Come liberarsi finalmente dalla dipendenza

Le persone diventano dipendenti da esperienze che possono modificare l’umore e le sensazioni, pertanto, la dipendenza, prima ancora di essere una condizione neurobiologica o un problema sociale, è un fenomeno individuale che può presentarsi nel corso dello sviluppo psicologico come risposta  a specifici fattori evolutivi.

Questi fattori fanno della dipendenza una precisa costellazione di relazioni oggettuali, angosce e difese la cui dinamica si manifesta in un’attitudine obbligatoria che ha finalità e motivazioni non sempre chiare, né alla consapevolezza del paziente, né alla valutazione del clinico. Le problematiche della separazione e del distacco rappresentano un punto cruciale nell’esperienza della dipendenza e sono causa di un alternarsi di condizioni di profonda preoccupazione e di tendenze e comportamenti regressivi. In questi casi le rappresentazioni e i vissuti circa la perdita e la solitudine costituiscono la minaccia principale per il funzionamento dell’Io; di conseguenza i fantasmi persecutori di svuotamento e di frammentazione di sé obbligano a un’intensificazione delle difese per affrontare l’angoscia di essere se stessi.

L’imminente pericolo di un cedimento psichico è il dramma che si replica costantemente nel teatro interiore di questi soggetti e si riferisce a una particolare intollerabile tensione da cui deriva la complessità dei meccanismi di difesa attivati per controllare il terrore della vulnerabilità.

La dipendenza non consiste quindi in una patologia che interviene casualmente nella vita delle persone, occorre una vulnerabilità di base che consenta una modalità del comportamento alla quale si può ricorrere sotto stress, quando il sé risulta annientato da sensazioni ed emozioni non simbolizzabili.

In particolare frustrazione, delusione, rabbia, gelosia, invidia, rivalità, competizione, costituiscono le emozioni gravose che non possono essere mentalizzate nell’esperienza interiore dei soggetti dipendenti. La capacità di potersi rappresentare l’idea di un affetto e di poterlo pensare è fondamentale per raggiungere il controllo di quelle emozioni che possono sopraffare e distruggere l’identità. La regolazione affettiva è un processo attivo che coinvolge la dimensione neurofisiologica, comportamentale e cognitivo-esperenziale, la  cui interazione reciproca deriva dall’influenza delle relazioni della prima infanzia.

Al posto delle rappresentazioni dei propri stati interiori  e dell’esistenza dei pensieri e di sentimenti in se stessi e negli altri , i soggetti dipendenti sperimentano un senso disturbante di alterità e di vuoto esistenziale che deriva dall’aver vissuto in modo particolarmente aggressivo la scoperta della separazione e del distacco nelle prime fasi dello sviluppo, con la conseguenza di essere afflitti da un pervasivo sentimento d’impotenza mai elaborato nelle fasi successive (Carretti, La Barbera, 2005).

Quando una persona è stanca, malata o sotto pressione e non riesce a elaborare, simbolizzare e integrare nel sé le dolorose esperienze psicosensoriali di questo stato, tende a dissociarsi, a uscire della realtà ordinaria per mezzo di sensazioni piacevoli alternative; una difesa che può  essere adattiva se l’allontanamento dalla realtà che ne deriva risulta parziale e temporaneo ma diventa un problema quando l’allontanamento diventa una modalità ricorsiva con cui gestire i fatti della vita e le tensioni nelle relazioni.

La qualità delle relazioni primarie e delle modalità di attaccamento costituisce attualmente un aspetto significativo nella comprensione di quei disturbi della regolazione affettiva connessi all’uso della dissociazione, la quale impedisce la formazione  di espressioni verbali dell’esperienza e comporta la difficoltà di  accedere al proprio  mondo interno, ai sogni e alle fantasie e di poterli regolare, utilizzare e scambiare nelle relazioni interpersonali. Per non sentire e non pensare il dipendente  patologico ricorre a una specie di tecnica autoipnotica che lo getta in quell’altro mondo, presimbolico, in cui il legame e la separazione dall’oggetto non si sono ancora costituiti.

Gli oggetti della dipendenza hanno delle somiglianze , sotto l’aspetto dinamico, con l’oggetto transizionale: entrambi sono non umani, hanno qualità tattili, sono investiti libidicamente, devono essere costantemente disponibili e prevedibili, in quanto il loro utilizzo deriva dalla necessità di avere un elemento di appoggio per mantenere un equilibrio psicofisico nelle condizioni di maggiore tensione. Tuttavia, mentre l’oggetto transizionale perde l’importanza man mano che l’angoscia di separazione viene integrata nel sé, gli oggetti della dipendenza rimangono essenziali nell’economia del disturbo (Carretti, La Barbera, 2005).

Il piacere che si ricava da una qualsiasi forma di dipendenza patologica deve intendersi come la ricerca di uno stato di trance autoindotto, un rifugio mentale il cui scopo è di costruirsi una realtà parallela psicosensoriale differente da quella sperimentata  nella realtà ordinaria, di ritirarsi da ogni contatto e di dissociare le sensazioni, le emozioni, le immagini conflittuali non rappresentabili sul piano cosciente.

di Silvia Diolaiuti

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