Il ruolo del padre nella preistoria

Su centinaia di milioni di anni , solo nella specie umana si può ipotizzare una condizione paterna , elaborata senza l’aiuto di un istinto corrispondente. In pratica, non è stata l’evoluzione animale a dare al maschio la qualità di padre , ma solo la storia e l’esistenza psichica. In particolare ciò che renderà il maschio padre, non sarà l’aver generato materialmente il figlio, ma sarà l’incontro che l’uomo avrà con il bambino, la sua successiva adozione e infine l’acquisizione di una condizione di civiltà. Tutto questo può essere visto come  un germoglio di società che sta nell’assumersi la responsabilità di un altro essere in modo volontario e non istintuale[1].

La Terra ,che possiede circa 4,5 miliardi di anni, vide la comparsa dei mammiferi tra i 250 e i 200 milioni di anni fa. Solo 70 milioni di anni fa  arrivarono i primati. Inizialmente esistevano gli organismi monocellulari che per riprodursi utilizzavano la separazione che però generando esseri con patrimonio genetico sempre identico a quello del genitore non favoriva l’evoluzione e l’adattamento ai cambiamenti dell’ambiente. Procedendo con l’evoluzione, si sviluppano gli organismi complessi che per riprodursi invece ricorrono all’accoppiamento a un secondo individuo di sesso opposto. Questo tipo di riproduzione genera una combinazione genetica sempre nuova. La comparsa degli organismi complessi e la loro necessità di unirsi ad un altro per riprodursi ,inevitabilmente, porterà ad una vita per sempre divisa tra maschile e femminile.

In particolare perfezionando la vita, l’evoluzione ha progressivamente emarginato i padri[2]. Inizialmente , quando tutta la vita si svolgeva all’interno dell’acqua i padri ricoprivano ruoli che con il progredire dell’evoluzione diventarono esclusivi della madre. E’ noto infatti come in moltissime specie di pesci l’accudimento delle uova è affidato ai maschi ,come fosse una prosecuzione naturale dell’accoppiamento, e la femmina ,che espellendo le uova termina per prima le sue funzioni, può essere la prima ad andarsene. Ma con la comparsa della vita terrestre questo fatto naturale si capovolge e con le nuove forme di vita compare la fecondazione interna. Il maschio è colui che ora termina le sue funzioni biologiche per primo mentre sembra lasciare alla femmina le altre funzioni da compiere. E mentre le madri non possono permettersi di non essere buone madri, i maschi , invece, possono addirittura permettersi di non essere padri.

In alcuni ovipari permane invece  l’importanza di entrambi i genitori : in gran parte degli uccelli i genitori formano una coppia stabile che collabora costantemente non solo nella costruzione del nido ma anche nell’allevamento dei piccoli; altri volatili manifestano addirittura un comportamento protoculturale infatti in questa specie il canto ,che risulta essere una caratteristica maschile, non è una capacità innata ma deve essere insegnato e quindi trasmesso dal padre. Infine  buona parte degli struzzi e dei pinguini affidano al padre la fondamentale funzione di covare le uova[3].

E’ con la comparsa dei mammiferi che il  ruolo della madre diventa progressivamente predominante, l’evoluzione infatti ,producendo creature la cui gestazione e crescita risultano sempre più complesse, prolunga di conseguenza anche  la simbiosi del figlio con la madre al di fuori del suo corpo e quindi dopo la nascita. I piccoli infatti risultano per lungo tempo dopo il parto completamente dipendenti dalla madre in particolare per l’alimentazione di cui esclusivamente lei si occupa[4]. Infine con la comparsa dei primati vediamo come il neonato manca di ogni autonomia vitale e come l’allattamento prolungato nelle scimmie superiori serve non solo alla crescita in termini di sviluppo fisico e sopravvivenza ma possiede anche un significato sociale. Tutte le scimmie sono in grado di  apprendere attraverso l’osservazione e i piccoli comprenderanno e sapranno muoversi nel mondo osservando i gesti e i comportamenti della madre. Con il rapporto che la scimmia femmina instaurerà con il suo piccolo nasce il primo comportamento che non si può dire essere assegnato in partenza dalla natura. Questo sarà il primo filo con cui si tesserà la tela della cultura[5].

