Diagnosi di Autismo nel DSM

La diagnosi di Autismo nel DSM e nell’ICD-10

Diagnosi e classificazione di autismo

Gaia Baldoni

 

I manuali di classificazione internazionali quali il DSM IV-TR e ICD-10 collocano l’autismo, il primo, sotto la denominazione di “disturbi pervasivi dello sviluppo”, e il secondo adotta la definizione “alterazioni globali dello sviluppo psicologico”. Affinché si possa porre il quesito della diagnosi di autismo, il soggetto deve presentare alterazioni evidenti in almeno 3 contesti; a questo proposito gli autori in Letteratura sono soliti usare l’accezione triade sintomatologica. I deficit riguardano:

1) l’interazione sociale

2) il linguaggio e le capacità comunicative

3) la presenza di comportamenti e interessi ristretti e stereotipati

Le compromissioni dell’interazione sociale fanno riferimento alla mancanza di segnali non verbali attraverso i quali il bambino manifesta la gioia e l’interessamento alla presenza altrui, l’assenza di contatto visivo e la mancata riposta al sorriso. Il bambino autistico inoltre, manifesta un marcato evitamento della vicinanza di tipo affettivo; gesti quali abbracciare, baciare, salutare, non fanno parte del repertorio comunicativo di questi soggetti. Il disturbo del linguaggio e delle capacità comunicative riguardano il decremento della capacità di dialogare secondo modalità di tipo verbale e non verbale, la mancata condivisione di stati mentali e la capacità di operare compromessi sociali interagendo in maniera amichevole. Spesso questi soggetti interpretano in maniera letterale ciò che si dice loro, generando equivoci rilevanti nella comprensione sociale.

Gergolalie, ecolalie, stereotipie verbali, alterazioni nell’eloquio sono diffuse. Le alterazioni del comportamento comprendono manierismi, inespressività, sequenze motorie ripetitive e compulsive (dondolamento) ipercinesie, persistenza di giochi ripetitivi. Possiamo citare anche la carenza di abilità immaginative, la capacità di astrazione e una difficoltà nella progettazione e nella previsione di eventi. Tra le manifestazioni non specifiche vengono fatte rientrare le fobie, i disturbi del sonno e dell’alimentazione e risposte anomale alle stimolazioni sensoriali.18 L’autismo fu inizialmente considerato come un sottotipo di psicosi per poi differenziarsi da queste manifestazioni, andando a rientrare nella categoria dei “disturbi generalizzati dello sviluppo”. Con tale denominazione si fa riferimento a una patologia pervasiva sulle principali aree di sviluppo comportante modificazioni relativamente permanenti e di lunga durata nei contesti sopracitati, la quale non soddisfa i criteri per una diagnosi di ritardo dello sviluppo.

L’espressione rappresenta la traduzione italiana del termine “pervasive developmental disorder” anche se in questo caso non è opportuno parlare di trasposizione letterale. I disturbi pervasivi dello sviluppo, nella quarta edizione del DSM- TR, sono ripartiti come riportato qui di seguito:

Disturbo autistico. Nel DSM- IV le principali caratteristiche del disturbo sono la presenza di marcate anomalie e compromissioni nella comunicazione e nell’interazione sociale e un repertorio ristretto di attività e interessi. Il disturbo si manifesta con un ritardo o con un funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree prima del raggiungimento dei tre anni di età.19 Secondo le ultime indagini del US center of disease and control (CDC) realizzate negli Stati uniti, attraverso indagini condotte sui genitori e su dati di coorte in Letteratura, l’incidenza della patologia negli ultimi anni è aumentata sorprendentemente raggiungendo una percentuale del 70 % nell’arco di cinque anni, passando dal 1,16% nel 2007 al 2% nel 2011-2012. I soggetti maggiormente colpiti sono i ragazzi (con un incremento dal 1,80% al 3,23%) mentre per le ragazze le percentuali oscillano tra lo 0,49% allo 0,70%; ne consegue che i ragazzi hanno una probabilità quattro volte superiore rispetto alle coetanee donne di manifestare un disturbo dello spettro autistico (0,73% nel sesso femminile contro 1,45% del sesso maschile).20 La patologia è spesso associata al ritardo mentale, presente nel 75% dei soggetti autistici. Si è soliti distinguere tra individui ad alto funzionamento (con quoziente intellettivo superiore ai 70) e a basso funzionamento (inferiore ai 70), tuttavia poiché la somministrazione di test di tipo intellettivo è particolarmente problematica, data la complessità del disturbo, può accadere che individui diagnosticati a basso funzionamento, posti in contesti adeguati, dimostrino abilità superiori rispetto a quelle attese.21

I criteri indicati dal DSM-IV-TR per l’elaborazione della diagnosi sono riportati qui di seguito:

A. Un totale di 6 (o più) voci da (1), (2), e (3), con almeno 2 da (1), e uno ciascuno da (2) e(3):

1) compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:

       a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale.

        b) incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo

     c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per es: non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse)

        d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva;

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

        a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un

tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica).

   b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri.

       c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico22

      d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

   a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

   b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

  c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)

   d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.

C. L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza.

Bibliografia

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Cattelan Lidia, Autismo, Manuale operativo per docenti e genitori, , Boldoro 41, Vicenza, Industrial Zone, 2011, pp. 25-26 10

1DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS E MOBBING: MODELLITEORICI E INTERVENTO.INTRODUZIONE.Il presente lavoro offre una lettura del fenomeno del mobbing e del disturbo post- traumatico da stresssecondo una prospettiva clinico- psicologica. Il mobbing si configura come un insieme di vessazioni sulposto di lavoro, frequenti e protratte nel tempo che hanno l’esito, o la finalità di isolare e/o estromettere illavoratore. Negli ultimi anni, il mobbing è in incremento per motivazioni di carattere macroeconomico(globalizzazione , etc …), e per il cambiamento delle tipologie di lavoro e dei correlati rischi lavorativi.D’altronde, il tema dei disturbi e delle patologie derivanti da, o riconducibili a situazioni mobbizzanti parerivestire carattere di patologia sociale dilagante. Fra gli elevati costi individuali, aziendali, sociali, diparticolare rilevanza sono le conseguenze sulla salute riscontrate dopo un periodo variabile di esposizionealla condizione mobbizzante. Queste conseguenze possono manifestarsi inizialmente a carico della sferaneuropsichica; successivamente con importanti ricadute psicosomatiche e fisiche, che comportano non solouna riduzione della capacità lavorativa fino a stati invalidanti, ma possono definire altresì un quadro dirilevante danno biologico, con risvolti di tipo esistenziale, sociale e relazionale. È pertanto quanto maiopportuno un accordo tra gli organi competenti che, oltre al riconoscimento della rilevanza del fenomeno,sviluppi linee guida per la gestione complessiva del fenomeno mobbing, comprendente gli aspettiinformativi, formativi, divulgativi, clinico- diagnostici, terapeutici, riabilitativi, medico-legali, legali epreventivi. Occorre riconoscere che il fenomeno del mobbing sfugge a una interpretazione individuale pertrovare invece la sua collocazione all’interno delle dinamiche organizzative. Ciò significa che il conflitto può(deve) essere gestito e che anzi la sua modalità di gestione determina le caratteristiche dei contestiorganizzativi e lavorativi sia sul versante oggettivo, normativo, formale e strutturale, sia sul versantesoggettivo, psicologico e informale. Le conseguenze sulla salute più frequentemente correlate al mobbingsono psicopatologiche, psicosomatiche e comportamentali. Il più frequente inquadramento diagnostico è ilDisturbo Post- Traumatico da Stress, condizione psichiatrica caratterizzata da: vissuti ricorrenti e intrusividell’evento, evitamento di situazioni che richiamano l’evento, sogni angosciosi, incubi e flashback. LaSindrome Post-Traumatica da Stress (SPTS) è una risposta ritardata o protratta ad un evento stressante o aduna situazione di natura estremamente minacciosa , in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte lepersone. Sul piano psicologico la sintomatologia è abbastanza uniforme nelle sue manifestazioni, ma conampia variabilità nella gravità del quadro clinico. In rapporto alla durata degli stimoli negativi ed allaintensità della situazione di lavoro, si possono osservare disturbi clinici di entità sempre crescente chetendono ad assumere un andamento duraturo nel tempo sino a vere e proprie devastazioni della personalità.Lo scopo di suddetto lavoro è consentire una lettura del fenomeno del mobbing e le dinamiche ad essocorrelate; un’analisi del Disturbo Post Traumatico da Stress come effetto del mobbing, proponendo strumentidi diagnosi, valutazione, prevenzione. Nel primo capitolo viene fornita un’ analisi sul fenomeno del2mobbing, le sue caratteristiche e dinamiche, contributi fondamentali presenti in letteratura sull’argomento,sugli effetti, diagnosi e strumenti di valutazione. Nel secondo capitolo è affrontato il tema delletrasformazioni nel mondo del lavoro che possono in qualche modo facilitare la messa in atto di azionimobbizzanti. Viene proposta una lettura del fenomeno del mobbing come fallimento della dinamica collusivache nasce quando un cambiamento organizzativo rende obsoleta la dinamica organizzativa fino a quelmomento efficace nel sostenere i rapporti di convivenza; l’analisi del fallimento collusivo e lo sviluppo di un“pensiero anzi”come strategie di intervento psicologico- clinico rivolte alle aziende, alle organizzazioni.Vengono forniti una serie di criteri per la valutazione del danno (sia esso morale, biologico, psichico,esistenziale). Nel terzo capitolo è presentato il Disturbo Post- Traumatico da stress come conseguenza delfenomeno del mobbing, vengono precisati i criteri diagnostici previsti dal DSM IV (Manuale Diagnostico eStatistico dei Disturbi Mentali) per il DPTS e la diagnosi del Disturbo Post- Traumatico da Stress in caso dimobbing. Nell’ultimo capitolo sono affrontate le modalità di intervento e prevenzione; vale a dire gliapprocci psicoterapeutici specifici, la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari e itrattamenti farmacologici del disturbo post- traumatico da stress, proponendo delle ipotesi di prevenzione.3IndiceCapitolo 1.Fenomeno del mobbing:1.1 Il mobbing: un processo relazionale e psicosociale. Pag.41.2 Caratteristiche del mobbing. Pag.41.3 Contributi significativi in letteratura e teorie causali sul fenomeno. Pag.61.4 Le dinamiche del mobbing. Pag.101.5 Effetti del mobbing. Pag.151.6 Diagnosi e valutazione. Pag.19Capitolo 2.Mutamento nel mondo del lavoro e mobbing:2.1 Le trasformazioni del mondo del lavoro. Pag.252.2 Il mobbing come manifestazione del fallimento collusivo. Pag.262.3 Fallimento collusivo come “crisi della competenza”. Pag.272.4 Analisi del fallimento collusivo. Pag.282.5 Una lettura psicologico- clinica del mobbing. Pag.292.6. Criteri per la valutazione del danno. Pag.30Capitolo 3.Disturbo post-traumatico da stress come effetto del mobbing:3.1 Cos’è il disturbo post-traumatico da stress? Pag.323.2 Criteri diagnostici per il Disturbo Post-Traumatico da Stress. Pag.333.3 La diagnosi del disturbo post-traumatico da stress nei casi di mobbing. Pag.343.4 Valutazione in sede di visita INAIL della patologia psichica. Pag.39Capitolo 4.Modalità di intervento e prevenzione:4.1 Approcci psicoterapeutici specifici. Pag.434.2 Eye movement desensitization and re processing. Pag.494.3 Trattamenti farmacologici del disturbo post-traumatico da stress. Pag.524.4 Ipotesi di prevenzione. Pag.5441. Fenomeno del mobbing.1.1.Il mobbing : un processo relazionale e psicosociale.In questi ultimi anni si assiste ad un interesse sempre più diffuso per un fenomeno chiamato “mobbing” cheviene riferito comunemente alle relazioni tra persone nei contesti lavorativi. Il fenomeno è complesso; c’èchi parla di guerra, violenza, conflitti, terrorismo psicologico. In realtà non esiste ancora una definizionecondivisa del fenomeno (Depolo, 2003). Il mobbing rappresenta un processo che chiama in causal’articolazione, in senso psicosociale, tra realtà fenomenica e conoscenza scientifica dei costrutti psicologici(relazionali). Esso riguarda il rapporto tra singole persone, tra persone e gruppi e tra gruppi; si tratta di unfenomeno sociale che, in un’ottica psicologica- clinica, non può che essere affrontato attraverso un modellodella relazione sociale. Il mobbing esiste nella misura in cui lo si ritiene un processo che include gli attoricoinvolti in una scena in cui è presente ma anche chi lo osserva, chi ne fa oggetto di conoscenza (loscienziato). È sicuramente un problema relazionale, psicosociale, ma anche organizzativo, nel senso cheassume significati assolutamente peculiari in base alle realtà organizzative nelle quali si manifesta: ognirelazione tra persone risulta circolarmente legata ( è causa ed effetto) alla cultura dell’organizzazione, ai suoivalori, ai suoi simboli. È comunemente definito come una forma di molestia o violenza psicologica esercitataquasi sempre con intenzionalità lesiva ripetuta in modo iterativo con modalità polimorfe; l’azionepersecutoria è protratta nel tempo per un periodo di almeno sei mesi.Le principali categorie di vessazione che si possono realizzare sono (Leymann, 2003):- persecuzione psicologica;- offese verbali e diffusione di maldicenze;- maggiori richieste di attività lavorativa;- violenza fisica;- assegnazione di compiti dequalificanti;- stigmatizzazione sociale.Il mobbing, quale processo in situ-azione, è il frutto di una dinamica internazionale e per la suacomprensione è necessario considerare l’intero sistema che include il mobbizzato (vittima), il mobber(aggressore) , il contesto organizzativo e la relazione che collega tutti questi elementi. Il mobbing èl’interazione e la relazione, o meglio, un tipo di interazione e di relazione all’interno di uno specificocontesto. D’altronde lo stesso termine mobbing, l’infinito sostantivo del verbo to mob, esprime un processo,individua un’azione non data per scontata ma in essere,non conclusa, in “movimento”(Serri e Accossu, 2004)1.2. Caratteristiche del mobbing.Sono stati proposti sette parametri affinché si possa asserire di essere in presenza di mobbing (Brodsky,1976, Mikkelsen e Einarsen, 2001):5a) Ambiente lavorativo: la vicenda conflittuale deve essere necessariamente ambientata in un contestolavorativo;b) frequenza:è un criterio che permette di distinguere ciò che va considerato mobbing da ciò che è inveceuna situazione conflittuale transitoria, le azioni ostili devono accadere mediamente almeno una volta allasettimana;c) durata:“ perché si possa parlare di mobbing il conflitto sul lavoro deve durare da almeno sei mesi; talelimite, tuttavia, può essere abbassato anche a soli tre mesi, ammesso però che la frequenza degli attacchi siaquotidiana”;d) tipologia di azioni: Leymann (1990) elaborò una lista di quarantacinque azioni ostili divise in cinquecategorie:1-attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;2-isolamento sistematico;3-cambiamento delle mansioni lavorative;4-attacchi alla reputazione;5-violenze e minacce di violenze.e) dislivello tra gli antagonisti: le persone sottoposte ad azioni di tipo vessatorio si trovano sempre in unaposizione di svantaggio nei confronti dei loro aggressori;f) andamento secondo fasi successive: il mobbing non è una situazione stabile, ma un processo, che evolvegradualmente nel tempo, spesso a partire da una condizione di conflitto non risolto.Leymann (1990, 1993, 1996, 2003) distingue quattro fasi evolutive del fenomeno:- “la condizione zero”: si tratta di una pre- fase, di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e nonha una vittima definita: diverbi d’opinione, discussioni e piccole accuse reciproche;- prima fase, conflitto mirato: si configura la presenza di un conflitto e di una tensione fra alcuni lavoratorinon esplicita, latente ; si tratta spesso di una premessa per un’escalation conflittuale negativa;- seconda fase, inizio del mobbing e del terrore psicologico: cominciano gli attacchi ripetuti e sistematici neiconfronti della/e vittima/e, i ruoli all’interno della dinamica conflittuale si stabilizzano. La vittima manifestai primi problemi di salute e questa situazione può protrarsi per lungo tempo;- terza fase, errori e abusi dell’amministrazione del personale: il conflitto si estende e la vittima inizia arisentire pesantemente delle vessazioni, iniziano le assenze da lavoro e i cali di produttività. Il caso Mobbing6diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del Personale,ponendo in essere provvedimenti che contribuiscono a peggiorare la condizione della vittima del mobbing;- quarta fase, esclusione dal mondo del lavoro: la vittima del mobbing viene marginalizzata ed estromessa operché si dimette o perché licenziata a causa delle sue assenze o del calo di produttività, spesso questa portacon sé rilevanti problemi di salute fisica e psicologica anche dopo le dimissioni o il licenziamento;g) intento persecutorio: l’aggressore/ gli aggressori ha/hanno uno scopo negativo solo nei confronti diuna/alcune determinata/e vittima/e. L’intento persecutorio è dato da tre fattori: lo scopo politico, l’obiettivoconflittuale, la carica emotiva (Ege, 2002).Per quanto riguarda le tipologie di mobbing messe in atto dall’autore troviamo mobbing verticale,discendente, orizzontale, ascendente e combinato. Il mobbing verticale si verifica quando l’azienda siidentifica con l’autore del comportamento vessatorio, cioè quando è l’azienda stessa a mettere in atto dellestrategie vessatorie , dirette o indirette, volte a eliminare un dipendente sgradito. Se ad attuare tali strategiecontro una vittima è un superiore gerarchico, si parla di mobbing discendente. Il mobbing orizzontale siverifica tra pari grado, quando un certo numero di colleghi emargina qualcuno che per qualche motivo ilgruppo non vuole. Il mobbing combinato indica, invece, la situazione in cui le persecuzioni sono attuatecontemporaneamente sia in senso orizzontale sia verticale. A seconda delle caratteristiche delle vittime, ilmobbing può essere individuale o collettivo. È individuale quando a essere oggetto delle persecuzioni è unsingolo lavoratore; è collettivo se il bersaglio del mobber è costituito da un gruppo di lavoratori. Si puòparlare inoltre di mobbing diretto o indiretto. Il mobbing è diretto se i comportamenti vessatori da partedell’autore sono rivolti direttamente alla vittima; il mobbing è indiretto se le azioni vessatorie non sirivolgono alla vittima, ma si riversano sulla sua famiglia, i suoi amici, il suo ambiente e il suo lavoro(Menelao, 2002).1.3.Contributi significativi in letteratura e teorie causali sul fenomeno.I primi studi e la formulazione teorica del mobbing risalgono, agli anni ’80 e si devono allo svedese HeinzLeymann. L’ipotesi di Leymann, secondo la quale le variabili relative alla personalità dei soggettimobbizzati non sono da considerarsi come concause potenziali di mobbing, è stata oggetto di critica da partedi diversi autori. La definizione di Leymann è la seguente:“Il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro consiste in messaggi ostili e moralmente scorrettidiretti sistematicamente da uno o più individui verso (in genere) un solo individuo, il quale, a causa delperpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità di difendersi.Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (secondo la definizione statistica almeno una voltaalla settimana) e per un lungo periodo di tempo (secondo la definizione statistica per almeno sei mesi). Acausa della frequenza elevata e della lunga durata del comportamento ostile, questo maltrattamento produce7uno stato di considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale”( The MobbingEncyclopaedia, 2003).Ci sono due modi diversi di spiegare le cause della violenza psicologica. Il primo è quello delle causesoggettive, che focalizza l’attenzione sui protagonisti del mobbing (vittima, aggressore). L’altro è quellodelle cause oggettive che si concentra invece sulle condizioni sociali e culturali che stanno alla base delmobbing.1.3.1.Cause soggettive : vittime e carnefici. L’approccio “vittimista” di Heinz Leymann.Leymann è stato uno dei pionieri dell’analisi della violenza psicologica sul luogo di lavoro.Egli, essendo unopsicologo, partiva dal presupposto che il mobbing fosse prima di tutto un problema della vittima. Ilmobbizzato era un paziente da curare e lui, il dottore, doveva ascoltare la storia del lavoratore perseguitatoper scoprire se si trattava di vero mobbing o di un normale conflitto lavorativo. La causa scatenante delmobbing secondo Leymann è il conflitto sul luogo di lavoro. La vera causa, quindi, cambia a seconda delconflitto e a seconda della vittima. Leymann è stato uno studioso che ha fornito una notevole quantità diinformazioni, ricerche riguardanti il mobbing ; ma se si prendesse alla lettera il suo modello in quattro fasi(conflitto mirato- inizio mobbing- errori e abusi commessi dall’Amministrazione del Personale- esclusionedal mondo del lavoro) , si rischierebbe di classificare come normali quei conflitti che non rispettano anchesolo uno dei parametri. Il pericolo allora sarebbe di non riconoscere moltissimi casi di mobbing.L’approccio “colpevolista” di Tim Field.Tim Field (autore inglese, scriveva libri sul bullying lavorativo) si concentrava sul “bullo”, il capo o collegache fa mobbing. Secondo Field la causa del mobbing è la personalità disturbata del collega o del capoprepotente. Un bullo è una persona che:-non ha mai imparato a prendersi le responsabilità per il proprio comportamento;-vuole godere i vantaggi di una vita adulta, ma non sa e non vuole accettarne le responsabilità;-nega ogni responsabilità per il proprio comportamento e le conseguenze di esso;-non sa e non vuole riconoscere gli effetti del proprio comportamento sugli altri.Secondo l’autore, alcuni esseri umani sviluppano fin dalla più tenera età un disturbo della personalità che lirende mobber. Il bullo da ufficio è psicopatico dalla nascita, anzi è un “sociopatico” che dovrebbe essererinchiuso. Costoro quando sono all’ultimo stadio della loro pazzia si trasformano addirittura in serial bulliesi quali, come i serial killer, sarebbero mossi da una forza incontrollabile a cercare sempre nuove vittime daviolentare psicologicamente.Le sue opinioni sono molto radicali, ma non vengono condivise da tutti. I criticidi Field sostengono che il mobbing non è un problema della singola persona, ma dell’azienda intera, o forsedell’intero mondo del lavoro attuale.81.3.2. Cause oggettive: clima culturale e violenza aziendale. L’approccio “culturale” di Harald Ege.Harald Ege (ricercatore tedesco), vive e lavora in Italia dalla prima metà degli anni ’90, ha svolto alcunericerche nel campo della psicologia del lavoro. Ha fondato a Bologna, l’Associazione Italiana controMobbing e Stress Psicosociale che si occupa di assistenza e formazione per le vittime della violenzapsicologica sul lavoro. Il mobbing è definito da Ege:“Una guerra sul posto di lavoro in cui, tramite violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più vittimevengono costrette ad esaudire la volontà uno o più aggressori. Questa violenza si esprime attraversoattacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flussodi informazioni, la reputazione e /o la professionalità della vittima. Le conseguenze psico- fisiche di un talecomportamento aggressivo risultano inevitabili per il mobbizzato ” (Ege, 2007, p. 33).L’approccio di Ege tiene conto delle differenze culturali esistenti fra i diversi paesi interessati al mobbing.Infatti, la persecuzione psicologica sul lavoro è un fenomeno che interessa solo le zone più industrializzatedel mondo, ovvero i paesi sviluppati (Europa, Nord America, Australia, Giappone). Secondo Ege bisognaguardare alla causa culturale del mobbing, cioè ai valori predominanti nei diversi paesi e nelle diverse civiltà(Casilli, 2000). Sono tanti i fattori che determinano il “contesto culturale”; fra questi:- l’importanza dellavoro all’interno della vita umana ( se il lavoro ha un ruolo centrale nell’esistenza del mobbizzato, glieffetti della violenza psicologica si fanno sentire di più);- la competitività sul luogo di lavoro ( se il contestofavorisce la concorrenza fra i lavoratori, il grado di conflittualità aumenta e così il rischio di mobbing);- il livello di aggressività giudicato tollerabile ( se viviamo in una società dove l’aggressività è diffusa,saremo portati a considerare il mobbing come una cosa normale e radicata);- gli ammortizzatori sociali ( il mobbing ha effetti meno gravi se i servizi sociali e le reti di solidarietàfamiliare o comunitaria funzionano a dovere);- l’apertura alla diversità e alla multiculturalità ( se la forza- lavoro è molto disomogenea per sesso, età,etnia; e se il paese è tradizionalmente portato all’integrazione delle culture estranee, diminuisce il rischio dimobbing).L’approccio della “violenza organizzativa” di Paul McCarthy.Paul McCarthy ha coordinato una importante ricerca sui legami fra violenza psicologica e stili manageriali.Secondo l’autore, oggi, ci troviamo di fronte a una “nuova generazione del mobbing”. Per capire le sue causedobbiamo pensare che:1) negli ultimi anni l’economia mondiale ha conosciuto enormi trasformazioni tecnologiche, commerciali efinanziarie;2) le aziende moderne devono sopravvivere nei mercati globali, dove la concorrenza è spietata;93) per vincere la sfida della globalizzazione le aziende devono cercare di essere sempre più flessibili eleggere: devono diminuire il costo del lavoro;4) per alleggerirsi le aziende licenziano molti dipendenti, i lavoratori che non vengono licenziati diventanosempre più precari, perdono le garanzie salariali di un tempo e si abituano a vivere sotto la costante minacciadi perdere il proprio posto;5) impiegati e operai devono affrontare ambienti lavorativi in continua evoluzione;6) nasce il “capitalismo del caos”, un nuovo scenario economico mondiale caratterizzato da grandeincertezza;7) per contrastare il panico provocato da questa incertezza nelle aziende si diffonde il mobbing: tutte letensioni e gli stress accumulati vengono scaricati sulle vittime.La struttura organizzativa delle aziende moderne è secondo McCarthy, la causa del mobbing. Nel corso deglianni Novanta le aziende si sono dovute riorganizzare profondamente. Per resistere alla concorrenzapotenziale dei “mercati emergenti”, gli imprenditori hanno imposto la ricetta della flessibilità del lavoro.Hanno introdotto la nuova retorica della “ristrutturazione” per la quale tutti devono collaborare al risultatocomune della eccellenza aziendale. Certo, le ristrutturazioni hanno anche degli aspetti positivi, comel’eliminazione delle burocrazie e delle gerarchie, il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni, la maggioreproduttività e l’aumento della comunicazione. Ma dietro questa facciata la realtà è un’altra. Aumentano leore lavorative, i carichi di lavoro e gli straordinari non pagati, le risorse scarseggiano, ciascun impiegatodeve saper svolgere molte mansioni ( multiskilling ) e addossarsi ogni giorno nuove responsabilità e nuovicompiti. I dipendenti sono chiamati ad assumere ruoli dirigenziali e a fare anche il lavoro dei manager senzaperò percepire stipendi adeguati; spesso si lavora in squadre che cambiano continuamente e questo moltiplicale occasioni di attriti interpersonali. Questo scenario, rende il mobbing una strategia economica che nonmanca di dare i suoi frutti sia se applicata in prima persona dal capo, sia se tollerata fra i dipendenti. Si tratta,secondo McCarthy di una violenza psicologica che organizza produttivamente le risorse umane dell’azienda;per cui il mobbing è un processo altamente produttivo, cioè produce il massimo effetto con il minimo sforzo.Sia le spiegazioni soggettive che quelle oggettive del mobbing si basano su:- un ambiente insicuro;- un conflitto fra persone.Leymann e Field sostengono che l’ordine è il seguente: Conflitto interpersonale – Ambiente insicuro –Mobbing. Invece per Ege e McCarthy la sequenza logica è: Ambiente insicuro – Conflitto interpersonale –Mobbing.Il mobbing, è un fenomeno complesso, difficilmente il motivo scatenante può essere uno solo. Altredefinizioni e descrizioni del mobbing fanno riferimento alle valenze sociali, economiche e politiche delfenomeno. Il sociologo Casilli, per esempio, sottolinea che lo scopo del mobbing è:10“sfruttare a fini produttivi e poi eliminare un dipendente, un lavoratore, un collaboratore. Non importa se èqualificato, motivato e competente, oppure se è un “ramo secco” e non è gradito ai colleghi e ai capi […].La persecuzione psicologica porta al licenziamento volontario (o imposto) della vittima senza clamore daparte di sindacati e giudici di lavoro”(Casilli, 2000, p. 27).Le azioni di mobbing possono essere classificate in sei categorie ( Casilli, 2000 ) :1.