Come incentivare la motivazione ad apprendere

La motivazione ad apprendere “La motivazione è una spinta grazie alla quale il soggetto adotta comportamenti positivi, quali mostrarsi desideroso di acquisire nuove conoscenze, impegnarsi e persistere nello studio”.

Negli ultimi vent’anni lo studio della motivazione ad apprendere ha avuto un notevole ampliamento, coinvolgendo diverse correnti teoriche. Quest’ultime possono essere ridotte, con qualche semplificazione, a tre.

La prima teoria ha in un certo senso sviluppato i contributi della social cognition: esso studia le modalità in cui il soggetto si immagina gli obiettivi e i risultati del proprio comportamento, capisce e reputa la propria capacità di affrontare i diversi compiti di apprendimento e si crea aspettative sui risultati futuri.

Questo approccio, tipico della teoria cognitivista, vede la motivazione in quanto rappresentazione: il soggetto non è motivato in quanto “spinto” da bisogni, non in quanto “oggetto” di circostanti favorevoli di rinforzo, come affermava il comportamentismo, ma in quanto tende a raggiungere un obiettivo che può mostrarsi attraente, oppure il soggetto può scartarlo se lo reputa sgradevole. Un obiettivo, in questa prospettiva, è l’immagine che il soggetto ha di un risultato che vuole ottenere, oppure contrariamente evitare.

La seconda corrente teorica è rappresentata da alcune ricerche sugli aspetti “energetici” della motivazione, cioè sugli agenti che mettono in moto il comportamento del soggetto verso oggetti o attività che lo attraggono e a cui conferisce un dato valore. Rientrano in queste correnti le teorie delle motivazioni intrinseche e gli studi sull’interesse. Per quanto riguarda le prime, va ricordato che esse hanno evidenziato, tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, un distacco determinato dal comportamentismo dato che sostenevano contrariamente a quell’approccio, l’esistenza di comportamenti, nell’uomo e negli animali superiori, non originati da bisogni primari, come ad esempio la fame, ma da bisogni diversi, come quello di esplorare l’ambiente e acquisire su di esso una data conoscenza. Tale argomento è stato preso in considerazione verso la fine degli anni ’70 grazie agli studi di S.Harter (1978-1981) sulla motivazione di competenza e alla ricerca sull’autodeterminazione di Deci e Ryan (1985). Negli anni ’80 è stato rivisitato in chiave psicologica il concetto di interesse, già esaminato da filosofi e pedagogisti. L’interesse è uno stato che comporta una messa a fuoco dell’attenzione, di un accrescimento delle funzioni cognitive e del coinvolgimento affettivo (Hidi 1990-2000; Hidi e Baird 1986).

Il terzo modello teorico è quello, infine, più recente e con più sfaccettature, dell’autoregolazione dell’apprendimento. Esso concerne le modalità e le strategie con cui un soggetto esamina, appura e cambia i propri atteggiamenti per raggiungere obiettivi di apprendimento e di riuscita.

L’autoregolazione non coincide con la metacognizione, come la parola “strategia” potrebbe far pensare, ma la comprende: autoregolarsi vuol dire infatti utilizzare strategie sia metacognitive che motivazionali. Ad esempio, uno studente che si è posto un obiettivo ricco di difficoltà come il superamento di un esame, potrebbe utilizzare strategie metacognitive per valutare il rapporto tra il tempo che ha disposizione e l’impegno di studio e nello scegliere le modalità di studio più adatte al tipo di impegno che l’esame richiede; usa strategie motivazionali per controllare l’ansia e per non distogliersi dallo studio (Boekaerts, Pintrich, Zeidner 2000; Paris e Paris 2001; Zimmerman e Schunk 2001).

di Fortuna Esposito

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