Definizione delle emozioni primarie o di base: come riconoscere le emozioni

Come riconoscere le emozioni nella loro definizione

 

Stefania Porcu

disgustoMolti esperti concordano che dopo decenni di ricerche e formulazione di molte teorie non esiste ancora oggi una definizione di emozione che ne contempli tutti gli aspetti.

Soffermandosi però sulle componenti, sulla genesi e sulle funzioni delle emozioni, Zimbardo, nonostante le enormi differenze nella definizione del termine, constata l’ esistenza di un consenso generale tra i differenti psicologi contemporanei.

 L’emozione è dunque considerata un pattern complesso di modificazioni a livello di eccitazione fisiologica, processi cognitivi, sentimenti e diverse reazioni comportamentali che il soggetto utilizza in risposta ad una situazione che ritiene fondamentale per mantenere il suo equilibrio (Legrenzi, 1994).

Le emozioni sono definite come dei sistemi complessi e allo stesso tempo coordinati, che comprendono risposte di tipo fisiologico, che riguardano alterazioni respiratorie e cardiache, risposte motorie strumentali come il fuggire e gridare, risposte motorie espressive riguardanti le alterazioni della mimica facciale comprendenti anche gesti e voce ed infine l’insieme di tutti gli aspetti che risultano pervasivi e strettamente collegati all’esperienza del soggetto come modificazione dell’umore (Legrenzi, 1994).

L’emozione secondo la prospettiva psicoevoluzionistica che si riferisce principalmente alla teoria di Darwin (1872), ripresa, attorno agli anni Sessanta, da Tomkins, ritiene che questa sia strettamente associata alla realizzazione di scopi universali, connessi con la sopravvivenza della specie e dell’individuo.

Frijda (1988) ha messo in evidenza che le emozioni sorgono in risposta alla struttura del significato di una determinata situazione e dipendono dai significati e dai valori che un individuo attribuisce a un dato evento. Se l’evento soddisfa i desideri, l’individuo ha un’emozione positiva, altrimenti reagisce negativamente.

Ekman e Izard (allievi di Tomkins) e Plutchick (1980) hanno ripreso e sviluppato la prospettiva psicoevoluzionistica.

Ekman (1992) ha definito l’emozione come la percezione di sensazioni che motivano e allo stesso tempo organizzano e guidano tutto ciò che concerne azioni e pensieri. Nel corso dell’evoluzione, infatti, le emozioni si sono sviluppate per dare nuovi tipi di motivazione, per spingere all’azione e per fornire un’ampia varietà di comportamenti, al fine di far fronte alle richieste dell’ambiente e della vita quotidiana. Si può dunque affermare che l’emozione agisce da filtro sensoriale e seleziona determinate soluzioni per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Pur essendoci molta divergenza tra ricercatori e teorici, come precedentemente detto, tutti concordano nel sostenere che le emozioni sono il prodotto sia di stati interni che di stimoli esterni e che la descrizione di un’emozione è un processo implicante lo stato psicologico, il sistema nervoso autonomo, le risposte cerebrali, la memoria e le espressioni facciali.

L’emozione è un evento multisistemico, – affermano Cattarinussi (2006) – generalmente di breve durata, che interessa più piani: l’elaborazione cognitiva e la verbalizzazione dell’esperienza soggettiva, il piano del comportamento motorio e quello delle risposte fisiologiche.

Principalmente le emozioni vengono distinte in primarie o di base e in complesse; quelle primarie  hanno un fondamento biologico mentre le complesse sono la risultante delle prime, condizionate e plasmate dall’esperienza (Legrenzi, 1994).

In merito a ciò Ekman (2008) e Izard (1991) ritengono che le emozioni che caratterizzano ogni individuo possono essere suddivise in primarie e secondarie.

Le emozioni primarie o di base sono:

  1. rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso l’aggressività;
  1. paura, emozione dominata dall’istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una situazione pericolosa;
  1. tristezza, si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto;
  1. gioia, stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri;
  1. sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia;
  1. disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e disdegnato rifiuto verso persone o cose, considerate prive di dignità morale o intellettuale;
  1. disgusto, risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale specifica.

