 milioni di cittadini interessati su 590 milioni di residenti dell’Ue e danni che superano i 150 miliardi di euro. Sono questi gli effetti sull’ambiente dei disastri ambientali che hanno colpito l’Europa dal 1998 al 2009. Nel mondo continuano ad imperversare conflitti armati e spesso si hanno notizie di disastri ecologici causati dagli effetti indesiderati della tecnologia.

Le cronache di tutti i giorni ci raccontano il susseguirsi, in Italia ma anche altrove, di situazioni catastrofiche con esiti drammatici sia per i cittadini che per i soccorritori: terremoti, frane, alluvioni, sciagure aeree e nautiche, esplosioni, incendi.
Il soccorso alle vittime, fino a poco tempo fa, e’ stato di esclusiva competenza medica, mentre oggi si pone sempre più attenzione anche agli aspetti psicologici.

Nell’ambito delle operazioni di risposta ad eventi critici e maxiemergenziali, l’intervento di assistenza psicologica e sociale rappresenta oggi, in maniera sempre crescente, una delle dimensioni riconosciute a livello istituzionale nonchè richieste ed apprezzate da parte delle vittime e dell’opinione pubblica.

Il ristabilimento del benessere psicologico delle vittime e del funzionamento sociale della comunità colpita sono oggi riconosciuti tra gli obiettivi degli interventi di soccorso, accanto alla ricostruzione dei danni materiali.

Un evento disastroso produce inoltre i suoi effetti non solo a livello individuale ma anche a livello del sistema sociale complessivo; il sistema di assistenza psico-sociale, poi, è una delle componenti maggiormente sensibile all’impatto, dal momento che alle croniche difficoltà del lavoro quotidiano si aggiunge un aumento tempestivo dei bisogni e delle richieste all’interno di un ambiente danneggiato e caotico e con operatori a loro volta ‘vittime’ dell’evento stesso.

La situazione di emergenza puo’ essere definita come: “Un evento che minaccia o effettivamente rischia di danneggiare persone o cose” (Federal Emergency Management Agency). La definizione, seppur sintetica, ha il pregio di evidenziare come l’intervento di supporto psicologico deve essere rivolto anche alle persone che non hanno subito direttamente il trauma, ma che ne avvertono la ‘minaccia’; esiste, infatti, tutta una categoria di vittime che risente di una traumatizzazione indiretta.

Si evince sin da subito che la Psicologia dell’emergenza è una disciplina che ha una forte ricaduta pratica: rappresenta “il fare qualcosa” nell’ambito preventivo ed in quello supportivo in occasione di eventi critici. È una pratica che non ha come fine ultimo quello di evitare le risposte psichiche conseguenti all’esposizione al disastro; tali risposte vanno riconosciute, valutate, supportate e modificate o, nel caso siano funzionali, incoraggiate.
Il fine ultimo dell’intervento psicologico nel contesto emergenziale è quello di favorire la conservazione o il ripristino dell’equilibrio psichico delle popolazioni colpite ed abbassare il rischio che si sviluppino e stabilizzino forme di disagio che includono, ma non solo, il Disturbo da Stress Post Traumatico, favorendo quindi la resilienza.

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