I 3 tipi di gelosia secondo Freud

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In ambito psicoanalitico la gelosia è «interpretata in chiave di pulsione, vale a dire  di un’eccitazione interna profondamente radicata nell’inconscio alla quale non ci si può sottrarre: la si può solo scaricare in vario modo ed eventualmente sublimare» (Treccani,  2006) ed ha le sue radici nel “triangolo sessuale” tra madre padre e bambino noto come  “complesso edipico”. Considerato da Freud una delle tappe fondamentali dello sviluppo psicosessuale del bambino, nonché pietra miliare dell’edificio psicoanalitico, ha subito delle variazioni sia nell’ambito della psicoanalisi freudiana sia in quella post-freudiana.

Interessante è la prospettiva di Robert Emde (1991; 1994) il quale, nella sua rivisitazione del complesso secondo un triplice modello di lettura (intrapsichico, interpersonale e generazionale), mette in evidenza l’emergere di un senso di esclusione nel bambino: esclusione dall’intimità sessuale dei genitori nella fase edipica, ma anche esclusione dal campo attentivo e dal controllo nelle fasi precedenti dello sviluppo.

Il concetto di gelosia secondo Sigmund Freud

Nella prospettiva freudiana il complesso di Edipo, cui si lega il tema della gelosia, è ispirato al famoso dramma greco del V secolo a.C., scritto da Sofocle: Edipo, re carismatico e molto amato nella città di Tebe, nel giro di un giorno apprende la verità sulle sue origini, in particolare scopre che sotto il peso di una maledizione divina ha ucciso suo padre ed ha generato dei figli con sua madre, per questo motivo reagisce accecandosi, perde il titolo di re e chiede di andare in esilio.

La scoperta del complesso edipico è stata preparata dall’auto-analisi, infatti, nel 1897, Freud scrive all’amico Fliess di avere scorso dentro di sé dei sentimenti d’amore verso sua madre e della gelosia verso suo padre, sentimenti che sono comuni a tutti i bambini: secondo Freud ognuno può riconoscere in sé stesso le tracce dell’esistenza del complesso edipico (Freud, 1897).

Emerge sin da subito il carattere universale del complesso edipico, che egli ribadirà anche successivamente nell’“Interpretazione dei sogni” (1900) quando afferma: «È forse il destino di tutti noi quello di rivolgere il nostro primo impulso sessuale verso nostra madre e il nostro primo odio e i desiderio di assassinio verso il padre.

I nostri sogni ce ne convincono. Re Edipo, che uccise suo padre Laio e sposò sua madre Giocasta, ci mostra semplicemente la soddisfazione dei nostri desideri infantili» (Freud, 1900 p. 198).

Il “complesso di Edipo” fa dunque la sua comparsa tra i tre e i cinque anni, nella fase fallica dello sviluppo psicosessuale del bambino, quella in cui l’orientamento libidico è diretto verso la zona erogena dei genitali, con modalità psichiche differenti per il bambino e la bambina. Secondo Freud quando il bambino inizia a sperimentare il piacere prodotto dal suo organo genitale, è spinto da un forte desiderio sessuale verso la madre, e nel momento in cui il padre gli “sbarra il cammino verso la madre”, sotto la pesante minaccia della castrazione, finisce per voler essere
il suo sostituto, seppur fino a quel momento egli era visto come modello da imitare.

Dunque accanto all’amore per il genitore di sesso opposto trovano spazio sentimenti ambivalenti verso il genitore dello stesso sesso: affetto e tendenza all’identificazione da un lato, ma anche ostilità e gelosia dall’altro.

D’altra parte, così come il bambino desidera la madre tanto che vorrebbe sposarla ed è contento delle assenze del padre, anche la bambina non perde occasione di mostrare l’attaccamento affettuoso verso il padre e il desiderio di eliminare la madre per prenderne il posto, ma anche lei deve fare i conti con il complesso di castrazione e con l’“invidia del pene” ad esso legato.