“mobbing verbale” e umiliazione (per es., insulti, sarcasmo, rimproveri, ecc.);2. limitazione della facoltà di espressione della vittima ed eccessi di controllo (per es., impedire di parlare,telefonare continuamente, ispezioni, ecc.);3. discredito, calunnie e “tranelli” (per es., accuse false pettegolezzi, diffusione di notizie riservate, ecc.);4. isolamento fisico e professionale (per es., trasferimenti, cambio di mansione, esclusione da occasioni disocializzazione, ecc.);5. interferenze con gli strumenti di lavoro della vittima (per es., sabotaggio, vandalismo, occultamento dinotizie essenziali, ecc.);6. attentati alla salute fisica e psichica della vittima (per es., persecuzioni, minacce, assegnazione a mansionipericolose, ecc.).1.4. Le dinamiche del mobbing.Le dinamiche, le azioni, i contenuti del mobbing possono presentarsi con le modalità più diversificate, ma ilcopione di fondo e gli attori in scena sono riconducibili a poche tipologie generalizzabili. I canoni della“recita mobbing” prevedono i seguenti personaggi:- il o i registi;- i gregari istigatori;- il o i mobbizzati;- gli omertosi plaudenti;- gli omertosi indignati.Solitamente in scena si muovono gli attori che innescano e sostengono il processo di mobbing ( mobber ),quelli che lo subiscono ( mobbizzati ) e coloro che assistono con apparente bassa implicazione (glispettatori). Al loro interno i mobber si possono dividere in registi, più o meno occulti, e in gregari istigatori.Commento [o1]: Quando fa unacitazione letterale (cioè virgolettate) ènecessario inserire anche il numero dipagina da cui la citazione è stata presa11Gli spettatori al loro interno si dividono tra quelli che, in silenzio e omertà, assistono condividendo ilprocesso e quelli, in altrettanta omertà, che lo ritengono riprovevole ma non hanno la forza di denunciarlo.L’obiettivo è quello di guadagnare un pluspotere diretto, giocato nei confronti dei mobbizzati e un pluspotered’influenza indiretta rispetto agli spettatori. Le cause maggiori che possono favorire i processi di mobbingsono da ascrivere ai profili di personalità degli attori coinvolti e altre condizioni organizzative. Per quantoriguarda gli aspetti di personalità, si può ribadire che sono più indotti a instaurare fenomeni di mobbing gliindividui che privilegiano relazioni improntate alla verticalità gerarchica, rispetto a individui che mostranoattitudini improntate a orizzontalità negoziale. Le personalità che privilegiano il copione orizzontale,immesse in un ambiente poco strutturato, tendono ad instaurare ordine e trasparenza in termini di definizionidi regole del gioco organizzative,al fine di minimizzare le soggettività interpretative e distorsive; premiandoquelle contributive verso i risultati. Tali individui difficilmente instaurano dinamiche di mobbing; essipossono più facilmente esporsi al ruolo di vittime designate proprio perché tendono a sottostimare i legamigerarchici e a privilegiare i significati professionali. Una personalità forte e verticale tenderà a fare il registadei processi di mobbing, le personalità verticali relativamente più deboli potranno interpretare il ruolo deigregari istigatori o degli spettatori omertosi. Le personalità orizzontali più deboli rischiano il ruolo dellevittime predestinate o quello degli spettatori omertosamente indignati. Le personalità orizzontali forti,insediate in ruoli organizzativi di comando, sono portate a favorire contesti di confronto negozialetrasparente caratterizzato da solidi ancoraggi oggettivi e professionali (Vaccani, 2007).Soggetti colpiti ( bersagli ).Ogni lavoratore, indipendentemente dalle caratteristiche della propria personalità e del proprio carattere, puòessere oggetto di molestie morali. Tuttavia, oltre alla soglia individuale di resistenza alla violenzapsicologica, alcune caratteristiche personologiche o situazionali possono favorirne l’insorgenza o ladiffusione. Sono potenziali bersagli soprattutto:- lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività svolta, o con capacità innovative o creative;- soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap;- “diversi” sotto vari punti di vista e tratti socio- culturali ( provenienza geografica, etnia, religione, sesso,ecc … );- lavoratori rimasti estranei a pratiche illecite di colleghi.È possibile rilevare tre condizioni:-il soggetto bersaglio era in precedenza un individuo in soddisfacente equilibrio psico- fisico;- il soggetto bersaglio aveva già in precedenza una personalità con disturbi comportamentali compensati;- il soggetto bersaglio era in precedenza una persona portatrice di disturbi comportamentali conclamati.12La condizione di preesistenza di disturbi neuro comportamentali non esclude l’esistenza di un nessoeziologico tra ambiente di lavoro e patologia psichiatrica derivata. Al contrario, occorre verificare da unpunto di vista medico- legale che esista un nesso di causalità tra ambiente lavorativo e il peggioramento di unquadro clinico del soggetto, evidenziando eventuali ulteriori fattori eziopatogenici (Gilioli et al, 2000).La guerra sul lavoro consta di tre elementi ( Ege, 2002 ):- il ruolo dell’emotività e della soggettività, la presenza della carica emotiva all’interno di un conflittogeneralmente rendono il clima organizzativo avvelenato ed irrespirabile e contribuiscono ad allontanare lasoluzione. Se si lascia entrare in discussione la carica emotiva, il conflitto proseguirà all’infinito spostandosisempre su nuovi campi e toccando sempre nuovi tasti fino ad evolversi probabilmente, nel Mobbing. Nellaguerra sul lavoro l’emotività e la soggettività giocano dalla parte del mobber; egli ama provocare la suavittima perché facilmente otterrà reazioni scomposte ed esagerate e quindi facilmente punibili. L’emotivitàdà sicurezza e aumenta il coraggio e la determinazione a compiere azioni anche estreme; se il mobber si èposto un obiettivo per lui fondamentale, è naturale che investa una forte carica emotiva nel raggiungerlo.- Azioni mobbizzanti, si tratta degli attacchi e delle strategie ostili che il mobber mette in atto contro lavittima e che incarnano il suo obiettivo conflittuale- Motivazione del mobber, la ragione per cui il mobber porta avanti il suo attacco è quello che può esseredefinito il suo scopo politico. Lo scopo politico è il punto centrale del mobbing da cui dipendono gli altri dueelementi fondamentali, ossia il ruolo dell’emotività e della soggettività e le azioni mobbizzanti; senza unamotivazione, ovvero uno scopo politico, nessun conflitto può durare a lungo. Perché ci sia Mobbing, ilconflitto deve attestarsi con una certa durata e una certa frequenza e ciò può avvenire soltanto se il mobberha uno scopo preciso e prosegue la sua azione finché non l’ha raggiunto. Si tratta di tre caratteristicheintrinsecamente legate al mobber.1.4.1.Una ricerca scientifica italiana.La ricerca sul ruolo del tempo nel Mobbing, è stata condotta nel corso del 1999 da Ege su un campione di469 vittime di Mobbing che si erano rivolte per aiuto ed assistenza all’Associazione Italiana contro Mobbinge Stress Psicosociale. Alle vittime, provenienti da tutte le regioni italiane e da tutti i settori professionali , erastato chiesto di rispondere alle domande di un questionario anonimo: si trattava in particolare delquestionario di Mobbing denominato LIPT ( Leymann Inventory of Psycological Terror ). I parametriindagati sono:-età della vittima, la maggior parte delle vittime di mobbing della ricerca hanno un ‘età tra i 31 e 50 anni eche 2 su 5 hanno tra i 41 ed i 50 anni. Il dato è senza dubbio significativo perché dice chiaramente che igiovani sotto i trent’anni sono tendenzialmente meno a rischio di Mobbing. I motivi di questo possono esserevari. La conclusione è piuttosto allarmante poiché sopra i 50 anni, infatti, solitamente la pensione non èlontana, spesso si continua a lavorare non perché non si ha altra scelta ma solo per raggiungere un livello13retributivo più soddisfacente. Dunque, anche persone vicine alla pensione chiedono aiuto per mobbing e sitratta di persone già affermate nella carriera, nella società e nella famiglia; di solito guadagnano abbastanzabene e spesso sono al culmine delle loro capacità professionali. Lo stipendio elevato, insieme alla posizioneacquisita all’interno dell’azienda possono scatenare contro di loro; d’altra parte, conoscendo a fondo illavoro, sono in genere bravi ed efficienti e occupano posizioni chiave: questo può suscitare le invidie diqualche collega;-il sesso della vittima,sembrerebbe che il mobbing colpisca più le donne ( che costituiscono più del 57%delle vittime della ricerca) piuttosto che gli uomini. Le donne, per quanto possano essere ambiziose edeterminate nel fare carriera; a livello generale hanno a disposizione anche altre possibilità per realizzarsi: lafamiglia, la casa, i figli, il volontariato, l’impegno sociale. Gli uomini, d’altro canto, quasi sempre sonoconvinti di dovere e potere esprimersi al meglio solamente nel lavoro e nella carriera professionale. Proprioperché crede che il lavoro sia l’ambito privilegiato di auto espressione e autorealizzazione, davanti a unasituazione di conflitto o di Mobbing, l’uomo tende a bloccarsi ed irrigidirsi. Ammettere di stare malesignificherebbe per gli altri ma soprattutto per se stesso ammettere di aver fallito; per orgoglio, dunque, ilmobbizzato tende a chiudersi in sé, a rifiutare qualsiasi aiuto. Le donne, d’altra parte, non solo hanno sullavoro un imperativo culturale con cui fare i conti, ma sono anche maggiormente sensibili sia ai mutamentidei rapporti sociali sia alla propria cura e salute personale per cui in caso di ambiente conflittuale sul posto dilavoro cerca subito aiuto, senza preoccuparsi di quello che potrebbero pensare di lei i colleghi, i parenti;– la durata del mobbing, il dato riguarda la durata del mobbing, dai primi problemi sul lavoro al momentodell’intervista o dell’analisi, o dal momento in cui la vittima ha percepito il conflitto per la prima volta, almomento in cui si è resa conto di non farcela da sola ed ha chiesto aiuto. Circa l’85% delle vittime subiscemobbing da almeno un anno, mentre circa una vittima su tre lo subisce da oltre 5 anni. Nella stragrandemaggioranza dei casi il mobbing dura ormai da molti anni; oltre ai disagi e alle molestie sul lavoro si sommaun altro scottante problema sociale : la disoccupazione. In un continente come l’Europa, e specificatamentein un Paese come l’Italia, i cui posti fissi sono in diminuzione; diventano più popolari i contratti a tempodeterminato o i contratti di prestazioni occasionali, le persone che possono contare su un posto di lavoro fissoper mantenere la famiglia e un certo tenore di vita sono disposti a lottare fino all’ultimo sangue per tenerselo,magari anche a sopportare soprusi ed umiliazioni; si può arrivare ad accettare un dimensionamento pur dimantenere il posto. Purtroppo, le vittime di mobbing che chiedono aiuto sono persone ormai allo stremo,provate da mesi e anni di abusi e umiliazioni, che presentano ormai forti disturbi psicosomatici e, anchepsicofisici;– gli anni di lavoro della vittima,due vittime su tre lavorano da oltre 8 anni nell’azienda o organizzazione incui si è verificato il mobbing; non sembra affatto che i mobbizzati preferiscano dimettersi e cercare un altrolavoro per sfuggire al mobbing: al contrario, stando alla statistica, pare che in maggioranza restino al loroposto nonostante le angherie, i soprusi, le umiliazioni. Allora perché sembra che nel mirino dei mobber siano14soprattutto gli impiegati con maggiore anzianità di servizio? Una possibile spiegazione potrebbe esserel’ipotesi che la vittima stessa abbia anche in modo fortuito e inconsapevole , provocato il conflitto, con il suocomportamento ( per esempio: una critica troppo marcata, un ritardo nella consegna di un rapporto, ecc );oppure con la sua semplice presenza, divenuta all’improvviso “ingombrante” . D’altra parte, se le personepiù a rischio di subire mobbing sono quelle che lavorano in quel posto da anni e che conoscono bene icolleghi , si potrebbe anche ipotizzare che la ragione per cui da un momento all’altro vengono esposte aumiliazioni, prese in giro, altre azioni mobbizzanti sia semplicemente la noia, l’abitudine. In fondo nessuno èal sicuro al 100% dal rischio mobbing, nemmeno i neoassunti;-periodo di tempo tra assunzione e l’inizio del mobbing, il 48% delle vittime, vale a dire quasi una vittimasu due, ha visto iniziare azioni ostili e mobbizzanti contro di sé dopo oltre cinque anni di servizio in quelposto di lavoro. D’altra parte, procedendo in ordine decrescente, la seconda categoria è proprio quella deineoassunti: il 18% delle vittime sono state mobbizzate immediatamente dopo essere state assunte. Al terzoposto, con una percentuale simile, ma leggermente inferiore ( poco meno del 17%) si situano coloro chehanno subito mobbing dopo un periodo di lavoro compreso tra due e cinque anni. Sul lavoro, quindi, o siviene mobbizzati subito per non aver superato il cosiddetto “test di entrata”, oppure si può starerelativamente tranquilli per almeno due anni, periodo in cui ha luogo il secondo esame, il “test diproseguimento”, il cui risultato dirà effettivamente se si è accettati e si può continuare a lavoraretranquillamente in quell’ambiente oppure se si è rifiutati e mobbizzati. I risultati fondamentali emersi inquesta ricerca; e cioè che le persone tendenzialmente più esposte al rischio mobbing sono:- i lavoratori più maturi rispetto ai giovani sotto i trent’anni;- le donne rispetto agli uomini.Concludendo:1) sono stati individuati due gruppi di persone maggiormente esposte al rischio di essere mobbizzate: gliuomini tra i 31 ed i 40 anni e le donne tra i 41 e i 50 anni;2) le donne tendono ad essere mobbizzate per meno tempo rispetto agli uomini;3) uomini e donne generalmente lavorano da molto tempo nel posto di lavoro dove sono mobbizzati, gliuomini soffrono per più tempo per il mobbing;4) si tende a subire il mobbing o immediatamente dopo l’assunzione o a partire da qualche anno dopo,raramente nei primi due di servizio;5) le fasce d’età che tendono a soffrire di mobbing più a lungo sono quelle dai 40 ai 50 anni e quella degliultrasessantenni; dai 51 ai 60 anni, invece, in genere il mobbing dura meno di 5 anni;6) generalmente dai 40 anni in su si lavora ormai da molti anni nel posto di lavoro dove si è mobbizzati, mafino a 50 anni una persona su tre si trova in quell’azienda da meno di 8 anni;157) i giovani vengono spesso mobbizzati immediatamente dopo l’assunzione per problemi relativi al carattere,l’aspetto, il modo di rapportarsi agli altri, anche se non accettano di essere mobbizzati per molto tempoperché sanno di avere maggiori possibilità di trovare un impiego alternativo;8) le vittime impiegate da molto tempo nello stesso posto generalmente non riescono a liberarsi dal mobbingin breve tempo;9) se il mobbing inizia subito dopo l’assunzione, tenderà a durare per molto tempo poiché dovuto a fattoripersonali e soggettivi ( non superamento da parte della vittima del cosiddetto “test di entrata”); se invece ilmobbing si sviluppa all’improvviso dopo anni di convivenza professionale , durerà di meno e sarà causatogeneralmente da un qualche cambiamento sostanziale intervenuto nel clima organizzativo;10) in maggioranza le persone tendono a restare a lungo sul posto di lavoro dove sono mobbizzate, persinoquando gli attacchi sono cominciati immediatamente dopo l’assunzione e quindi sono destinati a durare alungo. La causa di questo comportamento è legata all’alto tasso di disoccupazione e alla crisi persistente delmercato del lavoro (Ege, 2002).1.5.Effetti del mobbing.I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti sono osservabili sulla salute delle vittime che, quasiinevitabilmente, dopo un intervallo di tempo variabile, si altera con manifestazioni nella sfera neuropsichica(come si vede nella tabella 1). Precoci sono i segnali di allarme psicosomatico, emozionale, comportamentale(Gilioli, 1998).Le patologie mobbing correlate:• Alterazioni dell’equilibrio emotivo:depressione dell’umore , desiderio di isolamento, alterazioni dell’umore, abbassamento della autostima, diminuzione della libido,ansia, disturbi del sonno,tensione• Disturbi psicosomatici:cefalea, dolori muscolari, problemi gastrointestinali, tachicardia,palpitazioni e infarti del miocardio, disturbi dell’equilibrio comevertigini, disturbi cutanei, dermatosi• Disturbi del comportamento:disordini alimentari, ricorso all’alcool o aumento del tabagismo,consumo di farmaci e/o psicofarmaci, aumento dell’aggressivitàanche verso sé stessiTabella 1. Le patologie mobbing correlate.Se lo stimolo avverso è duraturo, oltre al possibile concorso nello sviluppo di patologia d’organo, i sintomidescritti possono organizzarsi nei due quadri sindromici principali che rappresentano le risposte psichiatrichea condizionamenti o situazioni esogene: il disturbo dell’adattamento e il disturbo post-traumatico da stress.Commento [o2]: Ogni tabella vanumerata e provvista di un titolo checompaia sotto di lei. Inoltre, nel testo deveesserci un riferimento alla tabella (ad es.:“come si vede nella tabella 1”). Controllinel resto del testo16Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV, le conseguenze sulla salute che possonoderivare da una condizione di mobbing dovrebbero essere comprese nell’insieme definito “Reazioni adEventi”. Tali reazioni includono:- Disturbo dell’adattamento;- Disturbo acuto da stress;- Disturbo post- traumatico da stress.Leymann (1992) ha sostenuto che il mobbing può indurre nelle vittime dei cambiamenti di personalità e neha descritto tre tipi fondamentali (come si vede nella tabella 2). Questi cambiamenti, che Leymann definiscecon il termine “cambiamenti di personalità”, hanno profonda influenza su tutta l’esistenza della persona e inmodo particolare sulle sue relazioni extralavorative, familiari e sociali. Se l’ambiente familiare e sociale nonè più tollerante, molto spesso accade che molto rapidamente dopo un primo periodo di comprensione esostegno, compaiono degli atteggiamenti di indifferenza se non di intolleranza: questo fenomeno è statodefinito da Ege “doppio mobbing”( 2002). La vittima è socialmente espulsa o perseguitata sul lavoro, da unaparte; dall’altra parte, nel mondo extralavorativo, i familiari, gli amici, anche lo stesso medico, non lotollerano più, non riescono a fronteggiare le sue ripetitive lamentale, il suo essere emotivamente concentratosolo sui problemi lavorativi e il lavoratore resta così completamente isolato nel suo ossessivo sforzo diritrovare un accettabile senso di sé.Tipo 1: Prevalenza disintomi ossessivi1.atteggiamento ostile e sospettoso nei confrontidegli altri2.ipersensibilità cronica, nervosismo, sensazionedi essere in pericolo costante.3.Fissazione sul proprio destino ad un grado cheeccede il limite di tolleranza delle persone vicine,conducendo all’ isolamento4. Ipersensibilità riguardo alle ingiustizie eidentificazione costante con le sofferenze deglialtri.Tipo 2: Prevalenza disintomi depressivi1. Sensazione di svuotamento e di disperazione(hopelessness).2. incapacità cronica di avvertire gioia dagli17eventi ordinari nella vita di tutti i giorni.3. rischio costante di abuso degli psicofarmaci odella droga.Tipo 3:pazienterassegnato1. L’ individuo si isola2. non ritiene più di far parte della società(evitamento dei contatti sociali).3. mostra un atteggiamento cinico nei confrontidel mondo.Tabella 2. Modificazioni permanenti della personalità nelle vittime del mobbing (Leymann).Le conseguenze sociali possono essere devastanti in quanto la persistenza dei disturbi psicofisici porta adassenze dal lavoro sempre più prolungate, con “sindrome da rientro al lavoro” sempre più accentuata finoalle dimissioni o al licenziamento. La perdita dell’autostima e del ruolo sociale comporta insicurezza,difficoltà relazionali e, per le fasce d’età più avanzate, l’impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi. Ilsoggetto porta all’interno dell’ambito familiare il proprio stato di grave disagio e non sono rari i casi diseparazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali.Più precisamente, le conseguenze devastanti della situazione di mobbing in ambito sociale interessano trearee distinte (Gilioli, 2000):a) Difficile recupero dell’inserimento occupazionale. Tale difficoltà, oltre che da condizioni di mercato dellavoro fortemente selettivo, è caratterizzata dai seguenti elementi:• La collocazione di un quadro dirigenziale ad alto livello presenta difficoltà maggiori di un lavoratore ditipologia media dal momento che le nicchie di mercato per ruoli dirigenziali sono molto ristrette e “protette”in termini di scalata gerarchica interna alle aziende.