Dipendenza affettiva maschile e femminile: caratteristiche

La dimensione relazionale si configura come occasione di rispecchiamento, di differenziazione, di scambio, ma anche come luogo dell’affermazione nella dipendenza. Da un lato, gli individui ricevono dal sistema familiare una quota di identità , espressa in termini di riconoscimento, appartenenza, e sicurezza, dall’altro, il legame che lega i membri di una famiglia può costituire un elemento di perdita di identità, autonomia e soggettività ( Di Vita, Maiano, 2005).

La questione del genere si dispiega all’interno delle relazioni diadiche, triadiche, delle dinamiche familiari , in una duplice accezione, rappresentando due spinte opposte, l’una tesa alla cristallizzazione della dipendenza e della stereotipia, l’altra che induce alla trasformazione e all’evoluzione. Inoltre tende a riproporsi entro altri differenti contesti relazionali, quali quello con il partner, con il terapeuta, in cui il genere si configura come elemento di risorsa o di rischio, di sostegno alla soggettività o di rinuncia a parti del sé.

Secondo Kaplan (1991), i bambini, maschi e femmine, vengono indotti a ruoli stereotipati di genere, in cui rinunciano ad una parte della loro identità. Riferendosi allo sviluppo dell’anoressia, riconosce nella relazione madre-figlia, ed in particolare  in una mancata individuazione  femminile, l’origine della dipendenza, nonché di alcune tipologie di perversione. Accostandosi all’anoressia attraverso il genere, si svela come l’anoressia, con la cancellazione delle caratterizzazioni sessuali del corpo, implichi l’accesso ad una realtà asessuata.

I bambini sottostanno e cedono a un ricatto di ordine affettivo riguardante la propria identità; sono consapevoli che la possibilità di essere accettati e gratificati dagli adulti risiede nella capacità di assomigliare al bambino e alla bambina ideale dell’immaginario dei genitori; i bambini sentono di doversi mantenere all’altezza dei loro ideali di genere ( Kaplan, 1991).

Per Hillman (1996), invece, lo sguardo privilegiato di una bambina, è quello della madre: la sua parola vale più delle altre perché richiama una somiglianza e una medesimezza che ha valore di per sé. Il legame che connette le donne e che connette tra loro madre e figlia, veicola l’amore per sé e l’amore per l’altra: tornare da adulte alla propria madre è possibile se si è in grado di tollerare la separazione e di risignificarla come differenziazione.

Quando il corpo non è più la dimora dell’anima, alle donne non rimane che dimorare scomodamente fuori di sé e il luogo del sé diventa l’appartenenza: non si è più per se stesse e non resta  che mostrarsi ( Hillman, 1996).

Altri autori ( Friday, 1977; Rich, 1976) evidenziano come la madre rappresenti essenzialmente la continuità, la subordinazione e la conformità alle norme; l’identificazione con la madre e la relazione con lei sostengono l’abdicazione dei propri desideri e la sostituzione dei propri intenti con la cura degli altri: dalla madre si apprende la capacità di accudimento che sostituisce la responsabilità verso se stesse. La possibilità della figlia di occuparsi di se stessa coinciderebbe con la rottura e la squalifica del legame con la madre.

Nella storia delle donne sono le madri a significare il desiderio ( Kaplan , 1991); relazioni con madri distanti, insensibili, chiuse in se stesse, possono portare alla perdita del nesso tra le proprie azioni e le parole del desiderio, all’incapacità di identificare e realizzare il proprio desiderio.

Dall’analisi di alcune pazienti che condividevano la stessa propensione a instaurare rapporti dolorosi con uomini narcisistici e sadici, Shafer (1992)  , ha evidenziato come tali donne sembravano perdere le proprie abilità cognitive, organizzative e relazionali, la capacità di risorse e l’equilibrio che tipicamente manifestavano , diventando ciecamente ripetitive ed emotivamente labili, con la tendenza ad autocolpevolizzarsi . In questi casi , la dipendenza trasformava queste donne, orientandone i comportamenti per conformarsi ai desideri dell’ altro; il basso livello di funzionamento legato a copioni relazionali ripetitivi, sarebbe sostenuto da una tendenza a esprimere depressione anziché rabbia.

Ci sarebbe quindi una maggiore incidenza della dipendenza affettiva nella popolazione femminile ( Miller, 1994), dovuta anche al differente funzionamento psichico tra i due sessi, in particolare alla presenza negli uomini a reagire diversamente ai traumi subiti rispetto alle donne. Sarebbe più comune , tra gli uomini, la tendenza ad allontanare dalla mente il dolore delle violenze, carenze o prevaricazioni subite, attraverso l’identificazione con l’attore di queste mancanze o aggressioni. Un funzionamento che comporta l’assunzione del ruolo precedentemente subito o la manifestazione del bisogno di una dipendenza, che non è stata sperimentata positivamente nelle relazioni affettive, attraverso l’abuso di sostanze. Nelle donne, invece, ci sarebbe la tendenza a rivivere ciò che è stato subito , riproducendo le carenze o le violenze , nel tentativo illusorio di controllarle e di riscattarsi dal passato ( Miller, 1994).

La dipendenza come oggetto familiare segna i confini della relazione, traccia i percorsi dell’individuazione e si pone come questione di genere tra l’uomo e la donna: all’interno della relazione, la dipendenza modula il legame tra valorizzazione e disconoscimento, rivelando come sia l’oggetto della dipendenza, piuttosto che la dipendenza stessa, a rappresentare un termine di rischio ( Risè, Paragger, 2002).

di Silvia Diolaiuti

consulenzapsicologica

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