Aspetto determinante della vita psichica della donna, il complesso di castrazione si configura come presupposto e non come conseguenza del castigo: la bambina sa che gli manca qualcosa e immagina «di aver posseduto una volta un membro altrettanto grande e di averlo in seguito perduto per evirazione» (Freud, 1924 p. 32).

Secondo Freud la bambina incolpa la madre per l’assenza del pene e invidia il padre perché lo ha, dunque sviluppa sentimenti ambivalenti verso entrambi i genitori: questo processo, poi definito “complesso di Elettra” da Jung (1985), mette ancora una
volta in evidenza il legame indissolubile che intercorre fra invidia e gelosia.

Nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905) Freud afferma che ogni essere umano ha il compito di governare il complesso d’ Edipo, vale a dire di distogliere i primi impulsi sessuali verso il genitore di sesso opposto e dimenticare la gelosia provata verso quello dello stesso sesso. Che si accetti l’interpretazione ontogenetica secondo la quale «il complesso edipico crollerebbe dunque per effetto del suo insuccesso, in quanto intrinsecamente impossibile», piuttosto che quella filogenetica per la quale «il complesso edipico deve cadere quando e perché ha fatto il suo tempo», inevitabile ne risulta il tramonto, il soggiacere alla rimozione e il successivo passaggio all’epoca di latenza (Freud, 1924 p. 28).

In uno sviluppo sano, identificandosi con il padre, assumendone la severità e il tabù dell’incesto, il bambino sarà in grado di sublimare o di inibire nella meta le tendenze libidiche, trasformandole in moti di tenerezza e affetto, allo stesso modo, nella bambina, venendo meno l’angoscia dell’evirazione, l’impossibilità di avere un pene o di generare un figlio col padre determinerà il lento abbandono del complesso edipico, mentre invece la sua mancata risoluzione costituirà il fattore primo per lo scivolamento nella patologia (1924).

Collegata al complesso di Edipo e dunque al sentimento di rivalità vissuto nei confronti del padre, con il quale ci si contende l’amore esclusivo della madre, è quel tipo di gelosia definita da Freud “competitiva o normale”, la quale è «essenzialmente composta dall’afflizione, il dolore provocato dalla convinzione di aver perduto l’oggetto d’amore, e dalla ferita narcisistica, ammesso che questa possa essere distinta dal resto; infine, da sentimenti ostili verso il più fortunato rivale, e da una dose più o meno grande di autocritica che tende ad attribuire al proprio Io la responsabilità della perdita amorosa.

Anche se la chiamiamo normale, questa gelosia non è interamente razionale, ossia determinata dalla situazione attuale, proporzionata alle circostanze affettive e sotto il completo controllo dell’Io cosciente; anzi essa è profondamente radicata nell’inconscio, è la continuazione dei primissimi impulsi della vita affettiva infantile e trae origine del complesso edipico o da quello fratello-sorella del primo periodo sessuale» (Freud, 1921 p. 367).

Freud distingue questo tipo di gelosia da altre due forme, quella “proiettata” e quella “delirante”, le quali scaturiscono entrambe dalla rimozione di tendenze all’infedeltà, che vengono proiettate sul partner al fine di alleviare la tensione che ne deriva, ma si differenziano in relazione alla resistenza manifestata nel lavoro analitico di svelamento di queste fantasie inconsce di infedeltà, che risulta minore nella gelosia proiettata e maggiore in quella delirante. Un’ulteriore distinzione concerne l’oggetto delle fantasie: diversamente dalla gelosia proiettata in quella delirante l’oggetto è dello stesso sesso del soggetto. La gelosia delirante altro non sarebbe che una difesa da una forma di omosessualità latente che «potrebbe essere descritta (nel caso dell’uomo) mediante la formula: “Non sono io che lo amo, è lei che lo ama”» (Freud, 1921 p. 369).

di Valentina Donnari

 

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