Gelosia maschile e gelosia femminile: caratteristiche e differenze

 

Da un punto di vista sociologico e antropologico la gelosia è stata considerata un’emozione innata nell’uomo, «come risposta ai suoi bisogni primari legati alla stessa sopravvivenza» (Giusti e Frandina, 2007 p. 26).
Secondo Sokoloff, la gelosia, che è molto diffusa nei rapporti interpersonali, è un istinto che si manifesta con una certa intensità, forza e automaticità, la cui origine è da ricercarsi nel passato dell’umanità, in epoche primitive e selvagge (Sokoloff, 1948).

Infatti, secondo la prospettiva evoluzionista, l’uomo preistorico provava gelosia perché temeva che la propria partner potesse fare figli con un altro, correndo così il rischio di dover nutrire e crescere figli illegittimi; d’altro canto anche la donna era gelosa per paura di rimanere senza cibo, una volta che il maschio si fosse invaghito di un’altra e dei figli avuti con lei.

Questa posizione è avallata anche da uno studio sociologico (Buss, 1994) condotto su soggetti di entrambi i sessi e mirato alla valutazione delle loro reazioni di fronte a scene di tradimento sessuale e scene di tradimento affettivo: è stato visto che, mentre gli uomini reagivano di più a scene di tradimento erotiche, le donne risultavano più sensibili al coinvolgimento affettivo del partner.

Questo dato è stato riscontrato in diverse culture (Buunk et al., 1996) e può essere spiegato non col fatto che il tradimento di una donna implichi necessariamente un coinvolgimento affettivo (Wiederman e Kendell, 1999), ma semplicemente considerando che «l’infedeltà sessuale femminile implica un forte rischio riproduttivo per l’uomo» (Giusti e Frandina, 2007 p. 94).

Recentemente si è giunti alla consapevolezza di una maggiore uniformità delle reazioni, infatti, secondo una ricerca di Harris e Cristenfeld (2002) sia gli uomini che le donne si preoccupano di entrambi i tradimenti, del cuore e del sesso; d’altra parte lo sviluppo di metodi anticoncezionali ha rappresentato una svolta rispetto alla prospettiva evoluzionistica, mettendo a tacere il timore che l’infedeltà possa compromettere la paternità, dunque, oggi andrebbero ricercate altre motivazioni per spiegare questo fenomeno (Pasini, 2003).

È ormai nota l’idea che la gelosia abbia connotato da sempre i rapporti interpersonali e che nelle sue varie manifestazioni sia strettamente legata al contesto socio-culturale.

Ad esempio nella cultura greca l’attenzione letteraria era prevalentemente rivolta alla gelosia femminile, si pensi a titolo esemplificativo alla tragedia “Medea”; di fatto le donne erano considerate inferiori dagli uomini greci, i quali riservavano la loro gelosia agli “eromenoi”, gli adolescenti maschi di buona famiglia (Benvenuto, 2011).

Successivamente si assiste ad un cambiamento di prospettiva nel mondo latino e ancor di più in quello cristiano: infatti, da un lato il Cristianesimo ha condannato la pederastia, considerandola un peccato di sodomia, dall’altro con l’affermarsi dell’“amor cortese” si è elevata la posizione della donna, che è diventata oggetto di amore nobile, nonché di gelosia (Benvenuto, 2011).

Dall’epoca medievale in poi l’interesse letterario si è spostato sulla gelosia maschile, infatti, nel 90% dei casi l’adulterio riguardava le donne, che tra l’altro erano anche più duramente punite per questo. Quindi, fino al Settecento, la letteratura, il teatro e le opere popolari hanno messo in scena una donna libidinosa, che cornificava il consorte, d’altra parte, però, nell’esperienza comune, essendo considerata inferiore, essa
era sorvegliata da marito, padre e fratelli, che avevano il compito di salvaguardarne l’onore (Benvenuto, 2011).

Il sentimento della gelosia attraversa il tempo ma anche lo spazio per assumere differenti manifestazioni:

Secondo una ricerca di Bryson (1987) la gelosia si esprime nei francesi con l’irascibilità, negli olandesi con la tristezza, nei tedeschi con l’arrendevolezza, negli italiani con la chiusura, e negli americani con la preoccupazione circa la propria immagine fra gli amici.

Un’altra ricerca di David Geary della University of Missouri-Columbia (1995) su 1024 studenti cinesi e americani, ha riscontrato una prevalenza di reazioni negative di fronte all’infedeltà sessuale, che risultavano però più spiccate fra gli studenti americani piuttosto che fra i cinesi, in funzione della sessualità tipica della loro cultura.

D’altra parte ci sono parecchie civiltà, soprattutto africane, in cui predomina la cosiddetta gelosia preventiva, società in cui si fanno accertamenti sulla verginità o si pratica la mutilazione dei genitali femminili (Daly, Whilson e Whegorst, 1992).

Sembrano ormai superate sia la tesi di Bhugra (1993) secondo la quale la gelosia derivi dalla società capitalistica, sia quella dell’antropologa Margareth Mead (1931, 1988) secondo la quale i popoli in cui vige la poligamia non sono gelosi; in realtà anche in società di questo tipo, come quelle dell’Africa sud-sahariana, si possono intravvedere delle manifestazioni di gelosia nelle co-mogli.

È stato David Buss (2000) a mettere in discussione questa tesi sostenendo che nella realtà non esistono culture totalmente libere dalla gelosia, neppure quelle dei paradisi tropicali.

Sembra che la gelosia possa essere associata ad una concezione patriarcale della famiglia, secondo la quale la donna veniva considerata una “proprietà” dell’uomo, il quale grazie a questo sentimento poteva preservare l’onore proprio e la stabilità familiare: si pensi ad esempio alla cultura mediterranea fino agli anni Settanta, in cui gli uomini siciliani, i sardi ma anche i corsi, i ciprioti e i kabili d’Algeria detenevano il potere ed istituivano una struttura sociale basata sulla vergogna e sul disonore (Pasini, 2003).

Infine, alcuni studi sembrano dimostrare che la gelosia venga in un qualche modo esasperata da tutte le culture monoteistiche che venerano un dio geloso, come nella tradizione cristiana in quanto il Dio Jahvè è un Dio geloso che esige il suo culto esclusivo (Giusti e Frandina, 2007).

di Valentina Donnari

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