• Il contenzioso legale per veder riconosciuti i diritti al recupero della posizione lavorativa precedentementericoperta, in Italia prevede tempi talmente lunghi che la stessa attesa diventa elemento di sofferenzaconcomitante alla sindrome da mobbing. Inoltre, un lungo periodo di attesa (che può ricoprire anche diversianni), determina una perdita di professionalità ad alti livelli che si fonda sul costante esercizio praticodell’attività manageriale.b) Coinvolgimento del nucleo familiare. Agli occhi del soggetto mobbizzato, la famiglia appare come lastruttura sociale immediatamente più disponibile per temporanee forme di compenso. Essa costituiscecomunque un compenso temporaneo, variabile e oltre certi limiti incapace di assorbire, metabolizzare le18tensioni che le si ritorcono pericolosamente contro, implicandola in comportamenti reattivi di natura“patologica”.c) Coinvolgimento del tessuto della vita di relazione. Gli effetti del mobbing si ripercuotonosignificativamente anche nella vita di relazione del soggetto mobbizzato, che subisce una progressivacontrazione, motivata in genere da due fattori:• la caduta del ruolo lavorativo viene vissuta anche come caduta dello stato sociale che si traduce in una fugadai contatti sociali tradizionali;• la problematica del mobbing diventa pervasiva e totalizzante, determinando una progressiva cadutad’interesse per la vita di relazione.A ciò si aggiunga il fatto che i costi delle conseguenze del mobbing non riguardano solo gli aspettiindividuali, ma si riflettono più generalmente a livello aziendale in termini di ore lavorative perse escadimento della qualità del lavoro, della produttività e, a livello della collettività con un aumento dei prepensionamenti,delle invalidità civili e della spesa sanitaria. Il soggetto mobbizzato è diventato improduttivo,di peso per la società, per la famiglia, per se stesso: di ciò egli è consapevole ma non ha più energie daspendere, né entusiasmo da investire. Spostando l’attenzione sugli effetti del mobbing per l’organizzazionedatoriale si evidenziano una serie di possibili conseguenze organizzative, alcune delle quali possono avereuna ripercussione economica più diretta e misurabile altre possono essere meno “monetizzabili”immediatamente ma altrettanto dannose e improduttive. Le possibili conseguenze del mobbing perl’organizzazione sono:- aumento dei costi legati al tempo di lavoro sprecato dal mobber per portare avanti le azioni e strategiemobbizzanti; dalla vittima per difendersi dagli attacchi ostili, dagli spettatori più o meno coinvolti nelprocesso di mobbing, conseguente diminuzione della qualità delle prestazioni lavorative e degli standard diproduttività;- aumento dei costi legati all’incremento della percentuale di assenteismo per malattia e della percentuale diinfortuni sul lavoro a causa dello stato di “malessere” delle vittime generato dalla violenza degli attacchisubiti;- perdita di professionalità acquisita a seguito dell’isolamento forzato e della privazione di consegne dilavoro cui può essere sottoposta la vittima;- deterioramento della qualità delle relazioni di lavoro logorate dalla guerra del mobbing;- deterioramento del clima aziendale ( tendenze ad ingigantire piccoli problemi e continua ricerca di capriespiatori);19- aumento del turnover per il basso coinvolgimento con l’organizzazione;- “esodo” di competenze aziendali per licenziamenti o dimissioni causate da episodi di mobbing econseguente aumento dei costi necessari per la sostituzione delle risorse “perdute” ;- aumento dei costi legati al contenzioso legale;- ripercussioni sull’immagine esterna dell’impresa e possibile perdita di clienti/utenti;- aumento della conflittualità sindacale.A ciò si aggiunge il fatto che l’adozione da parte di gruppi egemoni di strategie mobbizzanti impediscequalunque innovazione sia di processo, sia di prodotto (Di Martino e De Santis, 2003).1.6. Diagnosi e valutazione.L’analisi rispettivamente delle situazioni lavorative di mobbing e delle malattie mobbing-correlate èparticolarmente critica per i seguenti motivi:1. la fonte d’informazione è rappresentata, nella situazione attuale, quasi esclusivamente dalla raccoltaanamnestica diretta;2. la possibilità di verifica di questi dati è scarsa in quanto solitamente la collaborazione dell’ambiente dilavoro è carente.Le citate difficoltà devono essere affrontate con una strategia ad ampio raggio che non esclude la possibilitàdi falsi positivi, né può ridurre la frequenza mediante una rigorosa osservanza dei seguenti punti:• dichiarazione autocertificata della situazione di lavoro da parte del soggetto;• identificazione del livello di attendibilità del paziente ed esclusione di un possibile disturbo fittizio;• identificazione di un disturbo psichiatrico non legato al lavoro ;• identificazione delle caratteristiche e/o comportamenti che definiscono la situazione di mobbing ;• contatto formale con il medico competente ove previsto, al fine sia di aggiungere elementi di validazionedell’anamnesi fornita e sottoscritta dal lavoratore vittima del mobbing, sia di informare e responsabilizzare ilmedico competente stesso;• definizione del quadro clinico e della sua compatibilità con le sindromi mobbing-correlate.Gli strumenti necessari a soddisfare questi criteri sono:• la specifica preparazione alla conduzione di colloqui psicologico-psichiatrici mirati;• l’impiego di strumenti di rilevazione della situazione di mobbing validi e sensibili con particolareriferimento all’organizzazione del lavoro all’interno dell’azienda;20• l’impiego di metodi psicodiagnostici validi e sensibili;• effettuazione di diagnosi sindromica.In ogni caso, comunque, la diagnosi avverrà in seno al lavoro di una équipe multidisciplinare di specialistiche operano in parallelo e coordinati tra loro (Gilioli, 1998-99). L’Ambulatorio di Medicina del Lavoro è illuogo dove avviene l’accoglienza e il primo filtro delle richieste e dei bisogni dell’utente che lamentaproblematiche in ambito lavorativo. In particolare, le figure del team di lavoro sono:• Medico del Lavoro (con particolare riferimento all’anamnesi lavorativa e all’analisi dell’ organizzazionedel lavoro).• Psicologo del Lavoro, per l’analisi e la valutazione dei fattori di rischio, cosiddetti trasversali, in particolaresociali e psicologici.• Medico Psichiatra, per la determinazione della tipologia della reazione ad evento determinatasi e cioè ladiagnosi psichiatrica (DDA, DAS e DPTS).• Psicologo Clinico, per l’analisi e la valutazione delle manifestazioni psicopatologiche attuali e/o pregresseattraverso la somministrazione di batterie di test mirati.• Medico Legale, per la valutazione analitica della sussistenza di un nesso di causalità e per la individuazionedi un eventuale danno biologico.Sulla base dei requisiti e degli strumenti sopra elencati, indispensabili per arrivare a una diagnosisufficientemente affidabile, anche i due inquadramenti di disturbo dell’adattamento (DDA) e di disturbo post- traumatico da stress (DPTS) dovranno essere meglio identificati in base al ruolo svolto dai fattorioccupazionali sui disturbi accusati. In situazioni di violenza psicologica nei luoghi di lavoro, il medico dellavoro può essere chiamato in causa in due diverse condizioni:1) come specialista che opera in un ambulatorio pubblico o privato al quale si rivolge il lavoratore che siritiene vittima del maltrattamento;2) come medico competente dell’azienda in cui si realizza la presunta violenza.Nel primo caso, al medico del lavoro sono richiesti principalmente diversi tipi di impegno:• un ascolto qualificato, cui segue una diagnosi di una patologia che possa riconoscere come causa o comeconcausa l’occasione di lavoro (diagnosi di compatibilità causale);• una certificazione spendibile sul piano medico-legale a fini risarcitori di danno subìto ad opera del datore dilavoro e/o dagli autori dell’aggressione morale;• un indirizzo di carattere sanitario nella gestione e nel superamento dei disturbi conseguenti alla violenzasubita;• la certificazione all’INAIL e le segnalazioni all’Organo di vigilanza ed alla Magistratura dei casi dipatologie riconducibili a situazioni di mobbing o sospetto di eziologia lavorativa .Per fornire una rispostacorretta sia sul piano deontologico- funzionale, sia su quello pratico, il medico del lavoro dispone deitradizionali strumenti di analisi:• accurata anamnesi;21• raccolta di tutti i segni clinici e strumentali utili a una diagnosi;• valutazione delle condizioni lavorative per stabilire il nesso di causalità;• collaborazioni specialistiche.Tuttavia, è difficile fornire una visione obiettiva della situazione dato che il medico del lavoro dispone di unadescrizione soggettiva e inevitabilmente parziale dell’ambiente lavorativo e delle dinamiche relazionali cheavrebbero determinato la molestia morale; per tale motivo, anche quei casi che presentano caratteri psicocomportamentalie sintomatologici indicativi di una patologia da mobbing, vanno identificati secondo uncriterio di compatibilità o di elevata probabilità. Se, invece, il medico del lavoro svolge opera di sorveglianzasanitaria come medico competente e rileva una situazione di molestie morali tra i dipendenti dell’azienda incui lavora, deve (o comunque dovrebbe essere in grado di) raccogliere tutti gli elementi necessari per unavalutazione esaustiva delle condizioni lavorative (tipologia della organizzazione del lavoro, qualità deirapporti interpersonali nel luogo di lavoro) che hanno consentito il realizzarsi di una forma di violenzamorale. La valutazione dei disturbi psichici in una persona che lamenta una condizione di mobbing ècomplessa per la numerosità delle variabili legate alla sfera soggettiva, al contesto e alla natura stessa delproblema. È molto importante adottare una metodologia d’analisi chiara, replicabile e i cui esiti sianocomprensibili ad operatori di diversa professionalità (ISPESL,Clinica del Lavoro di Milano, 2000).Risultano essere fondamentali (Giorgi , Argentero et al, 2004):- l’identificazione del setting, degli operatori e della sequenza delle valutazioni;- scelta di un sistema diagnostico di riferimento;- scelta degli strumenti di assessment.Il sistema diagnostico al quale i diversi operatori hanno concordato di far riferimento è il ManualeDiagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei DisturbiMentali, 1996).Gli strumenti utilizzati nella valutazione del mobbing sono:- il LIPT ( Leymann Inventory of Psycological Terror ) elaborato da Leymann all’inizio degli anni Novanta,è considerato il precursore di tutti i questionari sul mobbing. È un breve questionario anonimo con il quale sichiede al soggetto quali azioni mobbizzanti ha subito. È stato poi modificato da Ege e consta di trentadomande suddivise in tre sezioni successive. La sezione I riguarda i dati personali e dell’azienda, la sezioneII riguarda le azioni ostili subite. La sezione III è relativa alle varie conseguenze che il soggetto ha accusato.In Italia altri strumenti utilizzati nei centri che si occupano di disagio lavorativo e che fannoparte del Network Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei Luoghi diLavoro3, promosso dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL)nel 2007 sono: il Questionario CDL 2.0 della Clinica del Lavoro di Milano e il Questionariosulle Relazioni Percepite nei Contesti Lavorativi (QRPCL) di Pastore.Il questionario CDL 2.0 è composto da tre sezioni: la prima contiene 21 item riguardanti i dati22anagrafici e la posizione lavorativa; la seconda consiste in 39 domande inerenti alcunecondizioni lavorative; la terza comprende 4 domande inerenti le condizioni di salute e la qualità della vita. Ilquestionario indaga leseguenti aree: aggressioni, ambiente di lavoro, autonomia, relazioni interpersonali,prospettive di carriera, carico di lavoro, benessere psicologico;- colloqui specifici con la persona effettuati da un esperto. Questi colloqui perseguono diversi scopi:A) ottenere i dati che ancora mancano per la valutazione ;B) valutare lo stato clinico e la sintomatologia espressa;C) ricercare elementi utili per individuare la struttura di personalità, gli stili difensivi al fine di avereelementi sullo stato anteriore del soggetto;D) invitare il paziente a fornire il maggior numero di elementi oggettivi che comprovino agli occhi di unterzo la condizione di mobbing;In campo psichiatrico, assume particolare importanza la ricostruzione dello stato anteriore del soggetto anchein riferimento ai fattori eziologici concausali extralavorativi.Le possibili conclusioni diagnostiche eziologiche sono:1) presenza di disturbi/patologie preesistenti cui ricondurre tutto il quadro clinico;2) presenza di disturbi/patologie preesistenti (predisponenti) che hanno ruolo concausale ;3) assenza di disturbi/patologie preesistenti;- somministrazione di test, i test comunemente utilizzati sono:a) Test Proiettivi di personalità (Rorschach);b) Costruttivi: Reattivo di Wartegg;c) Interpretativi (TAT);d) Questionari di personalità;e) Test di efficienza intellettiva (Matrici progressive di Raven e Wais). È stato costruito, anche, unostrumento valutativo del rischio mobbing nei contesti organizzativi : la scala “val.mob” (Aiello, Deitinger etal- ISPESL, Roma, 2008) .Il questionario consta di tre sezioni:a) Scala Mobbing: 48 item su una scala Likert a sette passi valutativi, chiedendo al soggettodi esprimersi intermini di grado di accordo/disaccordo rispetto ad ogni affermazione.La scala prevede:1 = Completamente in disaccordo2 = Molto in disaccordo3 = Abbastanza in disaccordo4 = Né in disaccordo né d’accordo235 = Abbastanza d’accordo6 = Molto d’accordo7 = Completamente d’accordo.Per la definizione degli item, sulla base di studi pilota di tipo qualitativo, sono state delineatesette principalied originarie aree tematiche generatrici:1) aspetti di disagio (demansionamento, sovraccarico di lavoro, danni materiali subiti,boicottaggi, mancanza di informazioni, comunicazioni volutamente non corrette, orario dilavoro non rispettato);2) minacce e violenze (minacce verbali o scritte, violenze fisiche e psicologiche, ingerenzenella vita privata,ricatti, frequente controllo);3) isolamento (esclusione, emarginazione);4) comunicazione (comunicazione formale ed informale all’interno dell’organizzazione,violenze verbali,derisioni);5) socialità orizzontale (rapporti con i colleghi) e verticale (rapporti con i superiori);6) attaccamento/commitment lavorativo;7) clima affettivo/emozionale (riconoscimenti dei risultati, crescita professionale, affettività,motivazione lavorativa).b) Scala Sintomatologica: tale scala, che fa parte integrante dello strumento Val.Mob sicompone di 23 item valutati su scala Likert a 5 passi (da 1 = mai a 5 = sempre) e fariferimentoprevalentemente alle principali e salienti categorie di diagnosi attualmente invigore in medicina legale perl’accertamento del fenomeno mobbing.c) Dati socio anagrafici. Conclude il questionario la rilevazione di dati socio-demografici eorganizzativi.Il questionario è stato somministrato nell’ambito di interviste effettuate su soggetti chesi sono rivolti aglioperatori degli “sportelli mobbing” delle Confederazioni sindacali. Sono state condotte analisi descrittive esulla normalità degli item. Per rilevare ladimensionalità e la validità dello strumento è stata utilizzata latecnica dell’Analisi FattorialeEsplorativa (AFE). Il calcolo dell’Alpha di Cronbach ha permesso unastimaempirica dell’attendibilità dellostrumento;attraverso l’analisi della varianza (ANOVA) sono state poiesaminate le possibilidifferenze con le variabili socio-demografiche.Infine la capacità discriminativa dell’intera scala Val.Mob. è stata testata con un’analisi dellaFunzioneDiscriminante (FD) fra i due diversi gruppi considerati nel disegno della ricerca.Dalle analisi fattoriali svolte, la scala Mobbing risulta composta da quattro fattoristabili e attendibili chespiegano il 57,8% della varianza:• il primo fattore (α= .97) è stato denominato Relazionale perché raggruppa tutti gli item cheriguardano il rapporto con superiori e colleghi mettendo in risalto gli aspetti di24comunicazione verbale e non verbale, la comunicazione formale ed informale all’internodell’organizzazione, le violenze verbali, le derisioni e l’esclusione dalle occasioni di ritrovoo durante le pause lavorative;• il secondo fattore (α= .87) è stato denominato Intrusività/Ingerenza perché raggruppa gliitem che riguardano violazioni della vita privata, violenze morali e fisiche, stereotipi epregiudizi, minacce verbali o scritte, ricatti e controllo frequente;• il terzo fattore (α= .90) è stato denominato Dequalificazione perché raggruppa gli item cheriguardano assegnazione di compiti dequalificanti, demansionamento, isolamento,sovraccarico/sottocarico di lavoro, danni materiali subiti, boicottaggi;• il quarto fattore (α = .70) è stato denominato Attaccamento al lavoro e climaaffettivo/emozionale perché raggruppa gli item che riguardano l’ambiente lavorativo e illegame affettivo verso quell’ambiente, i valori lavorativi e la loro corrispondenza con quelliindividuali.È stato pertanto raggiunto l’obiettivo di ottenere uno strumento affidabile dal punto di vistapsicometrico e dipredittività del fenomeno in ambito organizzativo.La scala “Val.Mob.” è stata infatti inserita nel protocollo di valutazione adottato dal Centroper l’Analisi deiRischi e delle Patologie Psico-Sociali di Origine Lavorativa di Verona che faparte del Network Nazionaleper la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei Luoghi diLavoro; inoltre è stata anche tradotta in linguaspagnola ed è in corso di validazione presso laFacoltà di Psicologia dell’Università di Buenos Aires che haavviato un “Programma sulmobbing”, sviluppato dalla 1° Cattedra di Psicologia del Lavoro.In un’ottica di promozione della salute organizzativa, l’individuazione di situazioniorganizzative “a rischio”può e deve infatti essere realizzata avvalendosi di strumentipsicometrici idonei, ossia attendibili e validi, atticioè a valutare il complesso fenomeno delmobbing che caratterizza in modo particolarmente consistente lemoderne organizzazioni,sia pubbliche che private.252. Mutamento nel mondo del lavoro e mobbing.2.1.Le trasformazioni del mondo del lavoro.Le trasformazioni del mondo del lavoro hanno reso sempre più difficile separare gli ambienti di lavoro dallepersone che ci vivono dentro. Oggi, l’attività economica e il lavoro sono cose “personali”; al momentopresente le occupazioni umane si basano principalmente su una buona dose di coinvolgimento psicologico:fare il venditore, la hostess, il manager, sono tutti lavori che prevedono contatti regolari con altre persone.Quindi il lavoro stesso non è più una fatica del corpo, ma una “fatica emotiva”, ecco anche perché soltantoda pochi anni si è scoperto che il mobbing è una malattia professionale: solo da pochi anni il lavoro haraggiunto un livello tale di “personalizzazione” da produrre esattamente questa malattia. Il mobbing è lamalattia lavorativa del momento perché (Casilli, 2000):- è una questione di rapporti interpersonali,- si basa sulla “fatica emotiva”,- non ti lascia in pace neanche quando torni a casa.Non sono dunque gli uomini né diversi ambienti lavorativi a provocare il mobbing, ma è in generale il modoprevalente di intendere e vivere il lavoro. Alcuni paesi europei sono degli osservatori privilegiati per lostudio dei mutamenti della civiltà del lavoro. Uno di questi mutamenti è la cosiddetta “fine del lavoro”.Questa formula, coniata dall’economista americano Jeremy Rifkin si basa su alcune facili tesi:1) per effetto delle nuove tecnologie, il numero di persone che fanno parte della cosiddetta “forza- lavoro”diminuisce di anno in anno;2) su scala globale la disoccupazione ha raggiunto dei record assoluti;3) nel futuro il lavoro non sarà più l’elemento centrale della vita umana ma anzi un’esperienza sempre piùrara e riservata a pochi “fortunati”.È il lavoro salariato, quello del posto fisso e delle garanzie, che si sta estinguendo. In compenso fioriscetutta una serie di occupazioni alternative, forme di collaborazione atipiche, precarie, volontarie, semivolontarieo a tempo parziale. L’affermazione di Rifkin per cui in futuro non si lavorerà più è inesatta. Infuturo anzi bisognerà darsi da fare il triplo per accumulare più redditi grazie a lavori part-time o precari,quindi triplicheranno le occasioni di mobbing. Si assisterà anche alla fine della cosiddetta etica del lavoro,ossia di quel modo di pensare che portava dipendenti a identificare il proprio bene con il bene dell’azienda.Questo potrebbe favorire comportamenti sleali e azioni di mobbing orizzontale nei confronti di colleghi.L’economia odierna vuole allontanare i lavoratori dalle occupazioni classiche e per fare ciò è ammessa,anche la violenza psicologica. È in forte crescita anche il numero di cittadini in età lavorativa che scelgonopiù o meno liberamente di mettersi in proprio e di lavorare come prestatori d’opera autonomi. In tutti i paesi26industrializzati moltissime persone, specie fra quelle che si sono/ sono state licenziate in seguito a mobbing,subiscono il fascino discreto del self- employment (auto- impiego). Costoro si illudono che un’attività gestitain prima persona li sottrarrà alle pressioni e alle persecuzioni a cui colleghi e superiori li avevano sottoposti.Moltissimi di questi auto- impiegati figurano come consulenti esterni di aziende che invece utilizzano il lorolavoro in maniera continuativa come fossero dei lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Il rischio di mobbingresta dunque costante. Nella varietà di azioni di mobbing possiamo individuare oltre le azioni intimidatorie,vessatorie; le azioni identificabili come “costrittività organizzativa”. Si tratta di azioni, atti che comportanoconseguenze chiare e rilevanti sulla posizione lavorativa e sulle possibilità di svolgimento del lavoro delsoggetto coinvolto. Esempi di questo tipo di azioni sono (Gilioli, 2000):- marginalizzazione dall’attività lavorativa;- svuotamento delle mansioni;- mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata;- ripetuti trasferimenti ingiustificati;- prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profiloprofessionale posseduto;- impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;- esclusione reiterata del lavoratore rispetto adiniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale ;- esercizio esasperato ed eccessivo diforme di controllo.Le azioni rientranti nella categoria della costrittività organizzativa, coinvolgono direttamente e in modoesplicito l’organizzazione del lavoro, la posizione lavorativa, assumendo pertanto un diverso rilievo dalpunto di vista del riconoscimento della natura professionale del danno conseguente. La costrittivitàorganizzativa, raramente, presente come condizione isolata, più spesso è una condizione determinatanell’ambito di una strategia di mobbing. Da sola è assimilabile allo stress cronico; dal punto di vistasoggettivo si differenzia per la difficoltà di trovare strategie di adattamento cognitivo rispetto ad unasituazione che si presenta come non razionale o non giusta. Ne deriva in genere un disturbo dell’adattamento.2.2.Il mobbing come manifestazione del fallimento collusivo.