Per la scimmietta lo stare aggrappata alla madre ha un significato aggiuntivo oltre a quello di procurarsi il cibo tramite questa. La madre le trasmette calore e sicurezza e ciò darà vita ad un comportamento di attaccamento. John Bowlby (1907-1990) ,se pur di formazione psicoanalitica, si ispirò alla teoria etologica per elaborare la teoria dell’attaccamento. Il più classico esempio di teoria etologica fu quella dell’imprinting, elaborata da Konrad Lorenz. Per “attaccamento” si indica un legame affettivo  molto intenso che ha la funzione di favorire la sopravvivenza e l’adattamento della specie[6]. L’esistenza di questo particolare legame è stato verificato empiricamente da Harry Harlow (1905-1981)  nel 1958.  Attraverso un esperimento ,dalla procedura etica discutibile, applicata su dei cuccioli di scimmie rhesus, una specie di scimmie appartenente al vecchio mondo, Harlow  dimostrò che la necessità di contatto fisico è un bisogno primario e indipendente da quello relativo al soddisfacimento dei bisogni fisiologici, e che il legame di attaccamento madre-figlio è qualcosa di più che l’esito di un rapporto strumentale finalizzato all’ottenimento di cibo da parte del cucciolo. Harlow ottenne ciò separando alcuni cuccioli di scimmie dalla madre e chiudendoli in gabbia con due surrogati materni.

Il primo surrogato era di peluche quindi caldo e morbido, ma non dispensava cibo. Il secondo surrogato era all’opposto freddo e di metallo ma forniva latte. I cuccioli di scimmia dimostrarono di preferire il surrogato caldo e morbido in situazioni di pericolo e quindi per confortarsi e l’altro surrogato solo per alimentarsi, dimostrando quindi il legame che univa il piccolo alla madre[7]. In questo panorama è facile notare come nel corso dell’evoluzione ,mentre questa si avvicina all’uomo, e mentre la madre acquisisce un’ importanza fondamentale , per ciò che concerne la funzione da lei svolta  nello sviluppo del piccolo  ,il padre, all’opposto, sembra regredire. Infatti i maschi delle grandi scimmie antropomorfe risultano assenti come padri e poligami come partner. Pur giocando con i cuccioli ,trattandoli con attenzione e delicatezza , difendendo il territorio e indirettamente le femmine e i piccoli, i padri comunque non riconoscono i loro piccoli, non preparano loro il nido e non danno a loro il cibo necessario alla sopravvivenza.

E’ attualmente molto difficile datare con precisione la comparsa dell’uomo sulla terra e quindi i contorni della paternità nella preistoria risultano essere molto incerti[8]; in generale è possibile suddividere  il percorso dell’uomo nelle seguenti età : La Preistoria risalente  a più di 2.000.000 di anni fa, caratterizzata dal Paleolitico, Mesolitico e Neolitico e la Storia antica caratterizzata invece da Età del rame ,Età del bronzo e Età del ferro risalente al 1200 a. c. . In tutte queste epoche storiche hanno convissuto popolazioni con diversi gradi di sviluppo. Idealmente, all’orizzonte preistorico della famiglia umana e del padre incontriamo l’Australopiteco a cui è possibile far corrispondere la camminata eretta, l’uso stabile dell’attrezzo, l’uso della bocca come strumento comunicativo e un’evoluzione non più intesa solo come fisica ma anche come mentale. Inoltre la trasformazione della società animale in società umana è avvenuta con il passaggio dall’accoppiamento irregolare della scimmia alle prime forme di coppia ed è stata la zoologia ad informarci su come i maschi delle specie monogamiche risultano essere molto più attivi con i loro piccoli rispetto ai maschi delle specie poligamiche[9].

