Stalking femminile e stalking maschile: le differenze

Uomini vittime di stalking

La parola stalking deriva dall’inglese to stalk e significa “fare la posta, braccare, pedinare”; si riferisce a comportamenti atti a osservare e conoscere il comportamento della preda al fine di poterla catturare.[1] Tuttavia, esistono delle differenze nel modo in cui uomini e donne considerano tale fenomeno. Infatti, mentre gli uomini considerano stalking quei comportamenti di minaccia, che aumentano nel tempo volti a nuocere a una persona, le donne riconducono allo stalking tutti quei comportamenti il cui intento è provocare paura, danno fisico o psicologico.[2] Lo stalking emerge in svariati contesti e per le più svariate motivazioni. Tuttavia, sono in particolar modo due le motivazioni che inducono ad atti di stalking: da una parte vi è la volontà di creare o ristabilire una relazione con un’altra persona, dall’altra la volontà di vendicarsi per un’ingiustizia subita.

A questo punto si vuole analizzare il fenomeno dello stalking attuato dal genere femminile ai danni di quello maschile, attraverso tre studi effettuati al riguardo.

Il primo studio è stato condotto da Purcell, Pathé e Mullen dal 1993 al 2000. In base a questo studio, le stalkers appaiono – in termini demografici e occupazionali – simili agli uomini: è risultato che la maggior parte delle donne prese in considerazione avevano un lavoro retribuito, mentre il 32% era disoccupato. Ad essere equivalenti tra i gruppi erano anche l’invadenza e la durata dei comportamenti di stalking, così come i tassi di minacce e violenze. La differenza sta nella scelta della vittima: le donne mirano per il 95% dei casi ad individui loro precedentemente noti. Lo stalking degli uomini è solitamente orientato verso vittime del sesso opposto, mentre le donne hanno la stessa probabilità di molestare sia uomini che donne. Lo studio ha anche evidenziato che le donne non hanno meno probabilità di minacciare le loro vittime oppure attaccarle, rispetto agli uomini, ma questi ultimi hanno più probabilità di passare dalle minacce esplicite alle aggressioni fisiche più velocemente.

Il secondo studio, effettuato da Meloy e Boyd (2003), ha fatto emergere il profilo preciso di una donna stalker: single, eterosessuale, istruita, intorno ai 30 anni di età, con un disturbo di personalità borderline. Spesso tali donne minacciano le loro vittime per più di un anno e spesso tali minacce si trasformano in atti di violenza. Le vittime sono soprattutto uomini.

Il terzo studio, condotto da Moley, Mohandie e Green (2011) convalida essenzialmente i risultati dei due studi precedenti, anche se secondo i ricercatori dello studio le stalker di sesso femminile sembrano in aumento nell’ultimo decennio. Inoltre, il profilo della stalker emerso da questo studio è quello di una donna single, separata o divorziata, eterosessuale, che presenta una diagnosi psichiatrica, il più delle volte un disturbo dell’umore.[3]

 


[1]Salerno Alessandra, Giuliano Sebastiana (a cura di), La violenza indicibile, L’aggressività femminile nelle relazioni interpersonali, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 96.

[2]Dennison e Thomson (2002) in Salerno Alessandra, Giuliano Sebastiana (a cura di), La violenza indicibile, L’aggressività femminile nelle relazioni interpersonali, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 95.

[3]Salerno Alessandra, Giuliano Sebastiana (a cura di), La violenza indicibile, L’aggressività femminile nelle relazioni interpersonali, Milano, Franco Angeli, 2012, p.p. 98-100.

di Giorgia Bonelli

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