Statistiche sulla resilienza ai disastri ambientali: ansia, dpts, depressione e attacchi di panico

resilienza-2-300x185di Marijana Milotic

La “resilienza” per i paesi più esposti. Le popolazioni e i paesi più poveri, nei fatti, soffrono molto di più degli altri le conseguenze dovute agli shock climatici o finanziari. Le zone dell’Asia meridionale, per esempio, hanno subìto danni per inondazioni, che sono stati 15 volte maggiori, come percentuale del PIL, di quelli subiti dai Paesi dell’OCSE, che dovrebbero occuparsi dello sviluppo economico internazionale.

Importante è capire il grado di resistenza. Il dossier stilato da Oxfam mira a far riconoscere, al livello internazionale, lo stato di “resilienza” come anticamera di fame, povertà e morte per milioni di esseri umani. L’ambizione non deve essere solo quella di aiutare le popolazioni esposte a sopravvivere ogni qual volta si presenti una crisi climatica o finanziaria, ma di aiutarle a prosperare nonostante le crisi da affrontare. Questo potrà avvenire soltanto a condizione che i rischi siano più equamente distribuiti e condivisi a livello globale e nella società. Sempre al di là di una retorica puramente formale, Oxfam denuncia la necessità di rivedere le strategie per ridurre la povertà e soprattutto spinge a creare nuovi modelli di sviluppo che combattano le diseguaglianze e garantiscano una realizzazione dei diritti, così come una maggiore e più equa condivisione dei rischi. Rischi che aumentano: dal 1970 il numero di persone colpite da alluvioni e cicloni è raddoppiato.

Le donne sempre le più esposte. Se le donne che coltivano la terra nei paesi in pericolo avessero lo stesso accesso alle risorse degli uomini, i loro raccolti aumenterebbero di circa il 20-30%, e questo permetterebbe di ridurre di circa il 12-17% il numero di persone che soffrono la fame. Le donne, invece, sono più vulnerabili perché più esposte a rischi legati alla salute (gravidanza e cura dei figli); al rischio di subire violenza; o di cadere in povertà (per vedovanza, o abbandono, o divorzio) a causa di un sistema che rende loro difficile qualsiasi indipendenza economica. La capacità loro, e poi dei bambini e di tutti, di “resilienza” va affrontata a livello individuale, familiare e comunitario.

La crescita economica non basta. Oxfam ha stimato che un miglioramento dei sistemi fiscali in 52 paesi in via di sviluppo, potrebbe generare un aumento del 31,3% del guadagno derivante dalle tasse, ovvero 269 miliardi di dollari. Eppure,la crescita economica è necessaria, ma non sufficiente a ridurre la vulnerabilità. Le persone povere spesso non hanno la possibilità di accedere ai benefici della crescita economica, in quanto politicamente o geograficamente marginalizzate. I governi spesso definiscono delle regole che favoriscono le grandi aziende concedendo loro anche notevoli esenzioni fiscali,mentre i piccoli produttori vengono massacrati dalla burocrazia,da eccessive regolamentazioni,dalla corruzione.

Le Ong devono rivedere gli obiettivi. Soltanto il 2,6% dell’aiuto umanitario viene investito in attività di prevenzione e preparazione ai disastri. Le agenzie di aiuto internazionale devono ricreare la loro stessa architettura istituzionale e superare la suddivisione classica tra le attività di emergenza umanitaria e le attività di sviluppo così da poter realizzare strategie integrate più efficaci non solo nel breve ma anche nel lungo periodo. Ai donatori si richiede l’erogazione di finanziamenti con una più ampia prospettiva temporale (per 6-10 anni) e maggiormente flessibili così da permettere sia di rispondere a bisogni immediati sia di lavorare all’identificazione e realizzazione di soluzioni sul lungo periodo volti al rafforzamento della “resilienza”.

Le persone che subiscono un trauma, possono manifestare diverse reazioni di fronte all’evento traumatico. A parità di gravità dell’evento, alcuni riescono a superare l’accaduto in modo più adattivo di altri che invece ne soffrono le conseguenze per anni. In base all’entità del trauma, infatti,i sopravvissuti sono ad alto rischio di presentare varie risposte psicopatologiche, come il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS), Disturbi d’Ansia che cronicizzano, atteggiamenti fobici evitanti, e disturbi del sonno con incubi.

Tra questi il DPTS è il disturbo psichiatrico maggiormente riscontrato nella popolazione generale dopo un terremoto, con una percentuale che va dal 1.5% al 74% (Bal A & Jensen B, 2007). Studi recenti suggeriscono, inoltre, che anche bambini ed adolescenti possono sviluppare sintomi di un PTSD dopo l’esposizione ad un terremoto, con percentuali che variano tra il 21% e il 70%(Giannopoulou et al. 2006; Hsu et al.,2002).