È stata proposta una lettura del fenomeno del mobbing quale manifestazione del “fallimento collusivo”. Carlie Paniccia (1993) hanno proposto di chiamare “collusione” la simbolizzazione affettiva socialmentecondivisa ed evocata dal contesto. In altri termini, il contesto è costituito da relazioni tra persone, oltre che daelementi inanimati: ma tutti questi acquistano un significato simbolico connotato emotivamente , significatoche viene condiviso dai partecipanti a quel contesto. La dinamica collusiva è fondata sull’interazione traindividuo e contesto sociale; è ciò che sostanzia, permette una relazione. Per cui non ci può essere relazionesenza condivisione di fantasie inconsce di significazione del contesto. Il fallimento collusivo nasce quando27un cambiamento organizzativo rende obsoleta la dinamica collusiva che fino a quel momento si era mostrataefficace nel sostenere la relazione sociale. Pertanto non vi è più la condivisione della “vecchia”simbolizzazione affettiva del contesto da parte di coloro che ne fanno parte. Carli ritiene che elementonecessariamente presente nei sistemi di convivenza sia: “la condivisione simbolica delle relazioni sociali”;per cui va promosso lo sviluppo della competenza a convivere, ossia quella “competenza, presente in un datocontesto capace di istituire rapporti di reciprocità con l’estraneo, funzionali alla risoluzione dei problemi diadattamento”. In ambito lavorativo, può succedere che, i rapporti di convivenza subiscano una rottura nelsenso che vengono meno gli equilibri che avevano determinato un adeguato “gioco delle parti”; la singolapersona può mettere in atto dei meccanismi per tutelarsi dall’esclusione, dall’etichettamento di “non idoneoal sistema”; questo può avvenire quando il proprio contesto d’appartenenza danneggia la propria immagine,la propria personalità e qualità della vita in senso lato (Carli e Paniccia, 1993). Secondo questa letturaproposta del fenomeno; l’attenzione va posta non tanto sugli spazi in cui si sviluppano azioni violente, bensìsul fatto che esse sono il frutto di un deficit relazionale all’interno dei sistemi di convivenza. Le azioniviolente diventano dei modi di comunicare la reazione alle regole imposte e non pensate o alla paura deldiverso. Molta parte della letteratura in tema di mobbing tende a considerare il fenomeno in termini dipersonalità “patologica” degli attori coinvolti individuando precise caratteristiche del mobber e delmobbizzato. Il mobbing va considerato come una delle possibili manifestazioni del fallimento collusivo cioèdella mancata condivisione della simbolizzazione del contesto da parte di coloro che fanno parte del contestostesso. Sono sorti negli ultimi anni molti gruppi di auto- aiuto per persone mobbizzate. Un gruppo d’autoaiutonasce sempre attorno alla condivisione di una problematica da parte di tutti i membri; l’obiettivo è ilsostegno attraverso la rottura dell’isolamento, proponendosi di migliorare la capacità psicologiche deipartecipanti. Il fatto che ognuno sia contemporaneamente capace di dare e ricevere aiuto dovrebbe innescareun meccanismo di attivismo e di autoefficacia. I gruppi di auto- aiuto possono essere distinti secondo gliobiettivi; i gruppi di sostegno e difesa dallo stress sono solitamente riservati alle “vittime” del mobbing. Lacaratteristica è infatti di avere come partecipanti delle persone che condividono una situazione più o menostressante, l’obiettivo non è quello di modificare questa condizione, quanto accrescere la capacità di farfronte all’evento stressante attraverso il reciproco sostegno e la proposta di strategie efficaci di adattamento(Francescato e Ghirelli,1988). Bisognerebbe promuovere il rapporto con la diversità, con i cambiamenti econ le esigenze di ri-definizione dei propri ruoli, passando anche per la “crisi” di questi, sfruttando le risorsee le difficoltà che ne possono derivare per permettere al singolo di ri- orientare continuamente il suo percorsodi vita.2.3.Fallimento collusivo come “crisi della competenza”.Occorre sottolineare che non è possibile una relazione sociale senza collusione, i contesti non sono mai“neutri”, essi evocano emozioni. Mediante l’integrazione tra processi di pensiero (cioè differenziazione deglistimoli) e dinamica collusiva ( cioè condivisione delle emozioni che tali stimoli evocano) è possibile l’azione28competente, quella che permette all’organizzazione di raggiungere l’obiettivo trasformativo che si è prefissa.Invece quando gli obiettivi che l’organizzazione si è data e gli strumenti utilizzati per raggiungerli non sonofunzionali, o non lo sono più, viene meno la competenza entro l’organizzazione stessa. Si assiste ad una“crisi della competenza” chiamata fallimento collusivo (Carli e Paniccia,1993). Alla base di questa crisipossono essere individuati differenti motivi riconducibili a situazioni di cambiamento. La vita organizzativasi svolge all’insegna della classificazione emozionale “dentro-fuori”, “amico-nemico”; di fantasie di potere eprivilegi indipendenti dalla competenza e dagli obiettivi trasformativi. Le conseguenze si manifestano intermini di disfunzionalità dell’azione organizzativa dando luogo, al mobbing. Per cui, il mobbing, vaconsiderato come una particolare reazione disfunzionale; risulta necessaria un’integrazione fra tredimensioni, quella del sistema di appartenenza, quella dell’estraneo e quella delle regole del gioco. Quandoci troviamo di fronte ad un fallimento collusivo è perché una di queste tre dimensioni viene esclusa dalrapporto. Un importante obiettivo dell’intervento psicologico è quello di facilitare le regole del gioco,riscoprire il piacere della conoscenza, la curiosità per l’estraneità, l’interesse per la diversità (Carli,prefazione a Di Maria, 2000). Possiamo ritenere opportuno proporre la formazione psicosociale comestrategia d’intervento psicologico- clinico rivolto alle aziende, alle organizzazioni. Sarebbe utile unaformazione che miri a sviluppare nei formandi la capacità di riflettere sul significato affettivo cheattribuiscono al contesto in cui operano ed al cambiamento che dovranno affrontare. Negli ultimi duedecenni, si è passati ad una visione “costruttivista” il che ha portato ad abbandonare l’idea che i processiintra- organizzativi siano “ripetibili” ed “uniformi”, indipendenti dal contesto ed a sottolineare che leorganizzazioni “costruiscono” il proprio contesto: i rapporti fra i membri, i clienti, il mercato, la qualità, ecc.Moltissimi studiosi sottolineanola necessità di una prevenzione in termini di “formazione”. Ege a talproposito, afferma:“la formazione consiste nel rendere consapevoli le persone del fenomeno in modo che queste sappianoriconoscerlo nel caso che comincino a provarne l’esperienza … ”(Ege, 1996, p.186)2.4. Analisi del fallimento collusivo.L’intervento che qui viene proposto per prevenire il mobbing e per affrontare in maniera efficace quando siapresente in un’organizzazione, è basato sull’analisi del fallimento che ha riguardato la collusione in quelcontesto organizzativo, o fra quell’organizzazione e il contesto sociale più ampio. Analisi significa rifletteresu, sviluppare un pensiero su ciò che è accaduto, sta accadendo o si teme che possa accadere; significariflettere anche sull’intervento formativo: il perché è stato richiesto, da chi, con quali obiettivi, quale fantasieesso evochi nei partecipanti. Si propone la formazione psicosociale come intervento di prevenzione diproblemi quali: il mobbing , problemi che possono insorgere in un’organizzazione in seguito ad uncambiamento. Spesso, il committente dell’intervento si considera “fuori” dall’intervento stesso ritenendo chesiano gli “altri” ad averne bisogno. In realtà tutti sono coinvolti in un rapporto circolare, quindi tutti sonoimplicati nell’intervento formativo, altrimenti questo si rivela inefficace. Si può ritenere possibile, se non29addirittura frequente che la richiesta di un intervento formativo avvenga in termini di “preoccupazione”,espressa al formatore da parte del committente. La “preoccupazione” come modalità di espressione di unadomanda rivolta al consulente è significativa per comprendere quale collusione viene agita nel rapporto conlui. Il cliente, “preoccupato”, esterna il proprio desiderio di controllare la situazione ma contemporaneamentela propria impotenza nel raggiungere questo obiettivo. La delega all’altro gli consente di “tirarsi fuori” dallarelazione problematica , di esonerarsi da un possibile fallimento trasformando la propria impotenza incolpevolizzazione del consulente (Carli, 1993). Il consulente dovrà stare attento a non colludere con ladelega che il committente gli sta affidando per non vanificare l’intervento e permettere che il cliente siriappropri della capacità decisionale entrata i crisi con il fallimento collusivo. Per poter giungere allaformulazione di un “pensiero emozionato” sul mobbing il consulente dovrà porre attenzione a tutti gli indizisignificativi che emergeranno nel corso degli incontri formativi, quello che indichiamo come “paradigmaindiziario”. È necessario porre attenzione a ciò che viene detto e a ciò che viene omesso, ma anche alla formain cui viene espresso, al comportamento che viene assunto dai partecipanti, all’uso del setting che essi fanno(Carli e Paniccia,1999). Si ritiene, che non spetti al consulente suggerire al cliente il “da farsi” e che laformazione psicosociale non si ponga l’obiettivo di raggiungere uno “stato” terminale stabile di assenza diproblemi, ovvero assenza di mobbing. In merito a ciò Montesarchio sostiene:“Proprio per l’attenzione alle specificità culturali e contestuali delle organizzazioni in cui ci trova adoperare, la teoria e la prassi psicologica non può prevedere uno stato terminale “ ideale”, anche se questesono spesso le domande rivolte allo psicologo. Il cambiamento viene inteso non più come passaggio dallostato A allo stato B ma come un ri- guardare la realtà in cui si vive che consente di comprenderla, farlapropria e trasformarla; si favorisce dunque non il raggiungimento di uno stato predefinito ma la possibilitàdi pensare sulle condizioni del proprio funzionamento, sulla loro congruenza con il contesto con cui siinteragisce così da favorire il ripristino delle relazioni entrate in crisi ma su nuovi modelli … adattivirispetto al contesto” (Montesarchio e Venuleo, 2002, p. 24).L’obiettivo che si cerca di perseguire è di tipo metodologico: la formazione psicosociale mira a rendere“competenti” i formandi circa la loro capacità di “leggere” le relazioni in cui sono continuamente immersi,formulando un pensiero emozionato. Il che permette ai partecipanti all’evento formativo di dare un senso altimore che si verifichi il mobbing, o agli episodi di mobbing che si sono già verificati.2.5. Una lettura psicologico- clinica del mobbing.Includere nella lettura sul fenomeno del mobbing il discorso sulla personalità e sulla “capacità decisionale”consente una lettura dei possibili comportamenti umani in risposta all’interazione con il proprio contesto.L’azione viene rappresentata nei termini di capacità di raggiungimento dello scopo. La qualificazionedell’azione, quindi, è di essere o meno efficace rispetto allo scopo … La decisione è da intendere come lacomplessiva capacità di tenuta del sistema categoriale e computazionale (Grasso e Salvatore, 1997, p. 106).30La capacità di scegliere un tipo di azione piuttosto che un’altra, capacità di pensiero, è strettamente legato aquello di avere determinate caratteristiche di personalità, nonché alla complessità dell’intreccio tra fattoricognitivi, emozionali e situazionali. Grasso e Salvatore propongono una tipologia dei modelli d’azionearticolata in funzione delle diverse modalità di processo computazionale in gioco e di rapporto conl’ambiente. Il primo modello, “azione chiusa”, si riferisce ad una modalità di comportamento che funziona inassenza della rappresentazione ambientale. L’ambiente è visto quasi sempre compatibile con le proprierisorse , per cui essendo percepito come a- problematico, vengono utilizzate in modo statico sempre le stesseprocedure. Il secondo modello, “azione chiusa con funzione d’adattamento”, si riferisce ad una modalità dicomportamento capace di gestire la problematicità ambientale, tale rapporto è dato da strategie che rendonol’ambiente anche se problematico, compatibile alle proprie risorse; non c’è un’azione sull’ambiente, eppurequesto tipo d’azione risulta adattiva e funzionale al raggiungimento dei propri scopi. Il terzo modello,“azione aperta”, si riferisce ad una modalità di comportamento che di fronte ad un ambiente realmente criticoagisce sull’ambiente stesso, con l’obiettivo di ridurre l’incompatibilità. C’è quindi un rapporto bidirezionale,tra soggetto e ambiente, dove il primo cerca di utilizzare le difficoltà che gli si propongono per apprendere esviluppare nuove risposte. L’utilizzazione di questo modello è sicuramente il più difficile, perché permette lamessa in discussione dei propri modelli, dei propri punti di riferimento attraverso un’ interventosull’ambiente, mediante un processo di “confusione categoriale”(Carli e Paniccia, 1999),dal quale partire percostruire un nuovo rapporto con l’ambiente, una nuova capacità decisionale.2.6. Criteri per la valutazione del danno.I comportamenti vessatori che determinano il mobbing possono avere una rilevanza penale oltre che civile.La rilevanza penale, a titolo meramente esemplificativo:- art. 590 c.p., “lesioni personali colpose”;- art.594 c.p., “ingiuria”;- art.595 c.p., “diffamazione”;- I’art.609 bis c.p., “violenza sessuale”;- I’art.610 c.p., “violenza privata”.L’art. 2043 c.c. stabilisce che il risarcimento è dovuto per qualunque fatto doloso o colposo che cagioni adaltri un danno ingiusto; è necessario pertanto individuare il nesso di causalità fra comportamento e danno;tale nesso va sempre dimostrato. La giurisprudenza ritiene risarcibili varie tipologie di danno:- DANNO PATRIMONIALE (art.1223 c.c): è la conseguenza diretta e immediata della condotta lesiva delmobber. Si scompone in due componenti:a) il lucro cessante, consistente nell’interruzione , totale o parziale, dell’attività o fonte di guadagno chesarebbe continuata se non fosse intervenuto il fatto dannoso;31b) il danno emergente, consistente nella diminuzione del patrimonio in relazione a beni o situazioniproduttive delle quali il soggetto godeva prima di aver subito il danno;- DANNO MORALE (ex artt.2059 c.c e 185 c.p); laddove ci siano stati comportamenti che integrano azionianche penalmente sanzionate, è riconosciuta la risarcibilità del danno morale che consiste nei patemid’animo provati dalla vittima e del danno alla vita di relazione;- DANNO BIOLOGICO (Cass.4243/90); è causato da un comportamento ed è a sua volta causa di danno (patrimoniale e/o non patrimoniale). È definibile come “violazione dell’integrità psicofisica della persona” edè risarcibile in maniera autonoma e prioritaria. Possiamo così sintetizzare la catena di eventi checostituiscono il danno biologico:a) comportamento del responsabile;b) danno alla persona (evento interno);c) danni conseguenza eventuali; eventi esterni: – danno patrimoniale; – danno non- patrimoniale;- DANNO ESISTENZIALE; si differenzia dal danno biologico, in quanto esiste a prescindere da una“lesione” della psiche o del corpo; da quello morale, poiché non consiste in una sofferenza ma in unarinuncia ad un’attività concreta; da quello patrimoniale, in quanto può sussistere a prescindere da qualsiasicompromissione del patrimonio” ( Cendon e Ziviz, 2000). La nozione di danno esistenziale comprendequalsiasi evento che, per la sua incidenza negativa sul complesso dei rapporti della persona, è suscettibile diripercuotersi in maniera consistente e talvolta permanente sull’esistenza di questi, pur senza arrivare acreargli una malattia di tipo psichico. È un danno risarcibile per quei soggetti mobbizzati per i quali non si èdeterminato la comparsa di psicopatologie; si riconosce l’ingiustificata e dannosa compromissione dellapersonalità morale del lavoratore. Il mobbing è riconosciuto come malattia professionale e, come tale, èindennizzabile ai sensi dell’art.13. del D. Lgs 38/2000.323. Disturbo post-traumatico da stress come effetto del mobbing.3.1. Cos’è il disturbo post- traumatico da stress?Le ricerche e l’esperienza clinica evidenziano come le costellazioni di sintomi riportate dalle vittime dimobbing possano, in taluni casi, essere inquadrabili come Disturbo Post- Traumatico da Stress (PTSD)secondo i criteri del DSM IV ( Leymann, 1992, Einarsen, 1998). Il Disturbo post-traumatico da Stress ècaratterizzato dallo sviluppo di sintomitipici e specifici che fanno seguito ad un contatto brusco edimprovviso con un evento traumatico esterno di estrema violenza, tale da implicare, per chi lo subisce,un’esperienza drammatica per sé o per una persona cara. Per cui il DPTS viene considerato “una rispostaritardata e protratta ad un evento stressante o a situazioni di natura minacciosa o catastrofica. Tra quelle inrelazione ad eventi è quella che comporta in genere una maggiore gravità ed una prognosi peggiore. Essainsorge in genere dopo un periodo di latenza talvolta superiore ai sei mesi. Un elemento di interesse per ilDPTS discende dall’essere questo disturbo l’unico fra quelli mentali per il quale l’agente eziologico è noto(il trauma) e facilmente individuabile prima che il quadro clinico conclamato insorga. Il quadro clinico,quando si presenta in forma meno grave, viene in genere assimilato ad una condizione ansioso- depressiva (tale è in genere la prima diagnosi che viene formulata per queste persone). Queste persone però, accanto asintomi generici (depressione, manifestazioni acute d’ansia, insonnia, difficoltà di concentrazione)presentano degli aspetti peculiari che, insieme al dato anamnestico, permettono di porre diagnosi accurate.Uno dei comportamenti più frequentemente presenti e più evidente è la monotematica fissazione del pensierosugli eventi traumatici. Le persone che soffrono di questa sindrome sono costantemente ossessionate dairicordi dell’evento traumatico che si ripresenta in forma di immagini, ricordi, spesso nei sogni; questacondizione si riflette nei loro discorsi che diventano nel tempo noiosamente ripetitivi. Questo sintomo, di persé particolarmente invalidante perché polarizza tutta l’attività mentale del soggetto e ne distrugge la vita direlazione, è la conseguenza del sovraccarico acuto della capacità di pro cessazione emozionale. Spesso, èinoltre presente una reazione emotiva intensa innescata da luoghi o fatti che hanno qualche relazione conl’evento traumatico. È spesso presente una vistosa componente somatica correlata allo stato emotivo: accessidi calore, sudorazione, tensione muscolare, tremore, puntate ipertensive, reazioni coliche o gastrointestinaliin generale. La reazione emotiva si può presentare sotto forma di vere e proprie manifestazioni fobiche conconnessi comportamenti evitanti. Viene ammesso, sulla base del riscontro clinico, che la sindrome possaessere la conseguenza di condizioni protratte particolarmente dolorose dal punto di vista emotivo (tortura,isolamento, ecc): in questo genere di causa vengono incluse le condizioni di mobbing particolarmente gravi(Pappone, Citro e Natullo, 2003). Quando una persona viene esposta ad un evento di intenso valoreemozionale e che travalica le capacità della persona di inserire l’avvenimento nel suo modello diinterpretazione della realtà esterna ed interna si determina una condizione psichica caratterizzata da tregruppi di sintomi:innanzitutto c’è una condizione di ansia persistente e di iperattivazione, la sensazione disentirsi come in pericolo; accanto a questo si presentano dei sintomi di natura dissociativa, espressione difenomeni di discontinuità della coscienza, e infine il continuo ripensare e ri- sperimentare l’evento33traumatico, che è quasi patognomonico di questa condizione, è l’espressione del tentativo fallimentare dellapsiche del soggetto di dare una spiegazione a quello che è accaduto, di trovare delle adeguate modalità dicomportamento e di adattamento emotivo, di inserirlo in un modello coerente di sé e del mondo.3.2. Criteri diagnostici per il Disturbo Post- Traumatico da Stress (DSM- IV- TR).A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristicheseguenti:1) la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicatomorte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri;2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.B.L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni.2) sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.3) agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di riviverel’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestanoal risveglio o in stato di intossicazione).4) disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano oassomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano aqualche aspetto dell’evento traumatico.C.Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (nonpresenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;4) riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative;5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore);7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, unmatrimonio o dei figli o una normale durata della vita).D.Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due deiseguenti elementi:1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;2) irritabilità o scoppi di collera;3) difficoltà a concentrarsi;344) ipervigilanza;5) esagerate risposte di allarme.E.La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.F.Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativoo di altre aree importanti.Possono essere usate le seguenti specificazioni per indicare l’esordio e la durata dei sintomi del DPTS:- acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi;- cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più;- ad esordio tardivo: se l’esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l’evento stressante.Il persistere dei fattori avversi all’individuo o un trattamento inadeguato del disturbo possono portare ad una“vitalizzazione” della sindrome, cioè al verificarsi di alterazioni sempre più strutturali e sempre menofunzionali.3.3. La diagnosi del Disturbo Post- traumatico da Stress nei casi di mobbing.Heinz Leymann è stato il primo a sostenere che il mobbing genera una condizione clinica assimilabile alDisturbo Post- Traumatico da Stress; egli ha fondato la sua tesi su un’ampia casistica clinica e su un’analisistatistica dei disturbi osservati (come si vede nella tabella 3).Tabella 3. Sintomi frequenti nei mobbizzati.SINTOMI FREQUENTI NEI MOBBIZZATI:- irrequietezza;- irritabilità;- tensione muscolare;- facile affaticabilità;- difficoltà a concentrarsi;- vuoti di memoria;- alterazioni del sonno (difficoltà nell’addormentamento e risvegli notturnifrequenti) ;- reazione esagerata agli stimoli esterni inattesi;- sensazione di essere in pericolo costante;- incubi ricorrenti circa la situazione lavorativa;- tendenza ad evitare gli stimoli che possono essere associati con il vissutotraumatico;- interesse ridotto alle attività importanti ;- visione negativa del futuro e delle proprie capacità ;- ideazione suicidaria ;- senso di inutilità dell’esistenza.