Quando l’amore diventa una droga: neurobiologia della dipendenza affettiva

Quando parliamo di dipendenza affettiva parliamo di un disturbo che ancora oggi è di difficile connotazione anche per il mondo scientifico, in cui numerose determinanti bio-psico-sociali concorrono a modellare la personalità dell’individuo. Tali varianti si combinano insieme in continui processi dinamici tanto da organizzare una rete di complesse sequenze interattive e retroattive, che iniziano dalla nascita e continuano attraverso tutta la vita del soggetto.

E’ possibile quindi identificare le diverse variabili biologiche, psicologiche e sociologiche che concorrono a sviluppare una dipendenza affettiva, mentre resta ancora difficile individuare il diverso peso che ognuna di esse ha avuto in un determinato momento e in precise circostanze. Ciò che però è opportuno considerare è il prodotto di tali interazioni .

Un ruolo importante viene attribuito ad una molecola, la feniletilamina (PEA), costantemente prodotta dal nostro organismo  e che in elevate concentrazioni può indurre effetti simili a quelli delle anfetamine, dato che entrambe agiscono sugli stessi recettori. Ha un suo specifico ruolo nel legame di dipendenza al pari di adrenalina (ormone dello stress generato dal contatto o dalla mancanza dell’altro), dopamina ( ormone del piacere), serotonina (ormone dell’appagamento e regolatore dell’umore).

Questi tre elementi – piacere, mancanza, appagamento – sono presenti quando si instaura una relazione amorosa.

L’esistenza della PEA nel nostro organismo non solo riesce a spiegare perchè desideriamo intensamente l’amore, ma anche perché interrompere una relazione nelle sue fasi iniziali sia così doloroso, anche quando la coppia non si conosce abbastanza a fondo da raggiungere una profonda intimità.

Quando una persona viene respinta il suo livello di PEA  crolla di colpo e proprio come un tossicodipendente cade in uno stato depresso e agitato che ha tutte le caratteristiche di una crisi di astinenza.  L’azione della feniletilamina, con un meccanismo ancora non noto, agisce sul comportamento amoroso regolando la produzione di due ormoni: la dopamina, un neurotrasmettitore che genera sensazioni gratificanti , e la noradrenalina , che provoca eccitazione ed euforia. L’attività della dopamina è strettamente legata ad una rete di neuroni che genera sensazioni piacevoli in seguito a comportamenti che soddisfano stimoli come la fame, sete , desiderio sessuale.

Grazie a questo meccanismo, secondo la teoria dell’apprendimento, nel sistema nervoso rimane impresso il ricordo di un’esperienza positiva. Nel caso dell’innamoramento è l’associazione tra incontro e piacere che spinge il soggetto a ripetere lo stimolo che l’ha determinata, cioè entrare nuovamente in contatto con la persona responsabile dell’iniziale rilascio di feniletilamina (Guerreschi, 2011).

L’amore può essere suddiviso in tre fasi o sistemi, caratterizzati da meccanismi diversi a livello cerebrale. 

La prima fase sarebbe quella dell’attrazione sessuale o erotica che spinge gli individui ad accoppiarsi ed è legato essenzialmente alla produzione di ormoni come testosterone ed estrogeni. La seconda  è l’innamoramento , collegata all’aumento di dopamina. Il rilascio di PEA è una caratteristica dell’amore romantico, fase in cui siamo soliti concentrare un’enorme quantità di energia sul partner, che diventa l’unico motivo di interesse. L’istinto dell’innamoramento sarebbe radicato profondamente nel cervello con caratteristiche distinte da quelle dell’attrazione sessuale: l’esperienza dell’innamoramento attiva le sacche del cervello con alta concentrazione dei recettori della dopamina.

L’innamorato si concentra su piccoli aspetti della persona desiderata e li rivive ciclicamente nella memoria.

Questa  fase dell’amore romantico,  generalmente è destinata a svanire nell’arco di un anno, per lasciare il posto a un nuovo periodo, la fase dell’attaccamento, dove sale il livello di altri due ormoni: l’ossitocina nella donna e la vasopressina nell’uomo, gli ormoni dell’appagamento e della fissazione nella memoria di ricordi positivi. Allo stato di benessere determinato dalla dopamina si aggiunge un’agitazione generale determinata dalla noradrenalina, molecola diffusa nel sistema nervoso, in particolare nell’ipotalamo e nel sistema limbico, con un duplice ruolo: come neurotrasmettitore provoca eccitazione, euforia, entusiasmo, riduce l’appetito e promuove la contrazione delle vene degli organi sessuali, come ormone regola la produzione di adrenalina (in particolare nell’esperienza amorosa ne induce il rilascio con conseguente aumento del battito cardiaco, della respirazione e della pressione sanguigna). La componente emotiva dell’innamoramento è legata all’ossitocina, una sostanza chimica simile agli oppiacei. Prodotta dall’ipotalamo , secreto dalla valvola pituitaria, viene anche chiamato ormone dell’amore in quanto promuove il comportamento materno , stimolando l’affettività e la voglia di prendersi cura del bambino.

E’ responsabile della sensazione di euforia legata alla vicinanza della persona amata e agisce anche rafforzando l’attaccamento emotivo della coppia e potenziando i meccanismi della memoria che fissano i ricordi emotivi, consolidando l’immagine dell’altro in modo da tenere vivo il legame anche quando si è distanti. L’ossitocina partecipa anche alla risposta sessuale facilitando comportamenti che invitano all’incontro sessuale, durante il quale viene ulteriormente rilasciata, inducendo risposte orgasmiche tramite l’attivazione dei centri limbici  e vegetativi. Inoltre non appena aumenta l’intimità tra i partners i suoi livelli tendono ad innalzarsi. Come la dopamina, è considerato l’ormone responsabile della fiducia in se stessi, del benessere, dell’attaccamento e della cura. Sebbene venga prodotta sia negli uomini che nelle donne, i suoi livelli sono più alti nelle donne . Questo potrebbe spiegare perchè le donne siano più inclini a sviluppare relazioni di dipendenza. Inoltre così come esiste una base biologica per l’innamoramento, esiste anche una spiegazione per la fine di un amore.

Molti ricercatori concordano nel limitare il periodo di innamoramento a 18 mesi con un termine massimo di 4 anni.

Ciò avviene perchè il cervello si abitua, si assuefà come ad una droga, all’effetto delle “molecole dell’amore”, divenendo tollerante alla loro azione.  Questo non significa che terminata la tempesta chimica la relazione sentimentale va in scadenza; in questa fase semplicemente si trasforma nell’attaccamento e a livello del sistema nervoso si assiste alla produzione di endorfine, una classe di  molecole simili per struttura alla morfina, con azione analgesica, che hanno un effetto calmante e rilassante.

di Silvia Diolaiuti

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