Affinché si sviluppi un DPTS, non è tanto importante “che cosa accade”, ma “come viene vissuto”dalla persona o dalle persone coinvolte. Infatti, il DSM-IV R (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IV Edizione), classifica questi pazienti in tre tipologie, sulla base di quanto e di come la persona sia stata esposta al trauma:

  • la persona è la vittima che ha subito in prima persona il trauma;
  • la persona presa in considerazione ha soltanto assistito all’evento;
  • la persona ha uno stretto legame affettivo (parenti, coniugi, figli) con le persone che hanno subito direttamente il trauma.

Sono da considerare inoltre tutte quelle persone che intervengono a prestare soccorso durante l’evento traumatico (per esempio i vigili del fuoco, la protezione civile, l’esercito…)

Durante i giorni o le settimane successive al trauma, i soggetti possono manifestare molteplici reazioni. Entro 48 ore dall’evento compaiono i primi sintomi intrusivi e le osservazioni cliniche dimostrano che, proprio in questo lasso di tempo, molti sopravvissuti rivalutino costantemente, quasi fosse un pensiero ossessivo, le proprie azioni o le proprie “azioni mancate” con una grande intensità, e sensi di colpa. Se nell’arco di un mese persistono sintomi come eccessivo arousal,intensa paura (Brewin et al 1999; Bryant RA, Moulds ML & Guthrie RM, 2000; Harvey & Bryant 1998), dissociazione peritraumatica ed amnesia dissociativa (Koopman C, Classen C & Spiegel D,1994), si può parlare di Disturbo Acuto da Stress, che con un umore depresso (Feedman et al 1999;Yehuda R, McFarlane AC & Shalev AY, 1998) risulta essere predittore di un PTSD.

A distanza di alcuni mesi dal trauma, infatti, si potrebbero manifestare sintomi di un DPTS, caratterizzati da comportamenti di evitamento di tutto ciò che potrebbe riguardare o rievocare il trauma, sia indirettamente che a livello simbolico e che causa un grande disagio psicologico; flashback, pensieri intrusivi sotto forma di immagini, scene, sensazioni che rievocano l’accaduto; incubi che fanno rivivere l’esperienza dell’evento in modo molto realistico con conseguente difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; iperattivazione, caratterizzata da insonnia, irritabilità, bisogno di controllo, nervosismo con attacchi di panico e/o stati d’ansia generalizzata.

La reazione che un individuo può mostrare in seguito all’esposizione al trauma dipende oltre che dall’entità del trauma (più è grave l’evento critico, più la persona sperimenta impotenza, terrore e angoscia), anche dalle caratteristiche della personalità pre-traumatica. Esistono,infatti,fattori che aggravano la risposta fenomenica sul piano psicopatologico ed altri fattori, cosiddetti protettivi,che riducono le conseguenze sulla salute mentale delle persone coinvolte.

La maggior parte delle persone che hanno vissuto un evento traumatico lo supera presentando solo transitori disturbi psichici. Alcuni soggetti, invece, sviluppano disturbi psichici, tra cui il DPTS. Questo in quanto dopo un trauma risultano importanti,oltre che la natura drammatica dello stesso, le modalità individuali di interpretazione e quindi le modalità di risposte messe in atto dal soggetto,ovvero dalla resilienza e dal coping. La resilienza può essere definita come la capacità di adattarsi con successo alle avversità acute e croniche; ed è proprio la resilienza che può aiutarci a capire perché, quando esposte a stress,alcune persone si ammalano mentre altre restano sane. La resilienza è influenzata da vari fattori,quali esperienze dell’infanzia,componenti genetiche ed epigenetiche,e infine da circostanze socioeconomiche che possono presentarsi sia nell’infanzia sia nella vita adulta (Steptoe A., 1991).

Avendo uno scopo esclusivamente informativo, tale articolo non può rappresentare una prescrizione medica o psicologica, se ritieni di aver subito situazioni fortemente stressanti o traumatiche richiedi una Consulenza Psicologica per affrontare la tua situazione.

Si tratta di un concetto che in qualche misura eccede quello di coping. Nella definizione originale di Lazarus e Folkman (1984),il coping viene infatti definito come processo adattivo che impegna il soggetto nel superamento di una situazione stressante,in modo da eliminare,ridurre o tollerare la situazione stessa. Sebbene il concetto sia stato in seguito ampiamente sviluppato,si può ritenere che esso rimanga fondamentalmente ancorato alla prospettiva patogenica che,come già evidenziato,lavora al fine di far fronte all’evento stressante con l’obiettivo di neutralizzarlo,ripristinando se possibile lo status quo.

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