Quali sono i metodi della formazione?

Il metodo è l’aspetto più immediatamente riconoscibile, la parte visibile della formazione, in quanto definisce l’insieme di attività, strumenti e regole di lavoro che mettono in relazione il formatore, i partecipanti e le competenze da apprendere: è infatti attraverso l’applicazione del metodo che si produce quell’apprendimento che la formazione in organizzazione intende sostenere e promuovere. La scelta del metodo, che viene effettuata nel corso della microprogettazione cui contribuiscono congiuntamente il formatore-gestore e il formatore-docente, tiene conto di differenti aspetti. Anzitutto, da un lato, del tipo di obiettivi che si intende raggiungere e delle caratteristiche dei destinatari cui ci si rivolge: ciascun metodo favorisce in tal senso una specifica modalità di apprendimento che può risultare più o meno adeguata rispetto agli obiettivi e ai soggetti coinvolti. Dall’altro, delle risorse e dei vincoli configurati dal metodo stesso, per esempio di tipo spaziale (relativi ai luoghi della formazione), temporale (relativi ai tempi), di dimensione minima-massima del gruppo, di strumenti tecnici: tutti aspetti che devono essere valutati per comprendere se sono coerenti con le caratteristiche del contesto in cui si realizzerà la formazione. Guardando alla letteratura, si trovano molteplici proposte di metodo e di criteri per classificarli (Quaglino, 2005). Ci limiteremo qui ad una breve descrizione di alcuni metodi scelti tra quelli più frequentemente citati, a partire dal più classico, la lezione. Utile per trasferire conoscenze anche ad un gruppo molto numeroso, la lezione richiede che il docente e i partecipanti si incontrino in un’aula attrezzata in modo che il primo possa esporre dei contenuti (per esempio: la normativa sulla sicurezza in azienda) ai secondi avvalendosi eventualmente di supporti quali slide, fotografie, filmati ecc. La lezione si realizza in tempi limitati, istituendo un’elevata dipendenza del discente nei confronti del docente, ma può essere resa più attiva prevedendo spazi di discussione e confronto (Castagna, 1998; Piccardo, 1991). Un maggiore coinvolgimento dei partecipanti si può ottenere mediante l’utilizzo di un caso, ovvero del resoconto degli eventi che hanno condotto a una situazione-problema che richiede ai partecipanti di analizzare i fatti e i dati disponibili e di formulare una proposta di soluzione a partire da interrogativi quali come è successo? e che cosa fare?. Quando poi il caso utilizzato è costituito dall’esperienza reale di uno dei partecipanti che viene ricostruita per farla diventare oggetto di analisi e discussione con il formatore e il gruppo, si può parlare di metodo dell’autocaso (Piccardo, 1998). Le esercitazioni rinviano invece al processo di apprendimento dall’esperienza proposto da Kolb (1984) e descritto nel paragrafo dedicato all’apprendimento in età adulta. Sotto questa etichetta ricadono differenti modalità di azione, tra cui i game, veri e propri giochi che presentano attività prive di ogni riferimento professionale e organizzativo (per esempio enigmi, puzzle ecc.), le simulazioni, che invece rimandano ai contesti di lavoro, anche se non necessariamente a quello dei discenti, e i role playing, esercizi di rappresentazione o drammatizzazione nel corso dei quali si prova “a mettersi nei panni di” a partire da profili di ruolo predefiniti. Possiamo ritrovare un modello di apprendimento analogo a quello appena citato anche nei metodi outdoor(Rotondi, 1999), che chiedono ai soggetti di impegnarsi in azioni concrete che avvengono fuori dall’aula e hanno un valore metaforico rispetto ai comportamenti professionali da apprendere. A seconda delle caratteristiche di tali azioni si può parlare di small technique (che non necessitano di particolari attrezzature: per esempio si fa un esercizio lanciandosi delle palline da tennis), di campi preimpostati (che invece le richiedono: per esempio si deve risalire lungo una pertica per arrivare a una piattaforma sospesa) o di esperienze in ambiente naturale (per esempio l’attraversamento di un laghetto utilizzando una zattera). La concretezza dell’azione è presente anche nel metodo dell’action learning, che però assume come contenuto un compito reale affidato al gruppo: in questo senso, le persone imparano lavorando, apprendendo le une dalle altre oltre che dal formatore, il quale agisce soprattutto come un facilitatore dell’analisi della situazione e della ricerca di soluzioni che le persone attivano nel corso dei loro incontri (McGill, Beaty, 1992). Chiudiamo questa breve rassegna di metodi di formazione segnalando la forte crescita di interesse che si registra verso l’utilizzo dei film: non si tratta in questo caso di un vero e proprio metodo, bensì di uno specifico materiale che può essere adottato all’interno di differenti metodi precedentemente descritti nella forma di esempio, caso, esercizio ecc. (Cortese, Ghislieri, 2006)

 

Di Giovanni Montesano

 

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