La ruminazione mentale come causa della depressione

La ruminazione mentale come manifestazione tipica della depressione
Il fenomeno della ruminazione mentale è stato prevalentemente indagato analizzando la sua implicazione nel disturbo depressivo. La ruminazione infatti viene considerata come una caratteristica cognitiva fondamentale che si evidenzia nella disforia e nella depressione maggiore (Papageorgiou & Wells, 2004), configurandosi come un importante fattore di vulnerabilità all’insorgenza e al mantenimento della depressione stessa. Nella depressione la ruminazione conduce a focalizzare l’attenzione sui fatti ed eventi che rendono la persona depressa, sulla sintomatologia depressiva (Moberly & Watkins, 2008) e su tematiche che hanno valenza persistente e ripetitiva (Cassano, Musetti & Tundo, 1996).

L’individuo affetto da depressione tende infatti a ruminare sui medesimi episodi negativi e spiacevoli che si sono verificati in passato e sulla sua presunta colpa e responsabilità riguardo all’atto negativo stesso (Zoli & Cassano, 2003).

Il depresso, a causa dei bias cognitivi negativi caratteristici della depressione maggiore, sviluppa schemi e atteggiamenti disfunzionali che lo portano a interpretare negativamente informazioni neutre o positive, a valutare inadeguatamente gli eventi di vita e a incolparsi per i propri problemi, considerandosi incapace o privo di risorse necessarie per affrontare determinate situazioni (Besharat, Nia & Farahani, 2013). Infatti la ruminazione depressiva conduce l’individuo a crearsi un’immagine negativa e distorta circa gli eventi futuri e riduce la probabilità di considerare positivamente un eventuale avvenimento, risultando così strettamente interconnessa e responsabile dell’atteggiamento pessimistico (Lavender & Watkins, 2004). Tale processo pertanto si configura come un fenomeno astratto, ripetitivo, analitico, dispendioso in termini di risorse cognitive e incentrato su sentimenti negativi e permanenti nel tempo (Martino, Caselli, Ruggiero & Sassaroli, 2013). La ruminazione è stata associata a numerosi esiti deleteri correlati alla depressione, fra i quali riscontriamo i sintomi depressivi prolungati e severi, la scarsa attitudine alla risoluzione di problemi, la compromissione della motivazione e l’inibizione del comportamento strumentale, la compromissione della concentrazione, della memoria e della cognizione ed infine l’incremento di stress e problemi.

Il processo ruminativo favorisce quindi la comprensione sia dei meccanismi depressivi che degli aspetti che caratterizzano l’insorgenza, il mantenimento e l’eventuale ricaduta del disturbo depressivo (Papageorgiou & Siegle, 2003). L’umore negativo è una delle conseguenze principali della ruminazione, la quale provoca un aumento della severità e della lunghezza degli episodi depressivi. Le persone depresse tendono a concentrarsi sui propri sentimenti negativi, sulle problematiche alla base del proprio disagio, sulle cause e conseguenze dei propri stati emotivi, senza però elaborare alcuna strategia in grado effettivamente di risolvere lo stato problematico. Infatti i depressi ricorrono alla ruminazione considerandola un’alternativa funzionale attraverso la quale alleviare i sintomi e la propria sofferenza.

Tuttavia il ruminare sui propri pensieri negativi costituisce un meccanismo disfunzionale e disadattivo che non conduce al perseguimento dei propri obiettivi né consente di esercitare un adeguato controllo mentale, l’individuo non progetta né definisce alcun piano concreto per affrontare gli eventi negativi ma si rifugia in una catena di pensieri persistenti e ripetitivi che non fanno altro che incrementare il carico emotivo. Pertanto la ruminazione ostacola la capacità di problem solving e, in particolare, la capacità di definire o valutare una situazione problematica, di individuare soluzioni alternative ed efficaci ed infine di applicare tali soluzioni al problema stesso (Papageorgiou & Wells, 2004).

La ruminazione interferisce anche con la concentrazione riducendo le risorse attentive della persona depressa e compromette le prestazioni cognitive impedendo all’individuo di riflettere e di far delle scelte ponderate in situazioni stressanti (Wells, 2009). Un ulteriore dominio compromesso è l’ambito motivazionale in cui il depresso percepisce se stesso come incompetente e privo di risorse necessarie per ricorrere a comportamenti costruttivi. L’individuo può ritenere di non possedere le abilità necessarie per raggiungere i propri obiettivi, per soddisfare le proprie aspettative o semplicemente per trarre piacere dalle normali attività quotidiane. Anche l’ambito sociale e relazionale è danneggiato, in quanto l’individuo ricorre all’utilizzo di modalità disfunzionali e controproducenti che induce gli altri a percepirlo negativamente. Infatti il depresso non riesce a coinvolgersi efficacemente nelle comunicazioni interpersonali a causa della sua incessante tendenza a ruminare che interferisce negli scambi verbali. Ciò può indurre gli altri a rifiutarlo, ad allontanarlo o indurre lo stesso individuo a evitare le situazioni e le relazioni sociali. Infine il processo ruminativo si ripercuote anche sulla salute fisica e psichica e sul grado di adattamento emotivo, incrementando il livello di stress e di difficoltà.

