Come si sviluppa l’identità

Il processo che porta alla definizione di sé, è un processo lungo e mai definitivamente  concluso perché una molteplicità di fattori interni o esterni alla persona intervengono a modificarlo.

Inoltre, la conoscenza di sé non si riduce ad un’unica idea, ma accoglie un insieme di conoscenze relative al corpo,alla psiche,alle relazioni con gli altri

che sono diverse per tipo e per livello di astrazione e di organizzazione in relazione alla complessità dei processi cognitivi sottostanti ai diversi livelli.

Ad un primo livello troviamo la coscienza di sé, ad un livello più complesso il concetto di sé.

Alla base della conoscenza di sé, vi è la coscienza di sé che si costruisce attraverso una molteplicità di esperienze attraverso le quali ci si riconosce come soggetto immerso nel mondo fisico, in relazione alle altre persone, al proprio passato e in relazione con se stesso.

Solo a partire dalla coscienza di sé che è possibile giungere  ad una definizione e ad una valutazione del sé.

Il concetto generale di Sé si compone di pensieri ed atteggiamenti nei confronti di se stessi; esso è parte integrante della conoscenza della realtà che l’individuo ha. Inoltre il concetto di sé varia in relazione all’ambiente di vita e al contesto sociale di riferimento e varia anche con l’età.

Nel percorso di sviluppo del concetto di sé si individuano due momenti significativi introdotti da Lewis nel 1990; egli parla infatti di Sé esistenziale, ovvero la consapevolezza di sé, cioè la capacità di comprendere che si esiste come individuo distinto e separato dagli altri, e Sé categoriale, ovvero il vero e proprio concetto di sé, cioè l’attribuzione a sé di caratteristiche (la posizione di sé che attribuisce all’interno di categorie che lo rappresentano). Il Sé esistenziale si forma entro il secondo anno di vita, viene stabilito attraverso prove di riconoscimento visivo allo specchio (Lewis), attraverso la capacità che il bambino sviluppa durante la crescita nell’usare appropriatamente i pronomi personali e il nome proprio ed, infine, attraverso la presenza di autoaffermazione e di emozioni complesse come ad esempio vergogna e orgoglio.
Il percorso di acquisizione del Sé esistenziale è stato descritto da alcuni grandi psicologi, facendo riferimento al piano cognitivo, rispetto al processo di costruzione dell’oggetto e differenziazione del soggetto, proprio nei suoi periodi di sviluppo, sostiene che nel primo periodo senso motorio, diviso in sei stadi,  il bambino ha il potenziale per conoscere ogni cosa e  che nel  sesto stadio “ invenzione dei nuovi mezzi” (18-24 mesi), l’esplorazione mentale esterna, diventa esplorazione mentale interna, ovvero percepisce l’oggetto anche se non c’è o non lo vede. (J.Piaget, 1937)

Mahler riguardo la costruzione del concetto di sé, sul piano affettivo, fa riferimento al processo che dalla fusione e simbiosi del bambino con la madre, conduce alla separazione e all’individuazione. (1975)

Il Sè categoriale si costruisce a partire dai due anni circa, si forma contemporaneamente alla conoscenza degli altri,segue nello stesso periodo e tempo lo sviluppo cognitivo, quindi schemi cognitivi via via più complessi che permettono nuove conoscenze e nuove modalità di perfezionamento delle competenze; il sè categoriale si forma anche con lo sviluppo affettivo e sociale, le relazioni con gli altri, le reazioni che gli altri  scaturiscono permettono di ricavare indicazioni su di sé.

 “I primissimi nuclei del Sé, nella prima infanzia hanno origine nelle relazioni familiari e riguardano l’affabilità con il sociale, la sicurezza, le capacità di base connesse all’autonomia, le prime norme.”(Guidano 1988)

Riprendendo la teoria di attaccamento di Bolwby (1979,1988) egli  descrivere le tappe dello sviluppo del bambino. Il bambino impara a conoscere se stesso e il proprio ambiente nell’interazione con le principali figure di attaccamento, è quindi sulla base di queste prime esperienze, che inizia a costruire il proprio Sé.

In seguito, ogni bambino riesce a costruire il proprio Sé, in base alle persone che incontra nella propria vita, ovvero nel mondo sociale; diversi studi, infatti, dimostrano che i bambini cresciuti in isolamento non raggiungono una piena conoscenza di Sé. Questo fenomeno è stato definito da Popper il looking-glass- effect ripreso poi da Guidano per spiegare al meglio il suo modello teorico; il Sé è il risultato di questo effetto specchio ed è quindi determinabile come un “looking – glass self”, quindi il Sé si rispecchia, nei primi periodi di vita, nelle figura primarie di attaccamento,o caregiver. La costruzione del Sé in questo periodo è molto importante per la formazione di un Sé futuro, infatti tutto ciò che il bambino assimila, apprende dalle figure di attaccamento, condiziona le relazioni con gli altri, soprattutto con i pari, costruendo un Sé formato sempre da schemi relazionali, normativi e di competenza, proporzionati al livello evolutivo raggiunto.

