Come superare la ruminazione mentale: terapia e rimedi

La ruminazione rabbiosa, essendo una strategia cognitiva disfunzionale che compromette il benessere fisico e psicologico degli individui, necessita di trattamenti finalizzati a ristrutturare gli stili e i contenuti di pensiero. Di fronte a pazienti che presentano alti livelli di ruminazione è opportuno innanzitutto ricorrere a interventi psicoeducativi. Tali interventi hanno come obiettivo quello di rendere i pazienti stessi consapevoli della natura e delle conseguenze provocate dal processo ruminativo a livello sia emotivo che comportamentale e di proporre tecniche finalizzate a ridurre l’intensità della ruminazione.

Per esempio, tecniche che prevedono di impegnarsi in attività come il cruciverba o il sudoku, possono distrarre l’individuo dalla sua tendenza a ruminare e aiutarlo a fronteggiare l’esperienza emotiva negativa. Tali attività richiedono una certa dose di concentrazione e assorbono gran parte dell’attenzione dell’individuo impedendogli di focalizzarsi esclusivamente sugli stati affettivi (Selby, Anestis & Joiner, 2008). In secondo luogo, è importante che il paziente sia consapevole del fatto che il proprio malfunzionamento dipende da lui stesso e che, quindi, può essere modificato.

Attraverso un processo di ristrutturazione, è possibile favorire la sperimentazione di stili di pensiero più concreti, orientare l’attenzione del paziente verso stimoli neutri presenti nel contesto circostante e rendere più flessibile il controllo che egli esercita sul proprio modo di pensare (Caselli, Giovini, Giuri & Rebecchi, 2011). Pertanto è necessario ricorrere a tecniche che rendano il paziente consapevole dei propri pensieri ruminativi, che favoriscano un atteggiamento critico nei confronti delle convinzioni circa l’efficacia e l’utilità delle proprie strategie cognitive e che promuovano l’utilizzo di meccanismi di gestione delle situazioni problematiche più adattive (Martino, Caselli, Ruggiero & Sassaroli, 2013). Trattamenti particolarmente efficaci nel ridurre la tendenza a ruminare sono la terapia cognitiva-comportamentale, l’attivazione comportamentale, la terapia metacognitiva e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness, ossia un training di esercizi finalizzati a dirigere l’attenzione del paziente verso stimoli e sensazioni fisiche come la respirazione, avendo un atteggiamento non giudicante di fronte alla propria esperienza soggettiva.

Tali terapie hanno dimostrato una notevole efficacia nel trattamento dei disturbi d’ansia e di depressione, mentre non sono ancora state studiate in rapporto al disturbo borderline di personalità (Baer & Sauer, 2011). Rispetto a quest’ultima patologia, i principali approcci al trattamento sono la terapia dialettico-comportamentale (DBT), il trattamento basato sulla mentalizzazione (MBT) e la psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP). Tali trattamenti potrebbero, a loro volta, agire indirettamente sulla ruminazione mediante differenti tecniche terapeutiche.

Ad esempio, nell’ambito della terapia dialettico-comportamentale, vengono proposti esercizi di mindfulness e di tolleranza al distress che sono risultati particolarmente efficaci per ridurre la ruminazione; nel trattamento basato sulla mentalizzazione le tecniche impiegate aiutano il paziente a comprendere meglio il proprio stato mentale e affettivo e a sostituire i propri processi di pensiero disfunzionali con strategie di risoluzione dei problemi più chiare, costruttive e meno focalizzate sulle emozioni; nella psicoterapia focalizzata sul transfert le tecniche adottate vanno ad incrementare la funzione riflessiva del paziente il quale, a sua volta, tenderà a riflettere sui propri stati mentali piuttosto che ruminare su di essi.

Per verificare se tali terapie siano in grado di ridurre l’intensità del processo ruminativo è possibile confrontare i livelli di ruminazione precedenti e successivi alle terapie stesse, le quali risultano efficaci se gli effetti, anche a distanza di anni, si manifestano sotto forma di ridotta ruminazione (Selby & Joiner, 2009).

Nel caso in cui il paziente sia estremamente impulsivo, è necessario aiutarlo a riconoscere i segnali precoci della cascata emotiva in cui incorre e suggerirgli comportamenti alternativi a quelli normalmente messi in atto al fine di ridurre l’intensità dei propri processi ruminativi. Tuttavia, la ricerca scientifica non ha ancora stabilito con certezza se tali condotte comportamentali, come fare una passeggiata o parlare con un amico, siano in grado di distrarre a sufficienza per ridurre la cascata emotiva allo stesso modo dei comportamenti disregolati.

Sempre per quanto concerne il riconoscimento della cascata emotiva, è possibile, mediante l’impiego di dispositivi digitali, identificarne l’eventuale presenza monitorando i livelli di ruminazione ed emozione negativa. Nel caso in cui tali livelli siano particolarmente elevati, vengono suggeriti ulteriori comportamenti di distrazione che vanno a completare il quadro globale del trattamento terapeutico (Selby & Joiner, 2013). In generale, per far fronte e ridurre l’intensità di ruminazione, è possibile ricorrere a differenti tipologie di approcci, fra cui l’interruzione e la soppressione del pensiero che conducono i pazienti a interrompere in maniera autonoma i propri processi di pensiero pervasivi, la desensibilizzazione sistematica finalizzata a ridurre la risposta patologica, la meditazione consapevole che aiuta i pazienti a riconoscere i propri pensieri negativi e a reagire ad essi in maniera funzionale ed adattiva, il training dell’attenzione che promuove lo sviluppo della capacità di focalizzare l’attenzione su determinati dettagli, di spostare l’attenzione stessa da uno stimolo ad un altro o di dirigerla verso più cose contemporaneamente (Papageorgiou & Wells, 2004) ed, infine, l’approccio metacognitivo finalizzato a modificare le credenze positive e negative che mantengono e sostengono i pensieri negativi (Papageorgiou & Wells, 2001). In definitiva, è opportuno approfondire maggiormente il fenomeno della ruminazione mentale al fine di migliorare e perfezionare gli interventi e di progettare trattamenti e piani terapeutici specifici (Caselli et al. 2011).

di Jasmine Dionigi

 

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