Le emozioni secondarie, invece, sono quelle combinazioni originate dalle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale. Esse sono: allegria, invidia, vergogna, ansia, rassegnazione, gelosia, speranza, perdono, offesa, nostalgia, rimorso e delusione.

Per Robert Plutchik, le emozioni primarie sono otto, divise in quattro coppie:

Da queste combinazioni fondamentali deriverebbero altre emozioni come delusione, amore, rimorso, sottomissione etc (Legrenzi, 1994).

Fu Darwin (1872) ad affermare che il disgusto è, al pari della tristezza, della gioia e della rabbia, un’emozione basica, definita da Rozin e Fallon come un avversione nei confronti di un incorporamento orale con una sostanza dannosa (Mancini & Gragnani, 2003).

Si hanno differenti tipi di repulsione o avversione nei confronti di un’assimilazione orale, ognuna delle quali ha una specifica caratteristica psicologica:

  • Sensoriale affettiva: credenza che l’oggetto possieda proprietà negative in base al cattivo sapore, all’odore, alla consistenza o all’apparenza;
  • Anticipazione delle conseguenze dannose: successive a una possibile ingestione (Mancini & Gragnani, 2003). Queste possono provocare sia danni corporei immediati (crampi allo stomaco) o differiti (cancro), sia danni sociali e morali (ad esempio, accettare del cibo toccato da un membro di una casta inferiore);
  • Fattori ideativi: la conoscenza sulle origini o sulla natura della sostanza da ingerire. Tali fattori sono propri del genere umano e sono sicuramente influenzati dalla cultura e dagli aspetti morali di essa.

Si prova disgusto principalmente sulla base di stimoli sensoriali: vedere, toccare o essere colpiti dall’odore di qualcosa che ispira repulsione, spinge ad allontanare dal proprio campo percettivo l’oggetto disgustoso, distogliendo lo sguardo, scuotendo le dita o sputandolo se era già stato messo in bocca (Bion, 1963).

Ekman (2008) riferisce di un’esperienza con gli abitanti di un remoto villaggio sulle alture della Papua Nuova Guinea, i Fore. Gli indigeni rimasero stupiti nel vedere lo psicologo americano mangiare dal barattolo cibo a loro sconosciuto.

Lo studioso fotografò l’espressione di disgusto evidenziata sul volto di un membro della tribù che non aveva smesso di osservare. Scrive Ekman (2008): “La fotografia illustra che l’uomo è disgustato dalla vista e dall’odore del cibo che io consideravo appetitoso” (p. 177).

La foto metteva in risalto quanto contasse mangiare sostanze ripugnanti per generare il disgusto semplicemente osservando colui che consumava tale pietanza. Quell’esperienza portò Ekman a descrivere il disgusto come “un sentimento di avversione: il gusto di qualcosa che si vorrebbe sputare; persino il pensiero di mangiare qualcosa dal gusto nauseabondo… anche l’odore suscita disgusto anzi, basta il pensiero della puzza che qualcosa di repellente potrebbe emanare per suscitare il disgusto… non solo sapori, odori e sensazioni tattili, o il pensiero di essi ciò che vediamo o udiamo possono suscitare disgusto, ma anche le azioni, l’aspetto e persino le idee delle persone… C’è chi prova disgusto nel vedere un essere umano deforme, storpio o brutto oppure una ferita aperta, o alla vista del sangue, o assistendo ad un’operazione chirurgica” (Ekman, 2008, p. 178).

Fu proprio seguendo nel 1972 la Tribù della Papua Nuova Guinea isolata dal resto del mondo, che Ekman poté notare come le espressioni “base” fossero universali. Ampliò la sua lista di emozioni base nel 1992 aggiungendo altre emozioni come: divertimento, imbarazzo, orgoglio dei propri successi, piacere sensoriale.

Le osservazioni di Ekman furono elaborate e ampliate in seguito da Paul Rozin il quale sosteneva che il perno del disgusto fosse l’idea di incorporare oralmente qualcosa considerato ripugnante e contaminante, inoltre riteneva che i fattori più potenti, universali, sono i prodotti del corpo, come le escrezioni umane, che, una volta abbandonato il corpo, vengono ritenute disgustose.

Il disgusto è di conseguenza ritenuto come un’emozione negativa poiché provoca un’esperienza spiacevole.

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