Psicoterapia Cognitivo Comportamentale efficace per ansia, fobie e attacchi di panico

L’efficacia della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Un confronto tra psicoterapia e farmaco nella cura dei principali disturbi psicologici

Marijana Milotic

La Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale è ad oggi considerata uno dei modelli più efficaci per il trattamento dei disturbi psicopatologici, con un ruolo elettivo per il trattamento dei disturbi d’ansia, così come sostenuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Analizzando infatti le linee guida stilat dall’American Psuchiatric Association, emerge chiaramente come la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale risulti essere l’intervento elettivo per svariati disturbi psichiatrici.

Tra gli studi riportati nelle guide linee dell’APA di particolare importanza sembra essere quello condotto da Barlow, Groman, Shear e Woods (2000) su 312 pazienti affetti da disturbo di panico, suddivisi in 5 gruppi e trattati con terapie diverse: trattamento di imipramina (antidepressivo); trattamento di terapia cognitiva; trattamento di terapia cognitiva e imipramina; trattamento di terapia cognitiva e placebo; solo placebo.

Dai risultati è emerso che il trattamento di terapia cognitiva, su lungo periodo, è più efficace del farmaco. Infatti si è notato che, a distanza di 12 settimane del trattamento, la terapia cognitiva e il farmaco erano efficaci entrambe e superiori al placebo; a distanza di 6 mesi la combinazione di terapia cognitiva e terapia farmacologica era più efficace rispetto ai due trattamenti separati. Infine dopo altri 6 mesi la terapia cognitiva da sola e quella combinata al farmaco era ancora efficace rispetto al solo trattamento farmacologico. Da questi risultati è evincibile che la terapia cognitiva è di gran lunga più efficace rispetto al trattamento con soli psicofarmaci, in quanto al contrario di questi ultimi, continua ad essere efficace anche dopo la fine del trattamento e pertanto la terapia cognitiva risulta essere anche più utile nella prevenzione delle ricadute, rispetto al singolo trattamento farmacologico.

Diversi sono i risultati positivi risultati ottenuti dalla Psicologia Basata sull’Evidenza (EPB), e primi tra tutti quelli ottenuti dalla terapia cognitivo comportamentale, come ben riportato da Michielin e Bettinardi nel loro articolo “Prove di efficacia e linee guida per i trattamenti psicologici e le psicoterapie” (2004). Così come riportato dai due autori, i continuo aggiornamenti hanno consentito di ampliare l’elenco originario delle linee guida dell’APA con trattamenti psicologici nuovi, individuando 29 psicoterapie di efficacia provata, di cui la maggior parte ad orientamento cognitivo-comportamentale. Tra questi troviamo gli interventi cognitivo comportamentali per il trattamento dei disturbi da attacco di panico (DAP) con o senza agorafobia, del disturbo d’ansia generalizzata (DAG), della fobia sociale e del DOC.
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In particolare Roth e Fonagy evidenziano che le terapie comportamentali, utilizzando le tecniche di rilassamento e di esposizione graduale, hanno effetti rilevanti soprattutto per i sintomi fobici e per il disturbo da attacchi di panico (DAP). In particolare, a riguardo di quest’ultimo con agorafobia, i trattamenti cognitivi sembrano efficaci per i 2/3 dei casi, e per il disturbo da attacchi di panico senza agorafobia, per l’85% dei casi.

In totale, così come riportato dai due autori, la percentuale evincibile dai diversi studi dei pazienti che raggiungono il criterio di guarigione oscilla tra ¼ e 1/3 dei casi e le percentuali di ricaduta risultano essere più basse nel caso di trattamento con terapia cognitivo comportamentale rispetto alla sola terapia farmacologica. Per quanto riguarda invece il trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) di asse 1, la percentuale di miglioramento risulta essere pari al 75%.

Michielin e Bettinardi, rifacendosi sempre alle linee guide dell’APA, ricordano che la terapia cognitivo comportamentale risulta essere di provata efficacia empirica anche per il trattamento della cefalea, della bulimia, del dolore nei pazienti affetti da artrite reumatoide e per il trattamento del dolore cronico, oltre che per la cessazione del fumo e per il trattamento di distress indotto dalle malattie tumorali.

La terapia cognitivo comportamentale risulta invece essere di probabile (non provata) efficacia empirica, per altri trattamenti come quello dell’obesità nell’adolescente e dei disturbi del comportamento alimentare (DCA). Ancora Roth e Fonagy (1997) hanno individuato come efficaci gli interventi psicologici cognitivo-comportamentali per il trattamento degli anziani, con particolare enfasi sugli interventi che mirano all’incremento delle abilità di coping e alla prevenzione delle ricadute. E’ interessante riportare i risultati di un altro studio condotto da Stallard e Buck (2013), sulla prevenzione della depressione e la promozione della resilienza, in un intervento cognitivo comportamentale a scuola. I due autori hanno investigato la fattibilità dell’intervento e valutato un programma di prevenzione universale della depressione per ragazzi dai 12 ai 16 con trattamento cognitivo comportamentale.

I risultati hanno mostrato alti tassi di consenso (pari al 89 %), l’85% degli studenti ha frequentato 7 o più sessioni e il contenuto del programma è risultato accettabile per studenti e insegnanti. Infine preme riportare i risultati dello studio condotto da Fassone, Ivaldi e Rocchi (2003) sulla riduzione del drop – out nei pazienti con gravi disturbi di personalità attraverso un modello di psicoterapia cognitivo comportamentale integrata, individuale e di gruppo. La ricerca è stata condotta su 40 soggetti divisi in 6 gruppi di terapia integrata per un peridio di tempo di 18-24 mesi. I risultati hanno mostrato che la percentuale di drop – out rilevata tra coloro che avevano seguito una psicoterapia cognitivo comportamentale era pari al 15% contro il 55% rilevata prima dell’inizio del trattamento.

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