- iperattivazione neurovegetativa (palpitazioni cardiache e tachicardia;sudorazione emotiva; senso di vertigine e instabilità; diarrea e disturbi35Si possono considerare fattori influenti sulla gravità della sintomatologia (Leymann, 1992):- Durata e gravità della’azione di mobbing;- Possibilità realistiche di difesa legale;- Danno effettivo all’immagine professionale;- Personalità del mobbizzato;- Funzionamento lavorativo nel periodo precedente;- Supporto sociale.Nella letteratura non specializzata, talvolta si descrive il mobbizzato come una persona dalla personalitàfragile, un debole, poco capace di orientarsi nel mondo, incline a subire senza reagire. Nella realtà le personeche ricevono maggior danno dal mobbing sono i buoni lavoratori: persone dal buon rendimento, che sonostate capaci di impegnarsi e di costruirsi una buona reputazione; si tratta di persone che nel lavoro ci mettonopassione e per le quali il successo nel lavoro costituisce un importante elemento di autostima. Quando questepersone vengono esposte ad azioni di mobbing, vedono messo in crisi l’intero sistema di valori che per annile ha ispirate nel loro rapporto con il datore di lavoro; sono costrette a ripensare a tutto, a rimettere indiscussione i fondamenti del loro modo di pensare ed agire.Inoltre, un aspetto importante che può essereindagato nei soggetti vittime di mobbing è la presenza di disturbi di personalità (Asse II). Tutti e tre i clusterdi disturbi di personalità (A, B e C) possono favorire una risposta disadattativa ad uno stress, in quanto trattidi personalità rigidi e non adattativi causano una compromissione funzionale significativa o una sofferenzasoggettiva.I disturbi di personalità sono così classificati secondo il DSM-IV-TR:- Disturbi di Personalità in Asse II del Gruppo A:a) Disturbo Paranoide di Personalità;b) Disturbo Schizoide di Personalità;c) Disturbo Schizotipico di Personalità;- Disturbi di Personalità in Asse II del Gruppo B:a) Disturbo Antisociale di Personalità;b)Disturbo Borderline di Personalità;c) Disturbo Istrionico di Personalità;d) Disturbo Narcisistico di Personalità;36- Disturbi di Personalità in Asse II del Gruppo C:a)Disturbo Evitante di Personalità;b) Disturbo Dipendente di Personalità;cc) Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità.Solo pochi studi (Leymann e Gustavson, 1996, Mikkelsen e Einarsen, 2002) sono stati pubblicati sulrapporto tra esposizione al mobbing e sintomi del PTSD; utilizzando un campione di comunità. L’obiettivodegli studi di comunità è quello di valutare disturbi specifici; in questo caso i sintomi di stress posttraumaticotra una popolazione specifica , indipendentemente dal fatto che abbiano cercato un trattamento omeno. In un quadro teorico di trauma a lavoro, Williams (1993) sostiene che variabili individuali dipersonalità e stili di coping; possono avere una certa sovrapposizione sul Disturbo post- traumatico da stressin termini di sofferenza emotiva, sebbene la relazione causale tra differenze individuali e vittimizzazione damobbing sia discutibile. Vartia (1996), ha trovato un alto livello di affettività negativa tra un gruppo difinlandesi, vittime di mobbing sul posto di lavoro; mentre Zapf (1999) , tra vittime tedesche di mobbing , hatrovato essere elevata o negativa e bassa o positiva l’affettività rispetto ad un gruppo di controllo. Esperienzedi interazioni sociali negative in generale, sembrano essere associate con un aumento di affettività negativacosì come una bassa autostima e molti atteggiamenti disfunzionali. L’affettività negativa è vista come ungenerale fattore di malessere soggettivo e comprende una vasta gamma di stati d’animo spiacevoli, tra cuiangoscia, nervosismo, paura, rabbia e senso di colpa. Individui con elevata affettività negativa, spesso, siconcentrano solo sugli aspetti negativi della vita e tendono ad avere opinioni negative di sé stessi, dell’altragente e del mondo in generale (Matthiesen e Einarsen, 2004). L’affettività positiva riflette livelli di impegnopositivo con l’ambiente: elevata affettività positiva è caratterizzata da termini che riflettono l’entusiasmo,energia, prontezza mentale e determinazione (per esempio: eccitato, attivo, attento, determinato). Bassi livellidi affettività positiva sono definiti da indicatori che riflettono fatica e depressione; affettività positiva enegativa corrispondono grosso modo con i fattori dominanti : ansia/nevrosi (Watson et al., 1988). Maggiorilivelli di affettività negativa, così come bassi livelli di affettività positiva; possono consentire un maggiorericorso a strategie di coping disadattive, causando maggiori livelli di sintomi psicologici. In un’ intervistastudiotra trenta vittime irlandesi, O’Moore e collaboratori hanno trovato che tutti i soggetti riportano ansia,irritabilità, sentimenti di depressione e paranoia come conseguenze di esperienze di mobbing a lavoro(O’Moore et al, 1998). Molto comuni, sono sintomi come: sbalzi d’umore, sentimenti di impotenza, unaridotta autostima e una serie di sintomi fisici. Osservazioni cliniche di vittime di molestie a lavoro hannoanche mostrato altri gravi effetti come: isolamento sociale,sociale disadattamento, disturbi psicosomatici,depressione, impotenza, rabbia, ansia e disperazione. Sulla base di osservazioni cliniche ed interviste convittime americane di molestie a lavoro, Brodsky (1976) identifica tre gruppi di effetti sulle vittime. Alcunihanno espresso la loro reazione con lo sviluppo di vaghi sintomi fisici come debolezza, perdita di forza,stanchezza cronica, dolori vari; altri hanno reagito con depressione e sintomi correlati come impotenza,37mancanza di autostima, insonnia. Un terzo gruppo di reazioni ;con sintomi psicologici quali: ostilità,ipersensibilità, problemi di memoria, sentimenti di vittimizzazione, nervosismo, evitamento del contattosociale. È stato condotto uno studio da Mikkelsen e Einarsen (2002) avente come finalità:- quello di esaminare il livello di sintomi psichiatrici e sintomi del PTSD tra correnti ed ex-vittime dimobbing usando un campione di comunità;- indagare come sintomi di PTSD si riferiscono a tipi di mobbing vissuti dalla vittima; il tempo trascorso finoalla chiusura del bullismo;- esaminare il ruolo dello stato negativo o positivo di affettività come possibili mediatori o moderatori inquesto rapporto di stress-tensione.I 102 partecipanti allo studio sono stati reclutati tra i membri di due associazioni nazionali norvegesi contro ilmobbing a lavoro. In totale, 180 vittime in corso o con precedente esposizione al mobbing a lavoro sono statimembri di queste associazioni,dall’inizio dell’indagine. È stato somministrato un questionario; l’età mediadel campione era di 51 anni, il 74% del campione erano donne. Solo una parte limitata del campione era difatto ancora occupata mentre il 17% era in congedo per malattia, il 12% disoccupati, il 10% si era ritirato. Il63% degli intervistati erano stati esposti al bullismo per un periodo di due anni o più; quasi 1 su 4 eranoancora esposti al bullismo o il bullismo ha avuto luogo meno di sei anni fa; quando è stata effettuatal’indagine. Quasi 1 su 3 sono stati colpiti da mobbing più di cinque anni fa; i più frequenti tipi di bullismoriportati sono stati: ostracismo (isolamento sociale), svalutazione, calunnie, frequenti attacchi o critica controla propria persona. È stato utilizzato il Negative Acts Questionnaire (NAQ), costituito da 22 items relativi atipi specifici di comportamenti di bullismo, come esposizione eccessiva a prese in giro, insulti,emarginazione sociale, abusi verbali, minacce di essere licenziati, calunnie. Agli intervistati è stato chiesto sefossero stati esposti a qualsiasi di questi comportamenti nel tempo, con le seguenti risposte alternative: mai,occasionalmente, settimanalmente, giornalmente. L’Alpha di Cronbach per il NAQ è risultata essere 0,85. Isintomi di stress post-traumatico sono stati misurati con l’Impact of Event Scale (IES-R), la versione di 22items e la Post-Traumatic Stress Scale (PTSS-10). La IES-R valuta tre dimensioni dei sintomi spessoriportati dopo un trauma:1) la dimensione di intrusione (sintomi come ricordi intrusivi, pensieri, emozioni);2) la dimensione di elusione (sintomi connessi all’evitare memorie e luoghi, negazione);3) una terza dimensione di scala che riflette ipervigilanza (una sorta di forte attenzione mentale e corporea).L’Alpha di Cronbach per le tre sottoscale è risultata essere 0,81; 0,90; 0,82 rispettivamente. Horowitz dividei punteggi in tre gruppi con basso, moderato, alto livello di stress post-traumatico (rispettivamente con 0-9punti, 9-19 punti, 20 o più punti di stress). Il PTSS-10 è un questionario di valutazione dei dieci più comunisintomi di PTSD. Il campo di misura va da 1 (mai/raramente) a 7 (molto spesso). L’Alpha di Cronbach èrisultata essere 0,91 nel presente studio. I sintomi psichiatrici sono stati misurati con Hopkins SymptomChecklist, HSCL (versione 25 items) originariamente sviluppato da Derogatis e collaboratori. La scala38misura sintomi psicologici di ansia, depressione e somatizzazione ed è stato usato come unità di misura per ildisagio psichiatrico. Agli items di questa scala viene assegnato un punteggio su una scala di 4 punti che vada non a tutti, un po’, un bel po’ e di molto. Nel presente studio l’Alpha di Cronbach è pari a 0,96.L’influenza positiva o negativa è stata studiata con l’uso del Positive and Negative Affectivity Scale(PANAS) che consiste rispettivamente di 10+10 items per misurare l’influenza dei due concetti. Entrambe ledue scale di affettività avevano un Alpha di Cronbach di 0,90. Gli intervistati sono stati interrogati sulle lororeazioni per l’ultimo paio di settimane; pertanto l’inventario ha misurato uno stato- condizione di affettivitàpositiva o negativa. Il livello di stress post-traumatico e sintomi psichiatrici tra le vittime di mobbing è statoconfrontato con diversi campioni di contrasto con i mezzi di IES e HSCL; i campioni di contrasto sono stati:- un gruppo di contrasto di studenti di medicina esposti ad un elevato livello di stress temporaneo (n=96;58% femmine);- impiegati postali colpiti da una organizzazione svalutativa del processo (n=144; 88% femmine);- persone recentemente divorziate (n=658; 58% femmine) ;- uno studio di una popolazione, in un quartiere di Oslo, isole di Lofoten nel nord Norvegia (53% femmine);- personale in zona di guerra (n=213 osservatori delle Nazioni Unite).Le analisi statistiche sono state condotte con l’uso si SPSS, IIX versione. Sono state utilizzate le seguentiprocedure statistiche: frequenza, anova, correlazione e analisi correlazionale parziale, regressione linearemultipla. I sintomi post-traumatici con punteggi più ampi sono pensieri depressivi, tendenze all’isolamento,sensazioni fluttuanti, paura a ricordare situazioni e generale tensione corporea. Il quadro complessivo dato daHSLC-25, PTSS-10 e IES-R è lo stesso. La maggioranza del campione tra il 60% e il 77% indica gravi crisipsichiatriche e PTSD. Informazioni sulla prevalenza di PTSD tra vittime di mobbing può essere utile al finedi informare gli operatori sanitari nonché il sistema legale delle possibili estreme conseguenze di taliesperienze. I praticanti inoltre devono essere informati dei sintomi presenti nelle vittime di mobbing,evitando così diagnosi errate che spesso sembrano verificarsi quando le vittime si sottopongono a curemediche e psicologiche. Molte vittime possono essere diagnosticate in modo errato dai professionisti,ricevendo diagnosi come paranoia, depressione maniacale o disturbi del carattere che possono dar luogo aulteriore stigmatizzazione. La frequenza e l’intensità dei sintomi post-trauma diminuiscono gradualmente neltempo, sebbene i sintomi possono non scomparire del tutto. Diversi studi hanno dimostrato che il mobbing alavoro costituisce una grave malattia per la salute e il benessere di quelli che lo ricevono. Il presente studioindica che disagio psichiatrico e PTSD può essere diffuso tra le vittime di mobbing a lavoro. Lo stress posttraumaticoa seguito della vittimizzazione è in gran parte dovuto alle assunzioni di base circa il contenimentodi sé stessi e il mondo il cui sentimento di invulnerabilità personale costituisce una parte importante. Il sensodi invulnerabilità è legato a tre convinzioni fondamentali: a) il mondo come benevolo; b) il mondo comesignificativo; c) il sé come degno. La credenza in un mondo giusto e le tre credenze fondamentali permettonoall’individuo di confrontarsi con l’ambiente fisico e sociale, come se fosse stabile, ordinato, coerente, sicuro,amichevole. Un evento traumatico presenta informazioni non compatibili con questi modelli mentali esistenti39o schemi. Questa incoerenza dà luogo a reazioni di stress che richiedono rivalutazione, revisione deglischemi. Si è tentati a supporre che le vittime di mobbing sono particolarmente colpite da una frantumazionedel mondo come non essere un luogo benevolo e da una scarsa autostima. In questo studio è stato svelato chedeboli (non significativi) effetti di interrelazione tra tutte le combinazioni di affettività positiva e negativasono i più importanti predittori di mobbing collegato a stress post-traumatico. Molte vittime di mobbingesprimono sentimenti di costrizione emotiva dopo essere state vittime di bullismo; si rifiutano di confidarsicon qualcuno che ha esperienza a lavoro, vittime di sesso maschile in particolare. I partecipanti di questostudio non possono prevedere un campione rappresentativo; la desiderabilità sociale rappresenta un altroproblema da prendere in considerazione. Alcune vittime di bullismo possono essere più vulnerabili di altre,corrispondentemente; il forte legame diretto trovato tra affettività negativa e sintomi di PTSD in questostudio può indicare che vi è una forte personalità componente nella fenomenologia del mobbing (Matthiesene Einarsen, 2001).3.4. Valutazione in sede di visita INAIL della patologia psichica.- AnamnesiPer il tipo di patologie e la finalità della visita svolta dal medico dell’INAIL l’anamnesi è elementofondamentale della valutazione. Gli ambiti da indagare sono:a) eventi della vita lavorativa;Sotto questa voce si comprendono tutti gli aspetti della vita lavorativa che possono essere considerati fonte dimalessere: eventi traumatici, relazioni con i superiori e con i compagni, variazioni di posizione lavorativa,premi e punizioni, ecc.La ricostruzione meticolosa della cronologia è importante ai fini della determinazione del nesso causale e perindividuare una logica o una strategia negli avvenimenti. Molti elementi clinici importanti sono osservabilidurante l’anamnesi lavorativa: il modo in cui il lavoratore racconta, la capacità di ricostruire gli eventi,l’attivazione emotiva durante la narrazione permettono spesso di avere riscontri obiettivi al giudizio clinico eal dato anamnestico.b) eventi di vita non lavorativa ;L’indagine sulla vita personale è delicata e difficile da svolgere in un contesto non adeguato, ma èimportante indagare almeno sulle evenienze macroscopiche: nascita, matrimoni, lutti, separazioni, malattie dicongiunti, furti gravi, incidenti, violenze;c) condizioni psichiche antecedenti l’evento patogeno ;d) cronologia dell’insorgenza dei disturbi;40e) eventuale documentazione sanitaria e terapia;f) patologie organiche con particolare attenzione a quelle potenzialmente stress correlate.-Documentazione sanitariaCertificazioni e prescrizioni mediche di natura psichiatrica. Le certificazioni sono le tracce documentalidell’evoluzione del disturbo che giunge all’osservazione: il modo in cui sono formulate dipende dallacompetenza del medico che le ha compilate e dall’evoluzione clinica del disturbo. La definizione diagnosticariportata non sempre è accurata o perfettamente appropriata. Talvolta è richiesta un’interpretazionesufficientemente elastica che tenga conto di questa variabilità.Le certificazioni prodotte possono essererelative alla richiesta di congedo per malattia o relazioni che attestano la presenza della sindrome per la qualesi richiede la prestazione assicurativa.Solo nel caso di eventi traumatici acuti l’inizio del disturbo può esseredocumentato da una attestazione clinica adeguata (reazione acuta da stress).In generale, i disturbi sisviluppano lentamente nel tempo e le prime certificazioni (in genere prodotte per giustificare brevi periodi diassenza dal lavoro) riportano diagnosi generiche. Tra queste le definizioni più frequentemente adottate sono“sindrome ansioso depressiva”, “reazione ansioso-depressiva”, “sindrome depressiva reattiva”. Sono quelleche segnano il raggiungimento di una condizione di malessere clinicamente rilevante. In genere sonoassociate a prescrizioni di benzodiazepine (Pappone, Citro e Natullo, 2005).Lo sviluppo di una condizionegrave porta in genere ad attestazioni, per lo più specialistiche, maggiormente accurate: il “Disturbodell’adattamento” (“con umore depresso” o “misto”, o “con ansia “) o il “Disturbo Post-Traumatico daStress” vengono così definiti solo dallo specialista in psichiatria, spesso a coronamento di una serie dicertificati precedenti più generici. In alcuni casi anche lo specialista preferisce una diagnosi generica (neicasi meno gravi), oppure formula una diagnosi che si riferisce ad alcuni sintomi dominanti: “Disturbo daattacchi di Panico”, Disturbo d’Ansia Generalizzata”, “Sindrome Fobica”.Le certificazioni rilasciate dalleUnità Operative di Salute Mentale delle ASL hanno quasi sempre un loro riscontro in una cartella clinicacustodita presso il centro che ha rilasciato la certificazione.-Certificazioni internisticheSono, infine, utili attestazioni dello sviluppo di una condizione di sofferenza e di esposizione protratta acondizioni di tensione emotiva, eventuali referti di ricorso al pronto soccorso per crisi acute d’ansia, attacchidi panico, crisi ipertensive, svenimenti etc.- Valutazione obiettivaL’esame obiettivo degli aspetti di pertinenza psichica comprende tutti gli elementi chepossono essere osservati nel corso della visita: aspetto fisico, abbigliamento, comportamenti, stato emotivo,modalità di relazione, contenuto e forma del pensiero espresso.L’esame clinico somatico permette poi dirilevare sintomi e disturbi relativi alle patologie somatiche connesse alla condizione di stress, utili aconfermare la diagnosi.- Sintomi psichici41 ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di riviverel’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che simanifestano al risveglio o in stato di intossicazione). disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano oassomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomiglianoa qualche aspetto dell’evento traumatico. sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, unmatrimonio o dei figli o una normale durata della vita). difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno irritabilità o scoppi di collera difficoltà a concentrarsi ipervigilanza esagerate risposte di allarme.-Sintomi psicosomatici più frequenti in situazioni di stress protratto. ipertensione arteriosa aritmie cardiache disturbi intestinali funzionali gastrite discinesie colecistiche eruzioni cutanee aspecifiche dermatite seborroica psoriasi dolori del rachide tensioni muscolari del cingolo scapolare periartrite scapolo-omerale disturbi respiratori funzionali42-Valutazione psicodiagnosticaL’esame psicodiagnostico viene spesso confuso con la somministrazione di tests.Questa è solo unasemplificazione. La valutazione psiocodiagnostica si fonda sull’integrazione tra i tests, la valutazione clinicadiretta (colloquio e osservazione) e l’anamnesi.Nel caso dei disturbi conseguenti all’esposizione a stressorspsicosociali e in sede di valutazione la somministrazione di tests e reattivi è fondamentalmente mirata a dueaspetti fondamentali: la valutazione della personalità e la valutazione delle abilità cognitive.