Il pensiero di Stern introduce elementi di originalità; relativi ai processi che sono alla base dell’acquisizione dell’assetto organizzativo interno del bambino e dell’acquisizione del Sé.  Il modello che integra la prospettiva psicoanalitica, attraversa e approfondisce la dimensione individuale, mette in risalto come il neonato è impegnato nella ricerca di stimoli ed in processi di scambi interattivi, è attivo nello sperimentare l’emergere di un’organizzazione del Sé ed è dotato di capacità che lo predispongono a discriminare tra sé e l’altro ed a utilizzare i processi interattivi per la regolazione dei processi che contribuiscono all’organizzazione del proprio Sé.

lo sviluppo è inteso da Stern come una sequenza epigenetica di compiti adattivi che seguono due andamenti processuali:

a)      Emergono con la maturazione nel bambino delle strutture neurobiologiche sottostanti a specifiche capacità fisiche e mentali;

b)     Possono essere risolti solo attraverso la negoziazione e la riorganizzazione all’interno del sistema diadico madre – bambino.

Stern propone infatti un “modello di costruzione continua dello sviluppo” all’interno di una prospettiva relazionale, evidenziando l’esistenza di una sequenza evolutiva, che delinea una successione di cambiamenti biocomportamentali nel bambino; sequenza che si snoda all’interno di scambi interpersonali, in gradi di potenziare o meno le capacità biopscio – sociali emergenti all’interno del sistema diadico madre – bambino. Sulla base delle prime interazioni che il bambino costruirà i modelli di esperienza, soggettiva e relazionale, che sono alla base delle rappresentazioni mentali di Sé e dell’altro. L’autore ribadisce che gli eventi mentali del bambino sono processi carichi affettivamente, che si ostruiscono nel tempo, a partire da interazioni ricorrenti e quotidiane. A partire da queste sequenze che il bambino costruisce le “rappresentazioni di interazioni generalizzate” (RIG), che formano unità mnestiche di base su cui si organizzano dinamicamente “ isole di coerenza”, ovvero “elementi costanti dell’esperienza del Sé e dell’altro, che formano aspettative e previsioni di interscambi futuri”. (Stern, 1985).

 Dagli anni ‘90 in poi nuovi studi condotti con nuove metodologie hanno evidenziato che i bambini di età prescolare sono in grado di concedersi caratteristiche non solo a livello fisico ma anche di tipo psicologico (emotivo, sociale, tratti di personalità) e di organizzarle in modo adeguato.

Le esperienze che influenzano la costruzione del Sé categoriale sono:

  • Socializzazione con i coetanei e con l’adulto
  • Aspettative delle figure di attaccamento e dei coetanei
  • Capacità di attribuire dei significati
  • Esperienze di dialogo,racconto e esperienze attraverso ricordi
  • Crescita cognitiva (memoria, linguaggio).

In psicologia dell’età evolutiva le ricerche relative al concetto di sé utilizzano prevalentemente questionari semi strutturati in cui si chiede ai bambini di fornire una descrizione di se stessi oppure di ipotizzare il loro comportamento all’interno di una particolare situazione. Naturalmente ciò solo con bambini che abbiano conseguito una sufficiente competenza comunicativa.

Dai tre ai cinque anni, i bambini per descriversi, considerano esclusivamente le proprie azioni del tipo “gioco con papà”, “vado a scuola”, cioè utilizzano le azioni abituali per riconoscersi e definirsi.

Fra i sei e gli otto anni aggiungono alla descrizione anche i tratti fisici che ritengono più importanti del tipo “sono una femmina”, “porto gli occhiali”; solitamente la descrizione avviene senza porre un confronto con gli altri, ma in termini assoluti. Inoltre non sono riportate le caratteristiche psicologiche, come le preferenze, il modo di pensare, le capacità intellettuali. Questo sta a dimostrare che il concetto di sé sia influenzato da due caratteristiche generali del pensiero infantile: l’egocentrismo ed il realismo, inteso come difficoltà a separare realtà oggettiva e realtà soggettiva, dando la prevalenza alla realtà oggettiva concreta. Tutto questo porta ad una stretta aderenza alla realtà percettiva e alla considerazione che il proprio punto di vista sia l’unico possibile.

Oltre gli otto anni i bambini iniziano a proporre descrizioni di sé che includono anche gli aspetti psicologici, la caratteristiche che li distinguono dagli altri. Se riportano caratteristiche fisiche le pongono in relazione ad altri.

L’adolescenza, periodo cruciale per il soggetto, perché propone specifici compiti evolutivi (Havinghurst,1953) inerenti la formazione dell’identità e il progressivo raggiungimento dell’autonomia. Questa fase, definita in letteratura in modo non univoco talora come pubertà, talora come adolescenza o prima adolescenza (Bee, 1981; Coleman & Hendry,1980; Panizon, 1982), risulta meno indagata rispetto alle fasi successive dell’adolescenza, pur rappresentando un momento delicato del percorso di formazione del Sé (Coleman & Hendry, 1980).

In questo periodo, la maggior consapevolezza di sé e del punto di vista altrui, che non necessariamente coincide con il proprio, rende possibile una diversa autoriflessione. Emerge l’idea che è possibile avere un’opinione di sé che non coincide con quella degli altri e neppure con la realtà e che si possono avere dei comportamenti di cui non si è pienamente coscienti. Queste riflessioni sono associate al bisogno tipico dell’adolescente di costruirsi un’identità personale, di trovare un modo originale di porsi, di integrare le diverse esperienze relative a se stessi in un’unità.

di Ilaria Capozucca

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