Sigmund Freud (1856-1939),fondatore della psicoanalisi, parlò a più riprese della nascita della società. Freud nella sua opera Totem e tabù  si occupò dell’origine della società umana in cui grande importanza assume il complesso edipico[10]. Freud aveva infatti ipotizzato che in origine gli uomini vivessero all’interno di un’orda primordiale dominata dal padre ,il quale deteneva il monopolio delle donne. In un secondo momento ipotizza che i figli , stringendo un’alleanza tra loro, si fossero ribellati ,uccidendolo e divorandolo. Tuttavia essi sopraffatti dall’amore per il padre ucciso e dai sentimenti di colpa nei suoi confronti ,avrebbero deciso che nessuno dei maschi potesse detenere il potere di cui il padre aveva in precedenza goduto[11].

Freud conclude dicendo che la civiltà ebbe inizio una volta che furono poste queste restrizioni alla soddisfazione degli impulsi. Pensava inoltre di aver scoperto che i primordi della religione ,della morale, della vita sociale e dell’arte convergessero nel complesso di Edipo e che il senso di colpa per l’assassinio del padre primordiale fosse ereditario[12].In un’opera successiva, L’uomo Mosè e la religione monoteista , Freud ipotizza inoltre che dopo l’uccisione del padre primitivo da parte dei figli alleati contro di lui ,la madre ,infrangendo il potere paterno, prende il sopravvento e le famiglie di conseguenza si organizzano secondo il matriarcato. Freud considera il successivo passaggio al patriarcato un progresso di civiltà ,una vittoria della spiritualità sulla sensibilità, e conclude che il bambino deve portare il nome del padre ed esserne l’erede[13]. In contrasto con quanto appena detto ,Luigi Zoja, sostiene che un giorno gli uomini si accordarono, ma non come sosteneva Freud e cioè per aggredire il padre primitivo che monopolizzava le donne, ma , al contrario, per eliminare definitivamente le aggressioni che avvenivano tra di loro e per istituire una regole che dirigesse la spartizione pacifica delle donne.

Questo significava che il maschio non doveva più competere per concepire ma doveva semplicemente seguire la regola naturale  del fornire la vita concependola e alimentandola[14]. Nei preuomini dell’Africa di milioni di anni fa, esisteva già una chiara divisione del lavoro tra maschi e femmine. La libertà della mano diviene una possibilità e una necessità per le donne che dovevano accudire i piccoli e per gli uomini che invece si dedicavano alla difesa e alla caccia. Inizialmente gli uomini-scimmia non spartivano il cibo. La selezione in seguito premiò il gesto di condividere la carne cacciata dai padri con le donne e i piccoli , comportamento che aveva come conseguenza ,oltre che il miglioramento della dieta, anche l’aumento della possibilità di sopravvivenza dei figli. In questo nuovo comportamento il padre oltre a cacciare la preda si impegna a riportarla a casa e a spartirla ed è possibile affermare che da questo momento in poi non si avvicinerà più alla femmina solo per il breve atto del concepimento ma diverrà una presenza costante che si allontana solo per le spedizioni di caccia. Le nuove forme di caccia sempre più evolute e complesse permettono all’uomo di evolversi oltre che fisicamente anche psichicamente. L’uomo comincia a conservare in memoria ,durante la battuta di caccia, l’immagine mentale della bestia cacciata rendendo l’inseguimento un lavoro mentale. Chi non fa ritorno a casa non garantisce la sopravvivenza e abbandona i discendenti. In questi esseri relativamente nomadi ,che vivevano di caccia e raccolta, comincia a svilupparsi perciò un bisogno di appartenenza ad un luogo fisso e sicuro che per ragioni ovvie non poteva essere un luogo geografico. Questo porto sicuro divenne la famiglia di cui gli uomini cominciarono nei loro momenti di assenza a sentirne la nostalgia. E’ così che l’uomo ,con questo gesto inconsapevole e automatico ,legato infatti alla sopravvivenza sua e dei suoi cari , crea la vita sociale e quella psichica caratterizzata quest’ultima dall’eccitazione della conquista,  della conoscenza, e dal bisogno di sicurezza. Il rapporto di coppia stabile diventa una novità rivoluzionaria rispetto ai quadrumani e di conseguenza avviene una rivoluzione nella sessualità che diviene continuativa ,anche durante le gravidanze, garantendo così tra la coppia rapporti sempre più intimi e profondi.