È ormailargamente diffusa la consapevolezza, da parte dei medici di tutte le specialità, che la comprensione delmalessere, in particolare quando questo si esprime sul piano emozionale e comportamentale, non puòprescindere da un inquadramento di quella che è la personalità del paziente. Non può fare a meno, cioè, diriferirsi al modo in cui la gestione delle emozioni e delle relazioni interpersonali, il sistema dei valori,convinzioni e aspettative riguardo al mondo, le sue risorse e potenzialità cognitive, lo stile con cui fa frontealle difficoltà del vivere quotidiano, si sono integrate in un’insieme di funzionamento stabile che dà sensoall’esperienza di tutti i giorni della persona. Questo insieme di modalità stabili di funzionamentodell’individuo è appunto la personalità.Tra i tests maggiormente utilizzati per la valutazione della personalitàsi annoverano il test di Rorschach e il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI oMMPI2).Entrambi, con modalità diverse forniscono informazioni sulla personalità del soggetto e sullacompatibilità del risultato del test con valutazioni diagnostiche; essi costituiscono una utile integrazioneall’esame clinico poiché, attraverso le risposte ottenute dai soggetti, è possibile definire la struttura dipersonalità, la sincerità della persona che si sottopone a valutazione, la presenza di aspetti o di complessisintomatologici non emersi nel corso dell’esame clinico.Il test di Rorschach, in particolare, è un test“proiettivo” basato sulla registrazione di libere associazioni emergenti da disegni senza significato evidente(macchie di inchiostro).Il profilo di Rorschach può comprendere la valutazione dei seguenti elementi: la presenza e prevalenza di energie immature o velatamente minacciose che possono, nellacondizione attuale della persona, superare la quantità e qualità di controllo emozionale su di esse; la struttura dell’Io, valutata in funzione della capacità di un contenimento energetico, della presenzadi tratti di dipendenza, delle tendenze alla rigidità; il livello di reattività verso gli stimoli emozionali e i tratti di scarso controllo su di essi o difficoltà insituazioni emozionalmente stimolanti; la tendenza alla negazione dei bisogni affettivi che potrebbe comportare problemi di adattamento; il livello o stato di emotività disturbata;Attraverso la valutazione di questi numerosi aspetti della configurazione dinamica di personalità emersa daltest, si è generalmente in grado di discriminare, dunque, la presenza di un Disturbo di Personalità stabile, chepossa giustificare il profilo osservato, differentemente da una condizione derivante da stressors psicosociali(Pappone, Citro e Natullo, 2004).434. Modalità di intervento e prevenzione.4.1. Approcci psicoterapeutici specifici.Le vittime delle relazioni feroci e drammatiche relative alle dinamiche di mobbing si rivolgono ai terapeutiaccusando i sintomi più diversi: disturbi del sonno (insonnia, ipersonnia), disturbi dell’alimentazione(anoressia e bulimia), emicranie frequenti, gastriti, disturbi relazionali (con gli amici, il partner, la famiglia),ansia, attacchi di panico e disturbi dell’umore la cui estrema espressione può tradursi in pensieri o attisuicidari (Hirigoyen, 1998; Ege, 1996, 1997; Casilli, 2000; Gilioli, 2000; Menelao, 2001). Il trattamento dipersone con problemi di mobbing è caratterizzato dall’iniziale inconsapevolezza che i loro problemi sianolegati al lavoro, e questo può essere d’ostacolo allo psicoterapeuta, sia nel momento della diagnosi chedell’intervento. Purtroppo, la richiesta d’aiuto giunge quando il mobbing ha fatto il suo corso e lunghiperiodi di vessazioni e umiliazioni hanno conseguito i danni più gravi non solo sull’immagine professionaledella vittima, ma anche sulla sua identità e sulle sue relazioni extralavorative. I motivi che determinano unacosì tardiva richiesta terapeutica sono certamente numerosi. Il primo è l’insufficiente conoscenza delfenomeno “mobbing”, determinata dall’ancora scarsa e confusa informazione sul tema. Un secondo motivo èlegato allo stereotipo sociale della psicoterapia, secondo cui è una “cosa per matti”, un processo costoso epoco concreto. Queste convinzioni impediscono a molti di chiedere aiuto finché il loro disagio è tollerabile.Un terzo motivo, forse il più importante, è, che, fino all’ultimo, le vittime di mobbing non riconoscono o nonvogliono riconoscere il problema, perché si vergognano di essere succube sul luogo di lavoro o perché lestrategie mobbizzanti cui vengono sottoposte sono, come spesso accade, indirette e subdole. In assenza diun’adeguata informazione e prevenzione specifica, prima di rivolgersi a un professionista le vittimesubiscono vessazioni di tutti i tipi, a seguito delle quali sviluppano sintomi severi. L’intervento psicologicoin questi casi si configura dunque come particolarmente urgente. L’esperienza clinica e la ricerca mostranoche non esiste un quadro sintomatologico di mobbing preciso e che, piuttosto, ogni persona sviluppa unsintomo o una sindrome differenti in reazione alle medesime strategie mobbizzanti. Invece, ciò cheaccomuna le vittime di mobbing è un particolare modo di interagire con la propria realtà e di interpretarla. Lepersone mobbizzate organizzano la propria esperienza intorno a quattro vissuti ricorrenti nella narrazioneclinica; vissuti che rappresentano allo stesso tempo gli effetti del mobbing e le cause che lo mantengono e loalimentano:-solitudine : le vittime riferiscono di provare un profondo senso di isolamento. La vittima, vaglia partisignificative della propria esistenza alla ricerca di cause che giustifichino in qualche modo il mobbing. Sulluogo di lavoro, la solitudine della vittima è attivamente perseguita dal mobber e ne rappresenta una strategiadistruttiva;-sensi di colpa : il vissuto di colpa riguarda le vittime che sentono di essere responsabili per quanto accade.La violenza del /dei mobber appare talmente irrazionale che, per darle un senso, la vittima è portata acercarne le cause nel proprio comportamento, in modo da attribuire un significato alle continueprevaricazioni. Inoltre, il mobbing ferisce gravemente l’autostima della vittima e la espone a sentimenti di44inadeguatezza e inutilità così da rinforzare auto- attribuzioni di colpevolezza;- vergogna : i vissuti di solitudine e colpa determinano nella vittima un progressivo ritiro sociale. Lavergogna provata per il fatto di essere oggetto di prevaricazioni sul luogo di lavoro può spingere la persona anascondere i sintomi del proprio disagio, a mentire agli altri circa il suo umore e le sue condizioni di salute, alimitare ulteriormente la sua partecipazione alla vita sociale sia sul luogo di lavoro sia all’esterno. Tuttoquesto le impedisce di reagire adeguatamente, di cercare aiuto e, soprattutto, di cambiare i propricomportamenti;- vendetta : il vissuto di vendetta caratterizza l’esperienza delle vittime che hanno superato almeno in parte lasolitudine, la colpa e la vergogna, la rabbia sottesa al vissuto di vendetta può tradursi in azioni distruttivecontro il mobber che alimentano il conflitto, o peggiorano ulteriormente l’immagine della vittima, che correil pericolo di licenziamento o addirittura quello di un’azione legale. Vendetta, vergogna, colpa e solitudinesvolgono alcune funzioni:- razionalizzare l’esperienza del mobbing per contenere l’ansia di vessazioni e prevaricazioni che appaionoingiustificate e irrazionali;- restituire alla vittima il controllo della situazione;- ridurre la percezione della complessità relazionale e organizzativa del mobbing a due soli fattori, ovvero ilmobber e il mobbizzato;- limitare, anche se in modo inefficace, il grado di conflittualità tra mobber e vittima (Secci, 2005).Solitudine, colpa, vergogna e vendetta agiscono in modo integrato strutturando strategie comportamentaliche non solo alimentano il mobbing, ma si estendono all’intera esistenza della vittima e rendono difficili edolorose anche le sue relazioni privateIl focus del lavoro terapeutico deve quindi riguardare tali vissuti,chesono contemporaneamente individuali e relazionali, e profondamente sentiti nel presente in cui la personachiede aiuto. La definizione dell’intervento non può prescindere dalla definizione del fenomeno. Riteniamoche il mobbing sia un sistema co- costrutito dal mobber e dalla vittima, momento per momento. Affermarequesto significa formulare l’ipotesi che il cambiamento in una parte del sistema, seppur minimo, determinamodificazioni importanti nelle altre parti del sistema e nel sistema intero. Allora, l’aiuto alla vittima è miratoalla produzione di nuovi comportamenti e atteggiamenti rispetto alla sua condizione. L’intervento a indirizzostrategico sulla vittima di mobbing mira a innescare in tempi brevi un processo di cambiamento al livellodelle dinamiche emotive, cognitive e relazionali che alimentano il disagio della persona.I requisiti dell’intervento terapeutico a indirizzo strategico possono essere così sintetizzati:- focalizzato sulla relazione;- centrato sul “qui e ora”;- teso a rompere gli schemi di persistenza del mobbing;- volto a utilizzare le potenzialità del paziente.Quando una persona ricorda un evento, di solito non rivive anche le sensazioni fisiche, le emozioni, leimmagini, gli odori o i suoni associati ad esso. Solitamente, gli aspetti ricordati di un’esperienza si coagulano45in una narrativa coerente, magari arricchita di stati d’animo particolari, che possono a loro volta influenzareil ricordo, ma mai, in nessun caso, ricordare significa rivivere. Proprio quest’ultima caratteristica connota ilDisturbo post-traumatico da stress (DPTS): non si ricorda l’evento, lo si rivive, come se il tempo non fossepassato. I ricordi “impliciti” di un evento traumatico presentano una qualità assai diversa. Quando un traumaviene ricordato, la persona “ha” l’esperienza:viene cioè trascinata dagli elementi sensoriali o emotivi deitraumi passati. L’aiuto psicologico alla vittima di mobbing può essere riassunto in quattro puntifondamentali:- recupero dell’autostima;- strutturazione di nuove relazioni o miglioramento di quelle attuali;- comprensione delle proprie modalità di reazione al mobbing;- apprendimento di nuove strategie di gestione del conflitto.La psicoterapia si concentra soprattutto sulla costruzione di una narrativa che spieghi perché la persona sentein un modo particolare, con l’aspettativa che,comprendendone il contesto, i sintomi (sensazioni, percezioni,reazioni emozionali e fisiche) spariscano; alla luce delle più recenti acquisizioni neurobiologiche,però,l’ipoattivazione dell’area di Broca potrebbe interferire, non poco,con i normali percorsi psicoterapici epotrebbe sottolineare l’importanza di alcune tecniche psicoterapiche ove la verbalizzazione è più limitatacome le tecniche di decondizionamento e l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing(EMDR).L’impossibilità che il paziente avverte nella costruzione di una narrativa coerente quando gli viene chiesto diparlare del trauma e il profondo stato di angoscia che accompagna il rievocarlo potrebbero, inoltre,essere lecause per gli elevati tassi di drop-out che si rilevano anche per le terapie psicologiche (Hembree, Foa, Dorfane Kowalski. Do patients drop out prematurely from exposure therapy for PTSD? 2003). Nonostante questo lamaggior parte delle linee-guida riportano la psicoterapia come intervento di elezione per la cura del PTSD,riservando solo ai casi più gravi l’associazione con la farmacoterapia.I trattamenti psicoterapeutici del DPTS si possono dividere in:1) adattamenti terapeutici di tecniche già usate per il trattamento di altri disturbi;2) trattamenti specifici concepiti per la cura dei sintomi post-traumatici.Molti approcci psicoterapeutici potrebbero essere utili nel trattamento delDPTS e vi sono molte indicazionianeddotiche sul loro utilizzo con successo,ma gli studi clinici controllati sono in genere insufficienti per fareuna valutazione scientifica della loro efficacia (Schnyder. Psychotherapies for PTSD, 2001).Tra le tecnichepsicoterapeutiche ad oggi prive di adeguato background di ricerca ricordiamo la terapia di coppia e familiare,la riabilitazione psicosociale,l’arte-terapia e lo psicodramma. Qui sotto sono riportate le terapie il cui effettosui sintomi post-traumatici èconsolidato da lunga data e\o confermato da un sufficiente numero di pubblicazioniscientifiche.4.1.1. Psicoterapia strategica.46L’approccio strategico in psicoterapia è nato nei primi anni Settanta al Mental Research Institute di Palo Alto(Stati Uniti) come modello d’intervento “usualmente breve, orientato all’estinzione dei sintomi e allarisoluzione del problema presentato dal paziente” (Nardone e Watzlawick, 1990). I capiscuola dellapsicoterapia strategica, soprattutto Jackson, Haley e Watzlawick; abbracciando l’ottica costruttivista,secondo la quale un problema è tale quando viene percepito e vissuto come tale , ritengono che se simodifica la percezione che le persone coinvolte hanno del problema, si producono soluzioni. La terapiastrategica studia tecniche e modalità per innescare variazioni nel sistema percettivo- reattivo dei pazienti eaiutarli così a trovare nuovi sistemi di lettura e di comportamento all’interno della realtà problematica. Da unpunto di vista evolutivo (Secci, 2005), l’approccio strategico è uno dei pochi modelli d’intervento suiproblemi relazionali e psicologici che siano stati sviluppati grazie all’applicazione e alla verifica dei propriprincipi di metodo in campi non esclusivamente clinici (Watzlawick, Weakland e Fisch, 1974). Ciò lo hatrasformato rapidamente in uno strumento per le organizzazioni produttive nei settori della gestione dellerisorse umane, della formazione manageriale e del marketing. L’aggettivo “strategica” designa lapsicoterapia improntata alla pianificazione tattica del cambiamento e all’utilizzo accorto di strumenti per lasoluzione dei problemi umani. L’impiego di specifiche tecniche in questo tipo di terapia si richiama alsignificato letterale del termine “strategia”, ovvero piano d’azione minuziosamente preordinato perraggiungere uno scopo. In termini generali, l’obiettivo della psicoterapia strategica consiste nella remissionedel comportamento sintomatico e nella risoluzione del disagio del paziente, anche se per ciascun caso siindividuano scopi specifici, coinvolgendo la persona nella costruzione del risultato che desidera conseguire(Secci, 2005).I principi chiave sui quali si basa il modello di terapia breve strategica possono essere sintetizzati in trepunti:- la permanenza di un problema nella vita attuale di un paziente è sostenuta da comportamenti presenti eattivi nel contesto in cui vive;- questi comportamenti (azioni, pensieri e sensazioni) coincidono spesso con le soluzioni tentate dal paziente,e /o dalle persone con le quali intrattiene rapporti significativi per risolvere il suo problema;- l’obiettivo del cambiamento sono le soluzioni tentate (Watzlawick, Weakland e Fisch, 1974;Fisch,Weakland e Segal, 1982 Nardone, 1998, 2000).L’intervento è interamente centrato su come il problema funzioni e non su perché si presenti. Questo vuoldire che la ricerca delle cause “remote” o “profonde” di un problema è considerata di scarsa utilità se si vuoleprodurre in tempi brevi un cambiamento durevole. La terapia strategica si concentra sull’attuazione delcambiamento e non sull’interpretazione del problema. Nel mobbing è utile individuare gli schemi dipersistenza del problema (Secci, 2005), schemi che sono quasi sempre di natura comunicativa.474.1.2. Psicoterapia analitica.Breurer e Freud (Freud e Breuer, Studies on hysteria, 1995), come noto, hannocontribuito in maniera fondamentale allacomprensione dei sintomi post-traumatici, cui riconducevano ilconcetto originale di isteria. L’approccio freudiano si basava sull’ascolto del pazienteattraverso il metododelle associazioni libere e considerava l’amnesia per lememorie traumatiche come una difesa dall’ansiaderivante dai ricordi rimossi.Freud capì che la terapia dei sintomi isterici doveva incentrarsisull’elaborazionedel trauma. Ciò avveniva innanzitutto attraverso la formazione di unaspecifica relazioneterapeutica cui contribuiva il concetto fondamentale ditransfert per cui il paziente riproponeva nella terapia enei confronti del terapeutal’esperienza emotiva infantile vissuta nei confronti dei genitori. L’analisideltransfert è dunque il fulcro delle interpretazioni psicoanalitiche cheformano la terapia freudiana. Al transfertil terapeuta risponde con il propriotransfert (controtransfert).Attualmente sono disponibili vari modelli di trattamento psicodinamicobreve in cui varie tecniche possonovenire di volta in volta integrate secondole problematiche del paziente (Horowitz e Solomon, 1975).La psicoterapia interpersonale prende invece in considerazione le relazionidel paziente piuttosto che iltransfert.In ogni caso il rapporto di transfert con il paziente affetto da DPTS è particolarmentedifficile poichéil paziente teme il confronto con i ricordi traumaticie li evita anche per paura di essere sopraffatto dalleemozioni ad essi collegate,oltre che essere in scarso controllo dei propri impulsi e talvolta incapacedi funzionare socialmente. Esistono quindi delle controindicazioni relative aquesto tipo di trattamento acausa delle possibili limitazioni emotive deipazienti con DPTS.Oltre ai sintomi veri e propri, le teorie psicoanalitiche aiutano a capire i fenomenidi erotizzazione e rivittimizzazione.Complessivamente le terapie psicoanalitichee psicodinamiche hanno difficoltà a generaredati utilizzabilinella ricerca e, pur avendo un grande significato culturale, la loro efficacianon è statadimostrata in modo conclusivo (kudler, Blank et al, 2000).4.1.3. L’ipnosi.Questo storico e brillante approccio ai contenuti psichici profondi della memoria emotivaappare tutt’oggi un efficace strumento di cura per ilDPTS, anche se non vi sono abbastanza provescientifiche per decretarne lavalidità in modo conclusivo. Alcuni punti dell’approccio ipnotico sonodifondamentale importanza per lo studio dei traumi. Innanzi tutto è statariscontrata un’elevata inducibilitàipnotica nei soggetti affetti da DPTS (Spiegel, Hunt e Dondershine, 1988) .Inoltre, vari studi indicano comel’ipnosi sia facilmente integrata a trattamentidi altro tipo (psicodinamico, cognitivo-comportamentale efarmaco terapeutico) con un effetto potenzialmente sinergico (kirsch, Cardena et al, 1999). Data lafondamentale importanzadelle memorie traumatiche in ogni forma di terapia del DPTS, l’ipnosi puòfornireuna cornice protetta per la ricostruzione di queste memorie che possonovenire usate poi in altri contestiterapeutici. Ciò vale specialmente per quei soggetti con frammentazione e amnesia per gli eventi relativi altrauma.D’ altra parte questo potenziale della terapia ipnotica va considerato con cautela,data la possibilitàche i ricordi vengano distorti e amplificati fino a consolidarela convinzione del soggetto circa la loroveridicità.Spiegel ha sviluppato un approccio ai sintomi post-traumatici che si articolain 8 fasi (confronto,confessione, consolazione, esperienza conscia, condensazione,concentrazione e, infine, della congruenzaovvero dell’integrazionedei vari aspetti della realtà incluse le memorie traumatiche).48Un tema scottante relativo all’ipnosi applicata a vittime di traumi è quellorelativo alle false memorie, ovveroal fatto che, come indicato da alcunistudi, l’ipnosi possa facilitare la produzione di memorie vere e false allostesso modo, specialmente in individui altamente ipnotizzabili. Ciò può esserefacilitato da certi atteggiamentiinquisitori del terapeuta. D’altra parte vadetto che anche gli individui non ipnotizzati sono suscettibili amanipolazionie distorsioni della propria memoria.Maldonado e Spiegel ricordano che le memorie emerse sotto ipnosi vanno trattate con “giudizio terapeutico”(Maldonado e Spiegel, 1994). Per concludere, l’efficacia dell’ipnosi èderivabile dalla relazione stessa diquesto trattamento con la psico- traumatologia,essendo da oltre 150 anni il trattamento principe dei sintomipost-traumatici.Abbondano quindi casi clinici e singole descrizioni di trattamentiterapeutici, ma mancano studi controllati evi possono essere delle controindicazionialla loro applicazione come avvertono Cardena et al. tra cuidebolezza dell’Io, scarsa tolleranza dell’ansia e delle frustrazioni, scarsacapacità d’introspezione, deficitariesami di realtà, bassa intelligenza e difficoltàdi controllo degli impulsi (Cardena e Maldonado, 2000). Perqueste possibili limitazioni è necessarioadattare i vari trattamenti ai singoli pazienti.4.1.4. Terapia di gruppo.La terapia di gruppo si è dimostrata importante nell’aiutare i pazienti reducida esperienze traumatizzanti.L’assetto gruppaleinfatti appare particolarmente adatto alla gestione del paziente post-traumaticoprimaancora che si possa qualificare la tecnica del gruppo come psicodinamicao cognitivista. In ogni caso ipazienti si confronteranno sul traumacomune o simile (“uncovering”) e adotteranno un atteggiamento nongiudicante,offrendo invece supporto reciproco. Nel gruppo si tende a condividereanche problemi legati al quied ora come le relazioni interpersonali e l’adattamentopsicosociale (“covering”).In generale la terapia digruppo sembra porti a buoni esiti clinici nel DPTS,ma non si hanno indicazioni chiare se ciò sia legato allatecnica impiegata oall’effetto generico del setting gruppale ( Herman, 1992).4.1.5 Terapia cognitivo- comportamentale.Questo approccio focalizzato sul sintomo può svilupparsi attraverso varie tecnicheterapeutiche specifiche ocomuni anche al trattamento di altri disturbi. In generale si può affermare che ogni tecnica ha l’obiettivo diridurre lapaura generalizzata nel DPTS e si appoggia sul concetto per cui la riattivazionein vitro dell’ansia eall’interno di una relazione terapeutica protettivaporti ad un’abitudine allo stimolo ansiogeno e quindi aldiminuire del sintomoansioso (Wolpe, 1958) .La terapia di esposizione, la desensibilizzazione sistematica, la terapia cognitivae il training di inoculazionedi stress sono supportati da una messe distudi controllati e scientificamente validi ( Rothbaum e Hodges,1999).L’esposizione, secondo questa fonte, è da considerarsi il trattamento di elezionein questo approccio ameno che non vi siano controindicazioni specifichelegate soprattutto al livello di ansia del paziente e al fattoche la terapiapossa inizialmente incrementarlo. La terapia puramente cognitiva, d’altraparte, appare utile ad49aiutare il paziente a riformulare le proprie idee e valutazionisul trauma, ma insufficiente a miglioraresignificativamente i sintomidel DPTS se disgiunta da una componente di esposizione.4.1.6 Terapie eclettiche.Con questo termine s’intende un approccio trattamentale che integri più tecnichein modo da fornire alpaziente una possibilità di cura che contenga ilmeglio d’ogni singola terapia.A ciò si aggiunge una componente creativa e catartica che mira a personalizzarele fasi cruciali deltrattamento.In questo modo il paziente può decidere di costruire degli aspetti totalmenteindividuali delpercorso terapeutico, fino a ideare e celebrare un vero e propriorituale di congedo dall’esperienza traumaticaed entrare in una fase proficuadi elaborazione del lutto ad essa collegato.La forza lesiva dei traumi, infatti, da una prospettiva antropologica e sociale,non risiede solo nelle proprietàintrinseche dell’agente traumatizzante o nellesuscettibilità dell’individuo esposto, ma anche nella “mancanzadi rituali dielaborazione del trauma e di sistemi di supporto all’interno della società colpita”( Raifman, 1983).Un esempio di questo tipo di approccio è fornito dalla terapia breve ideata da Gersons.Questo percorsoterapeutico prevede una serie di fasi di psico- educazione, diriesposizione, di integrazione e di congedo chemira sia alla risoluzione deisintomi del DPTS sia al superamento del trauma. Nella fase di psico- educazioneviene coinvolto anche il partner del paziente. La fase di esposizionepuò avvalersi di varie tecniche come laCBT, l’EMDR o altro. La secondaparte del trattamento mira alla ripresa della prospettiva storica sullapropriaesistenza con un distacco dall’evento traumatico dopo che questo è statoricollocato nella memoria inmodo meno disfunzionale.Il rituale d’addio che chiude la terapia consiste in un intimo rito funebreespletatocon oggetti dell’evento che serve a ristabilire l’ordinenaturale delle cose. Riconsegnare il trauma alla morteed il paziente alla vita.In questo approccio è evidente il riconoscimento dell’evento traumatico e dellesuesequele come espressione della più elevata complessità bio-psico-sociale (Kolk, McFarlane et al, 1996 ).Si tratta infatti di un iter terapeutico ideato da Gersons per aiutare le vittime ditraumi gravi e quindi portatoridi estremo disadattamento psicosociale.4.2. Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).EMDR è un acronimo per Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione eRielaborazioneattraverso i Movimenti Oculari). E’ un metodo clinico innovativo che ha aiutato con successoormai più di un milione diindividui con Disturbo Post-Traumatico da Stress. E’ una metodologia completache utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica, bilaterale alternata (destra/sinistra)pertrattare disturbi legati direttamente a esperienze passate e a disagi presenti.L’EMDR agisce ad unlivelloneuropsicologico ed è basato sulla stimolazione alternata deidue emisferi attuata nel momento in cui ilpaziente sta richiamandol’esperienza traumatica. Le ricerche sperimentali hanno convalidatol’efficacia deltrattamento, che viene ora utilizzato in molteistituzioni nell’area della psicologia dell’emergenza.50La stimolazione fisiologica sembra attivare il sistema innato di elaborazione dell’informazione e sembraaltresì legato ai meccanismi inerenti l’immagazzinamento della memoria. Il trattamento con l’EMDRpermette un approccio integrato che considera tutti gli aspetti salienti dei maggiori approcci psicoterapeuticipiù tradizionali. Infatti, l’EMDR è un metodo complesso di psicoterapia che integra molti elementi teorici eclinici di altri approcci terapeutici (psicodinamico, comportamentale, cognitivo, fisiologico ed interazionale)che vengono abbinati a movimenti oculari. È noto che i due emisferi cerebrali hanno funzioni diverse ecomplementari alivello psicologico: l’emisfero sinistro ha un punto di vista più positivo, più analitico,permette di guardare avanti e di progettare. L’emisfero destro tende ad esserepiù olistico ed è sempre in unostato di allerta per l’individuazione di pericoli. Endel ,Tulvig e collaboratori (1994) hanno lavorato sulmodello di asimmetria degli emisfericerebrali nei processi di registrazione e richiamo dei ricordi. Secondoquestomodello la corteccia frontale sinistra sarebbe coinvolta nella registrazione dei ricordidi eventi e lacorteccia frontale destra nel richiamo di questi ricordi. Quindi, lastimolazione in modo alternato dei due lati,che avviene durante l’EMDR, potrebbestimolare simultaneamente la rete positiva del destro mentre vengonoevocati icontenuti negativi ed ansiogeni del sinistro, e questo porterebbe ad elaborare l’informazionelegata all’esperienza traumatica, perché agirebbe sui meccanismi inerentil’immagazzinamento della memoria(Fernandez, 2004).L’EMDR ha come riferimento teorico il modello di elaborazione adattiva dell’informazione che si basa sulconcetto che alcuni disturbi mentali siano il risultato di informazionemantenuta in modo non funzionale nelsistema nervoso dovuto ad unaelaborazione incompleta dell’esperienza. Il sistema di elaborazionedell’informazioneè innato, il disturbo post-traumatico da stress si svilupperebbe quando questosistema siblocca e l’evento traumatico rimane isolato dal resto della rete neurale. Iltrauma provoca una ipereccitazionedi un punto specifico del cervello e determinauna patologia dell’organizzazione delleinformazioni contenute nelle reti neurali.Per questo motivo i ricordi traumatici che troviamo alla base deldisturbo post-traumaticoda stress sono tenaci e perseveranti e sembrano non modificabili. Il paziente ècapace di richiamare solo ricordi negativi anchequando sono stati sperimentati degli eventi positivi,manifestando il meccanismo moltonoto dell’attenzione selettiva. Questo potrebbe essere causato dal fatto chel’informazionenegativa è mantenuta in modo non funzionale in una forma eccitatoria e comeconseguenza viene stimolata più facilmente di altre informazioni.Nell’approccio dell’EMDR quando parliamo di informazioni legate ad un evento traumatico ci riferiamo inrealtà a quattro aspetti dell’esperienza traumatica: l’immagine o l’aspetto peggiore dell’esperienza, gli aspetticognitivi, le emozioni e le sensazioni fisiche. L’immagineriguarda l’aspetto peggiore dell’evento o la partepiù disturbante. Attraverso l’immagine si stabilisce il collegamento tra la consapevolezza ed il luogo in cuil’informazione è immagazzinata nel cervello. Si accede al ricordo vero e proprio. Le cognizioni negativesonole credenze, la valutazione di sé davanti all’immagine: cosa si dice su se stesso quando richiama l’immagine.La cognizionedà significato all’emozione; in genere si tratta di pensieri irrazionali. Alcuniesempi: «io sono impotente», «io sono debole» o «non sono all’altezza».51La cognizione positiva invece indica la direzione in cui andrà la risoluzione adattiva ecioè le cognizionicome: «io posso gestire la situazione», «io vado bene come persona»,«io valgo». Sono legate allaristrutturazione cognitiva che dovrebbe avvenire una voltarielaborato il trauma.Le emozioni in realtà riguardano il disagio che il paziente prova focalizzandosi sull’immagine e sullacognizione negativa, cioè le sensazioni di tristezza, angoscia, impotenza. L’ultimo aspetto sono le sensazionifisiche che prova il paziente, legate alle emozioni. La forza dell’EMDR consiste nell’evocare il ricordotraumatico in tutte le suecomponenti (visiva, emotiva, cognitiva e fisica, vale a dire attraverso le sensazionidel corpo), successivamente stimolando il sistema adattivo di elaborazionedell’informazione permette dispostare il ricordo verso una risoluzioneappropriata/positiva. Tale tecnica, deve la sua efficacia al fatto chesi basa su un meccanismo innato del cervello e quindi la desensibilizzazione e la ristrutturazione cognitivache avvengono durante le sedute di EMDR sarebbero il risultato dell’elaborazione adattiva a livelloneurofisiologico (Shapiro, 1989).Con l’EMDR è possibile accelerare la risoluzione di molti disturbi emotivi rispettoalle psicoterapieconvenzionali . Le ricerche sperimentali e le valutazioni sulla sua efficacia hanno concluso che l’EMDR èuno strumento valido e specifico per il trattamento del PTSD.4.2.1. Gli elementi base dell’EMDR.L’intervento con EMDR è strutturato in 8 fasi che sono: anamnesi e raccolta, informazioni, preparazione delpaziente, assessment, desensibilizzazione, installazionedella cognizione positiva, scansione corporea,chiusura e rivalutazione.Il lavoro terapeutico si svolge quindi su diversi piani focalizzandosi soprattuttosul ricordo e su tutti glielementi associati all’evento traumatico (gliaspetti più angoscianti di quel ricordo, i pensieri negativiassociati ad esso, leemozioni, le sensazioni fisiche).Le componenti del protocollo su cui impostare il trattamento e che il terapeutasegue costituiscono gli“elementi di base” da cui partire con la stimolazionebilaterale e questi sono: l’immagine che corrisponde allaparte peggioreo più disturbante dell’evento; la cognizione negativa che corrisponde alleparole che il pazientecollega all’immagine del trauma e che esprimono laconvinzione attuale negativa che ha di sé e che continuaad influenzarlo nelpresente e quella positiva per stimolare le informazioni alternative adattive,che per interiorizzare pensieri positivi circa la propria persona.Un altro elemento importante è l’emozione o il disturbo emotivo che provanel richiamare l’immagineassociata alla cognizione negativa e dove localizzaquesto disturbo nel corpo, che viene misurato con la scaladelle UnitàSoggettive di Disturbo (SUD) di Wolpe (da 0 che corrisponde all’assenza didisturbo sino a 10 cheindica il massimo livello di intensità del disagio) ;(Wolpe, 1991).Riassumendo i risultati delle ricerche condotte in questi 15 anni sull’EMDR:è stato evidenziato che dalpunto di vista clinico e diagnostico il paziente nonpresenta più la sintomatologia tipica del DPTS, già dopopoche sedute. Questoè evidenziato da varie fonti e caratteristiche della ricerca sull’EMDR: confronto52della sua efficacia con altri trattamenti, valutazioni pre-post trattamento conrelativo follow-up e metanalisisulle ricerche realizzate sull’EMDR, pubblicatesui giornali scientifici di psicologia e psichiatria. Uno studioriporta anche unparallelismo fra miglioramento clinico e recupero della funzione del Giro delcingolo anteriore e della corteccia prefrontale, normalmente inibite nei soggetticon DPTS (Levin, Lazrove eKolk, 1999); sembra inoltre che al miglioramento clinico segua parallelamenteil miglioramento dellefunzioni mnesiche (Andrade, Kavanaugh e Baddeley, 1997); un altro studio dimostra come conla EMDR siapossibile normalizzare i livelli di glucocorticoidi24.Questo apre delle strade molto promettenti dal punto di vista scientifico perla psicoterapia, permettendo, conl’approfondimento dell’applicazione delletecniche di brain imaging per la valutazione delle modificazioniindotte dallapsicoterapia, di dimostrare come il meccanismo d’azione possa essere essenzialmentepsico-biologico.4.3. Trattamenti farmacologici del Disturbo Post- Traumatico da Stress.Affrontare la questione del trattamento farmacologico del Disturbo post-traumatico da stress (DPTS)richiede il dover prendere in considerazione, in primo luogo, le particolarità della presentazionesintomatologica del disturbo, nella quale troviamo, variamente mescolati, sintomi d’ansia, sintomi dipanico ed evitamenti, sintomi depressivi, sintomi dissociativi, alterazioni mnesiche.In generale, nella grandemaggioranza degli studi sul trattamento del DPTS, le terapie psicologiche risultano avere una maggioreefficacia rispetto a quelle farmacologiche e hanno un minor tasso di drop-out. Questi dati sonoprobabilmente in parte da attribuire sia al fatto che nel passato venivano utilizzati in prevalenza farmaciantidepressivi (TCA, IMAO) e ansiolitici (BDZ) con un basso profilo di tolleranza e con effetti collateralipesanti, sia al fatto che questi agivano genericamente sugli aspetti depressivi e ansiosi del pazientecon DPTS, senza intaccarne il nucleo specifico (iperarousal e/o dissociativo).L’utilizzo della terapia farmacologica non è ritenuto automatico né di scelta nel trattamento del DPTS,mentre vengono privilegiati gli approcci di tipo psicologico.Tuttavia è evidente come in alcune circostanze il farmaco risulti di più facile somministrazione rispetto ad untrattamento psicologico, inoltre l’avvento degli SSRI (Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina),con la loro selettività di azione sia sulla serotonina che su alcune dimensioni più “centrali” del DPTS(impulsività, aggressività), l’impiego di altre sostanze con obiettivi analoghi (anticonvulsivanti, litio,stabilizzatori dell’umore), e alcuni approfondimenti di tipo neurobiologico sui meccanismi di insorgenza deldisturbo hanno ridefinito, in parte, la questione dell’impiego dei farmaci nel DPTS.Il razionale della scelta degli psicofarmaci sembrerebbe riporre sulle evidenze, sempre più numerose, di unaserie di anomalie a carico di diversi sistemi psico- biologici in questi pazienti. I dati più significativi inquesto senso riguardano alterazioni dei meccanismi adrenergici e dell’asse ipotalamo-ipofisarioadrenocorticale(HPA), l’aumento dell’attività fisiologica ( Davidson e Smith,1990; Green, 1992;Famularo,1996).53Da un punto di vista strettamente clinico, un altro elemento a favore dell’utilizzo della terapia farmacologicasta nell’evidenza che, una volta ridotti i sintomi di iperarousal, il paziente risulta coinvolto con maggioreefficacia nella psicoterapia.L’insieme di questi dati farebbe del trattamento farmacologico una delle importanti opzioni della terapia delDPTS, il quale pertanto sembrerebbe più indicato in alcune situazioni: in combinazione con gli approccipsicologici, nei pazienti contemporaneamente depressi, nei pazienti non rispondenti alle terapie psicologichee, più in generale, in tutte quelle situazioni in cui il trattamento psicoterapico non sia facilmente disponibile.Nella pratica clinica, è importante definire con sufficiente esattezza che tipo di effetti ci si aspetta di ottenerecon la terapia farmacologica, ovvero quali siano gli obiettivi dei singoli farmaci utilizzati. Secondo lamaggior parte degli autori, i goal della terapia farmacologica del DPTS sono, nell’ordine:- migliorare i sintomi core del DPTS (re-experiencing, avoidance/emozionanumbing, hyperarousal);- migliorare il funzionamento;- migliorare la sintomatologia dei disturbi psichiatrici (depressione, disturbo d’ansia, uso di sostanze)associati al DPTS;- prevenire le ricadute.Il trattamento psicoterapeutico prevede una seduta di psicoterapia cognitivo- comportamentaleentro 72 oredall’evento (fase acuta); come profilassi siraccomanda di iniziare il trattamento entro 2-5 settimanedall’evento, conuna frequenza di 3-4 sedute a settimana.Il trattamento farmacologico viene suddiviso in step successivi, seguendo siacriteri temporali che dipresentazione clinica. La somministrazione di unbeta-bloccante (propanololo 40 mg/2-3-4 volte die) a partireda qualche oradopo l’evento, per un periodo di 10-20 giorni, sembra ridurre il rischio disviluppare sintomi diDPTS a distanza di un mese, e sembra produrre unariduzione della risposta fisiologica ai reminder a tre mesi(Pitman, Sanders e Zusman, 2002).Date la molteplicità delle alterazioni psicologiche e la ricchezza e multiformitàdelle manifestazionisintomatologiche del DPTS (sintomi d’ansia, sintomi depressivi,sintomi somatoformi, sintomi dissociativi),diverse classi di psicofarmacisono state utilizzate per il trattamento nel corso del tempo, con diversi target:♦ antidepressivi, delle diverse classi: TCA, SSRI, IMAO, trazodone, nefazodone;♦ antiadrenergici: alfa-2 agonisti (clonidina), beta-antagonisti (propanololo),alfa-1 antagonisti (prazosina);♦ stabilizzatori dell’umore e anticonvulsivanti: litio, carbamazepina, valproato,lamotrigina;♦ benzodiazepine;♦ antipsicotici.Tra le diverse classi di farmaci sperimentate, nel corso del tempo, per il trattamento del DPTS, gliantidepressivi (AD), sembrano, a tutt’oggi, quelli più efficaci. Gli antidepressivi triciclici ( TCA) sono statiutilizzati nel trattamento del DPTS a partire dalla metà degli anni ’80.544.4. Ipotesi di prevenzione.Il mobbing è per definizione e genesi un “problema professionale” e come tale gli eventuali interventipreventivi vanno effettuati attraverso il pieno coinvolgimento di tutte le parti sociali in campo (management,gerarchia, organizzazioni sindacali, dipendenti). Per affrontare il mobbing dentro le organizzazioni di lavoro,in modo serio e professionale, è opportuno conoscere il fenomeno in tutte le sue sfaccettature, evoluzioni ecaratteristiche. La conoscenza approfondita del mobbing rappresenta, infatti, il primo presupposto per portareavanti strategie di prevenzione efficaci in linea con le dinamiche tipiche del fenomeno. A tal proposito, ogniazione e informazione inerente al mobbing deve essere vagliata con sano spirito critico prima di “gridare almobbing”. Alcuni comportamenti che taluni lavoratori possono intendere (talvolta più o menostrumentalmente) come vessatori, infatti, spesso rappresentano e sono frutto di un corretto utilizzodell’azione manageriale (organizzazione del lavoro, turnazione, trasferimento) e dell’azione disciplinare (legittimamente prevista dai contratti collettivi di riferimento) indispensabili per l’agire organizzativo e chenon sottintendono alcuna finalità vessatoria o mobbizzante (Sprini e Bernardi, 2004). Una strada che èragionevole e utile percorrere per portare a buon fine un possibile intervento di prevenzione organizzativa neiconfronti del mobbing è quella che ha il suo fondamento nella presa in carico da parte dell’organizzazionedatoriale dell’intera problematica attraverso la creazione di misure antimobbing. Tali provvedimenti,necessari per la protezione della salute psichica dei lavoratori, comprendono attività di prevenzione dei rischipsicosociali nonché di (in) formazione sul mobbing; questa direzione d’intervento fa proprie le indicazioni diuna specifica risoluzione del Parlamento europeo, emanata contro la violenza e le molestie nei luoghi dilavoro. Essa sottolinea la necessità di rafforzare le misure tese a far fronte a questo rilevante fenomeno, percontrastare il quale il Parlamento raccomanda gli Stati membri di imporre alle imprese e ai sindacatil’attuazione di efficaci politiche di prevenzione e l’individuazione di nuove procedure: da una parte perrisolvere il disagio delle vittime, dall’altra per sanzionare i colpevoli. Attraverso la creazione di specifichemisure aziendali si può addivenire alla individuazione dei modi di definire, prevenire e gestire il mobbing neiluoghi di lavoro, sgombrando il campo da ogni possibile “fraintendimento”. In tal modo, aumentando inmodo esponenziale la consapevolezza sulla problematica del mobbing e riducendo significativamente i costiaziendali dovuti alle conseguenze che questo provoca, si può riuscire a favorire il lineare svolgimento dellavoro e garantire la salvaguardia della salute psicologica. La presa di coscienza dell’impresa sul problemadel mobbing, il suo posizionamento da parte di questa fra le responsabilità manageriali e all’interno dellepolitiche di gestione delle risorse umane creano, al contempo, un forte deterrente per i mobber i quali nelportare avanti le loro strategie mobbizzanti dovranno fare i conti con un contesto di riferimento in possessodi una conoscenza più diffusa e precisa del problema. A ciò si aggiunge il sostegno fornito alle potenzialivittime, che avranno a disposizione una serie di strumenti (che possono essere procedurali, d’informazione,di supporto) per poter intervenire anche tempestivamente, ossia prima di arrivare a fasi di mobbing avanzatee conseguentemente molto dannose. In altri termini, una cultura manageriale fondata sul rispetto delbenessere psichico e sulla qualità della vita lavorativa, sull’informazione e la conoscenza diffuse, sulla55cooperazione e la fiducia, contribuisce a creare un clima e un contesto di lavoro “immunizzati” all’internodei quali il mobbing ha poche possibilità di germinare. Siamo perfettamente consapevoli dell’impossibilità difornire delle “ricette anti-mobbing” valide per tutti i contesti organizzativi e soprattutto trasferibiliautomaticamente (Bernardi, Sprini, 2004). Riportiamo uno schema relativo ai passi che riteniamo siaimportante compiere al fine di implementare, all’interno di un determinato contesto organizzativo,un’efficace misura antimobbing. Ecco, dei suggerimenti operativi per una misura antimobbing:a) Enunciazione dei principi etici generali di riferimento;b) Definizione del fenomeno “mobbing”;c) Descrizione specifica delle azioni ostili;d) Esplicita proibizione delle azioni ostili;e) Indicazioni sulle sanzioni disciplinari previste per le violazioni e per le accuse meramente strumentali.Questa prima parte della misura bandisce ufficialmente dalle logiche organizzative ogni attacco con finalitàvessatoria e ostile e permette a chi si trova oggetto di attacchi mobbizzanti (palesemente definiti, proibiti esanzionati) di riconoscerli più facilmente e soprattutto consente di denunciarli legittimamente anziché subirliin modo passivo e quasi “dovuto”. Sono qui riportati, dei momenti chiave:a)Descrizione della procedura (formale e informale) da seguire per segnalare tempestivamente le situazioni arischio di mobbing.b) Indicazioni sulle figure di riferimento o sulle commissioni di riferimento (interne all’organizzazione e/oesterne) cui rivolgersi in caso di mobbing.c) Indicazioni sugli eventuali servizi di consulenza e di supporto disponibili all’interno dell’organizzazione onel territorio per la vittima e per chi pratica il mobbing.d) Indicazioni sulla tutela dell’anonimato.Queste azioni permettono di formalizzare e istituire attraverso una specifica procedura aziendale degliappositi organismi a cui rivolgersi con la consapevolezza di avere garantita la necessaria riservatezza,confidenzialità e tutela da ulteriori vessazioni. In tal modo, l’azienda offrirà la possibilità di:-sostegno immediato per superare i vissuti di isolamento e impotenza tipici delle situazioni di mobbing;- tentativi di conciliazione, di mediazione e risoluzione del conflitto attivati prima di intraprendere la via deiprovvedimenti disciplinari che potrebbero costituire il pretesto per portare avanti nuovi attacchi mobbizzanti;- riferimenti esterni di intervento riabilitativo più specialistico.In altri termini, si avranno a disposizione più risorse organizzative per diminuire il rischio dell’escalationdegli episodi di mobbing e per gestire le eventuali conseguenze degli attacchi mobbizzanti. Si ritiene, siapossibile creare, attraverso l’adozione di specifiche misure antimobbing, una sorta di politica aziendalechiara e condivisa, che possa favorire la possibilità di benessere dell’intera impresa. In tal modo, unorganizzazione di lavoro che sia attenta a evitare una degenerazione delle relazioni umane e che onori la suaresponsabilità verso il benessere dei propri dipendenti non potrà non aprirsi alla vera creazione di valore.56Conclusioni.Come si può agire sul versante della prevenzione del mobbing e del conflitto sul lavoro? Le direzioni nellequali è possibile operare sono due: puntare sull’azienda con una formazione mirata che corregga ed indirizziadeguatamente il lavoro dell’Ufficio Risorse Umane oltre a creare la “cultura del litigio”; dedicarsi ai singoliindividui, con una formazione personale che prepari le persone al conflitto insegnando loro le tecniche diautodifesa verbale (Ege, 2007). Entrambi gli interventi mirano ad impedire che un banale conflitto possadiventare un vero caso di Mobbing. Creare all’interno di una azienda la “cultura del litigio” significaintervenire sulla politica e sull’atteggiamento direttivo, rivedere determinate scelte e metodi per arrivare auna migliore gestione delle situazioni critiche in generale. Possedere “la cultura del litigio” non significaavere nuove armi con cui reagire al conflitto, bensì avere una visione più chiara e definita del conflittostesso, a beneficio dell’azienda, ma anche dei dipendenti e delle loro famiglie.L’obiettivo principale della cultura del litigio è la trasparenza del conflitto, vedere un conflitto come una purae semplice diversità di vedute o di opinioni. Per giungere a questa visione imparziale ed obiettiva occorresecondo Ege de-emozionare il conflitto. Il conflitto non riconosciuto e adeguatamente affrontato continua amuoversi e ad espandersi sotto la superficie dell’apparente “normalità, creando malumore, scontentezza edinsicurezza”.Se si ha il coraggio di parlare apertamente dei problemi, dei disagi e delle incomprensioni, o sesi è incoraggiati da determinati atteggiamenti aziendali di apertura e di ascolto, il conflitto non è più tabù. Incerte aziende tedesche esistono delle vere e proprie “Konfliktzimmer”, cioè delle “stanze del conflitto” in cuii dipendenti possono riunirsi per discutere e chiarire i problemi; se la discussione si rivela più aspra delprevisto e i contendenti non riescono a trovare un punto di accordo, c’è la possibilità di far entrare in gioco unKonfliktmanager cioè uno specialista del conflitto. In un ambiente privo della cultura del litigio, un conflittolavorativo consuma le energie dei due contendenti le une contro le altre. La cultura del litigio permette diutilizzare insieme le risorse dei due contendenti. Dalla sinergia possono scaturire nuove e rivoluzionarieprospettive e soluzioni creative ed efficaci (Lamanna, 2006).57Bibliografia.- D’Angelo P. G., Mobbing. Aspetti medico-legali, danno psichico e oltre, 2004.- Cassito M. G., Punzi S., La diagnosi del disturbo post-traumatico da stress nei casi di mobbing: evidenzecliniche e riflessioni teoriche, 2007.- Cocchi F., Mobbing e stress, 2009.- Casilli A., Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Derive Approdi, Roma,2000.- Pappone P., Il danno da stress e da mobbing, 2003.- Giorgi, P. Argentero, W. Zanaletti, S.M. 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