Ciascuno di tali esiti negativi non è isolato dagli altri, ma al contrario questi fattori interagiscono fra di loro influenzandosi reciprocamente e creando un circolo vizioso fra il processo ruminativo, l’umore negativo e le molteplici conseguenze.

Infatti la tendenza a ruminare incessantemente sui medesimi stati affettivi può condurre ad un umore depresso la cui combinazione (ruminazione + umore negativo) genera una serie di conseguenze problematiche, ossia sintomi depressivi, scarsa attitudine al problem solving ecc., le quali a loro volta intensificano le emozioni negative e incrementano la ruminazione stessa (Papageorgiou & Wells, 2004).

Il pensiero negativo persistente che caratterizza la ruminazione depressiva è supportata dalle credenze metacognitive, ossia valutazioni relative al proprio pensiero e alla propria abilità di monitorare e regolare la cognizione. A tale proposito è necessario citare il Self- Regulatory Executive Function (S-REF) un modello metacognitvo di vulnerabilità emozionale elaborato da Wells e Mathews (1994) che definisce il processamento perseverativo della ruminazione depressiva come una strategia di coping o un mezzo di valutazione che implica conseguenze negative a livello della capacità di autoregolazione emozionale. Tale modello definisce il pensiero ruminativo in termini di attivazione di credenze metacognitive positive e negative che si configurano come importanti fattori di vulnerabilità a stili di pensiero maladattivi (Papageorgiou & Wells, 2001). Per quanto concerne le credenze positive, queste riflettono la convinzione secondo la quale la ruminazione rappresenterebbe un mezzo per individuare le cause della depressione, per regolare l’umore e pianificare interventi finalizzati a rimuovere la sintomatologia depressiva (Fisher & Wells, 2009). Molti individui ruminano sugli stati emotivi negativi perché ritengono che tale processo aiuti a sviluppare l’introspezione e a risolvere problemi che conducono alla depressione. Pertanto si immergono nei propri pensieri al fine di ottenere una migliore comprensione del proprio stato problematico, sperando di individuare una soluzione appropriata. In realtà tali convinzioni circa l’efficacia della ruminazione risultano erronee in quanto i pensieri ruminativi non modificano l’esperienza affettiva negativa ma mantengono e incrementano la depressione impedendo la ristrutturazione adattiva delle conoscenze su di sé (Bear & Sauer, 2011).

Oltre che dalle credenze positive la ruminazione è sostenuta e favorita dalla presenza di credenze metacognitive negative che riguardano il significato, la pericolosità, l’incontrollabilità e le conseguenze dannose che la ruminazione provoca a livello sociale e interpersonale interferendo con il normale funzionamento adattivo. Le convinzioni negative impediscono l’integrazione del sé e stimolano il bisogno di ricorrere nuovamente alla ruminazione per fronteggiare la sofferenza emotiva. Tali credenze sono responsabili della genesi e del mantenimento del fenomeno ruminativo, del modo in cui le persone reagiscono e organizzano i propri stati emotivi e i propri pensieri e della manifestazione sintomatologica depressiva (Papageorgiou & Wells, 2001). La natura e le dinamiche che caratterizzano la ruminazione depressiva possono essere meglio comprese analizzando i meccanismi cerebrali implicati nel processo ruminativo. Aree particolarmente coinvolte in tale processo sono l’amigdala e l’ippocampo, le quali svolgono diverse funzioni fondamentali fra cui l’elaborazione di informazioni emotive. Poiché la ruminazione è strettamente interconnessa con le emozioni, tali strutture corticali mostrano un’intensa attività cerebrale consentendo la rievocazione di importanti stati affettivi, la processazione e il riconoscimento di caratteristiche emotive dell’informazione. In secondo luogo, come processo alla base della ruminazione depressiva, è stata evidenziata una ridotta inibizione corticale delle medesime strutture cerebrali, le quali non vengono inibite correttamente. In ultima analisi, è necessario distinguere la ruminazione depressiva dall’espressione adattiva di stati emotivi negativi. La ruminazione rappresenta una forma maladattiva di pensiero a valenza negativa, ripetitiva e focalizzata su se stesso che mira ad individuare una strategia di risoluzione dei problemi anche se, in realtà, intensifica la tristezza, l’umore depresso e incrementa la suscettibilità agli episodi depressivi. Diversamente la libera espressione rappresenta una modalità adattiva che consente di esternare i propri pensieri ed emozioni, verbalmente o per iscritto, promuovendo il benessere fisico e psicologico. Tale meccanismo favorisce il raggiungimento degli obiettivi positivi attraverso la progressiva costruzione di piani funzionali, mediante la capacità di prestare attenzione ai dettagli trascurando gli aspetti irrilevanti, ottenendo così una visione più integra e coesa del sé (Papageorgiou & Wells, 2004).

di Jasmine Dionigi

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