La vita sessuale da mero sfogo istintuale finalizzato alla riproduzione della specie diviene un laboratorio artigiano in cui si fabbrica vita psichica. Questa evoluzione fu probabilmente guidata dalla donna, che ha da sempre mostrato maggiore interesse sia per il rapporto singolo che per la relazione. E’ quindi possibile affermare che fu la compagna ad allevare il compagno, la madre ad allevare il padre, come la madre alleva il bambino. Fu lei a guidare lo sguardo del figlio, che seguiva con gli occhi solo la madre, a guardare a sua volta il padre. L’evoluzione ha dunque portato il massimo beneficio ai legami nella famiglia e alla mortalità dei figli che progressivamente diminuiva ,anche se quest’ultimi però divenivano sempre più indifesi e dipendenti. La selezione premiava però la forza della nuova famiglia che già all’epoca era probabilmente monogamica e patricentrica[15]. La questione se il patriarcato dominante nella storia dell’Occidente non sia stato preceduto ,in tempi preistorici, da un matriarcato è argomento tuttora attualmente molto dibattuto e poco chiaro. Un filone etnologico e antropologico, fecondo soprattutto negli anni ’70 e sostenitore delle idee proposte dallo studioso svizzero Johann Jacob Bachofen (1815-1878) , sostiene l’esistenza di una fase matriarcale collocabile nel Paleolitico, età in cui si sviluppò la tecnologia con l’introduzione di strumenti in pietra utilizzati da diverse specie di ominidi. Durante questo periodo l’organizzazione della famiglia seguiva ,secondo gli autori di questo pensiero, il principio matrilineare. Le madri quindi detenevano il potere familiare e anche il dominio politico. Nonostante siano state presentate da questi autori informazioni interessanti a sostegno di questa teoria , la maggior parte delle informazioni oggi disponibili favoriscono l’ipotesi che il patriarcato abbia dominato fin dalle origini della società. Secondo diversi autori le idee di Bachofen andrebbero ridimensionate e si dovrebbe dare invece importanza a ciò che probabilmente accadde tra 5000 a.C. e il 4000 a.C.. In questo periodo la scoperta del nesso tra atto sessuale e fecondazione rese possibile la presa di coscienza ,da parte delle popolazioni esistenti in quel periodo (Egiziani e Indoeuropei), del ruolo svolto dal padre nella procreazione. Il padre acquisisce un valore nuovo ; gli viene assegnato un ruolo mitico nella nascita dell’umanità. Successivamente si ritroveranno riferimenti al padre nei testi sacri indiani Veda (1500 e 800 a.c. ) e nei testi giuridici più antichi come il codice babilonese di Hammurabi (1700 a.c.) e in altre raccolte di leggi come quelle sumeriche, assire, ittite, egiziane, ebree. In queste raccolte è evidente come ora la funzione educativa svolta dal padre nei confronti dei figli abbia acquisito un’importanza fondamentale. Il padre è ora dominante e il figlio deve sottomettersi a lui altrimenti verrebbe da questo severamente punito[16].

 

[1] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000

[2] Ibidem

[3] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] John  Bowlby, Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri,Torino,1999

[7] Susanna Pallini, Psicologia dell’attaccamento, FrancoAngeli, Milano, 2008

[8] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore,Roma,2010

[9] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000,

[10] Paul Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi, Torino, 1998,

[11] Sigmund Freud, Totem e tabù, Bollati Boringhieri, Torino, 2011

[12] Paul Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi, Torino,1998

[13] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore, Roma,2010

[14] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000

[15] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000

[16] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore,Roma,2010

di Carlotta Sabbatini

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