La relazione tra fratelli nell’infanzia

Secondo lo psicoanalista Petri, la letteratura è ricca di contributi che cercano di spiegare l’origine dell’odio fra fratelli, invece non esistono modelli esplicativi in grado di cogliere le qualità particolari dell’amore fraterno, infatti, i concetti di cui si dispone possono essere applicati anche ad altre relazioni, come quella madre-figlio (Petri, 1994).

Petri sostiene che i due nuclei dell’amore fraterno si formano proprio nella fase prenatale e nei primissimi mesi dopo la nascita: si tratta dei «segni premonitori dell’amore oggettuale» e dell’«investimento narcisistico dell’oggetto» (Petri, 1994 p. 27). Attraverso l’identificazione regressiva e la fusione con il neonato, il primogenito getta le basi della futura relazione oggettuale, d’altra parte anche il secondogenito ha bisogno del fratello come narcisistico oggetto d’amore, come specchio della propria onnipotenza (Petri, 1994).

Successivamente, passando attraverso i processi di identificazione con l’amore della madre e di imitazione del suo comportamento, il legame fraterno si differenzia rispetto alle altre relazioni familiari e acquista una sua specificità, in quanto frutto di un «processo autonomo di investimento libidico oggettuale» (Petri, 1994 p. 34).
Nei primi tre anni di vita iniziano a formarsi brandelli di identità, soprattutto in relazione all’appartenenza di genere, attraverso un’accresciuta consapevolezza corporea e per effetto delle relative attribuzioni di ruolo da parte dei genitori. Nonostante la già avvenuta differenziazione in due strutture autonome dell’Io, i fratelli hanno bisogno di rispecchiarsi in uno sguardo di conferma e di ammirazione reciproci, per essere orgogliosi dell’acquisizione delle nuove abilità.

Anche nella conquista del mondo esterno, essi costituiscono una fonte di supporto reciproco, si proteggono vicendevolmente: in loro è cresciuto il senso di responsabilità nei confronti dell’altro. Attraverso i giochi di ruolo, quali il “gioco del dottore”, quello di “mamma e papà” o “mamma e figlio, acquisiscono competenze sociali, esprimono i propri sentimenti e grazie al fratello si distaccano in un qualche modo dai genitori.

È nella gamma delle esperienze umane vissute, quali il sentimento della reciproca presenza, tenerezza, conferma e ammirazione, la gioia e l’allegria racchiuse in una risata, il dare aiuto, protezione, cura, l’apprendere insieme e superare le difficoltà, che si può scorgere l’amore fraterno (Petri, 1994).

Una svolta decisiva a questo sentimento è data dall’ingresso del primogenito nel mondo della scuola, proprio perché esso consente ai due fratelli di fare un’esperienza fondamentale, che, nelle sue diverse varianti, li accompagnerà per tutta la vita: quella della separazione.

Ancora una volta, il fratello costituisce un agente propulsivo nel superamento della simbiosi con la madre, esercitando una forte spinta verso la scoperta della propria identità. Sullo sfondo di questo cambiamento, in cui innumerevoli sono le
richieste fatte al bambino, solo se i sentimenti distruttivi vengono superati, crescerà un senso di reciproca gratitudine, «gratitudine per la vita donata, protetta e stimolata» (Petri, 1994 p. 49), grazie alla quale entrambi riescono ad acquisire una maggiore indipendenza.

I fratelli giocano insieme, si raccontano storie, si coccolano, si aiutano a vicenda, ognuno diventa il custode dei segreti dell’altro, sorgono in loro sentimenti di reciproco aiuto, protezione e sicurezza. Nonostante questi sentimenti positivi, «non si può negare che lo sviluppo di una relazione fra fratelli può essere ostacolata da numerose influenze
di natura distruttiva» (Petri, 1994 p. 107).

Secondo Petri, non è l’esperienza della nascita in sé ad essere traumatica, né tanto meno è rilevante la successione dei fratelli, ciò che conta è la qualità della relazione dei genitori verso i singoli figli, dunque il nucleo dei problemi nella relazione fraterna è da ricercarsi nel differente atteggiamento educativo (Petri, 1994).

Sebbene la coppia parentale, aspiri all’ideale educativo dell’uguaglianza nel trattamento dei figli, in realtà, per una serie di ragioni, «la differenza è la situazione normale nell’educazione dei fratelli» (Petri, 1994 p. 113); il fatto di essere primogenito,
secondogenito, o terzogenito e così via, costituisce solamente uno dei fattori (Petri, 1994).

Di fatto ogni figlio incontra costellazioni familiari diverse, dunque «più importante è che la relazione emotiva dei genitori fra loro, la loro personale maturità, le loro concezioni riguardo agli obiettivi educativi, le loro condizioni fisiche e psichiche, e non ultimo la loro posizione sociale, siano in costante trasformazione.

Queste esperienze si rispecchiano nei figli in grado variabile di risonanza emotiva [che] dipende in modo determinante dagli stessi figli» (Petri, 1994 p. 112). Le caratteristiche della coppia parentale e di ciascuno dei due genitori si incontrano con le differenze individuali dei fratelli in relazione a sesso, età, intelligenza, doti, aspetto, carattere, temperamento,
sensibilità e capacità di adattamento sociale. «Tutti questi fattori possono armonizzarsi con le rispettive componenti dei genitori, ma molti se ne discostano in misura più o meno marcata.

La combinazione delle numerose possibilità produce nei genitori una diversa disponibilità ad accettare totalmente i figli dentro di sé, oppure porta al fatto che, consciamente o inconsciamente, essi rifiutano il figlio per intero o in determinati aspetti» (Petri, 1994 p. 112). Un altro motivo di comportamento diversificato è legato al vissuto personale di ciascun genitore con i propri fratelli:

come la psicoanalisi insegna, i sentimenti provati nei confronti del fratello, amato o odiato, vengono “traslati” su un figlio (Petri, 1994).

Infine, a rendere conto del trattamento differenziale ci può essere un altro fenomeno, definito nella terapia familiare come delega: ad ogni figlio vengono affidati desideri, compiti e obiettivi irrealizzati dei genitori, affinché essi li concretizzino
al loro posto; talvolta proiettando anche una componente negativa, essi la perseguitano nel figlio (Petri, 1994).

Dunque, sebbene la differenza non dovrebbe comportare né preferenze né svantaggi, in realtà le cose possono andare proprio nella direzione dell’ingiustizia e della disuguaglianza, perché le relazioni, più che essere influenzate dagli ideali dettati alla coscienza dal nostro Super-io, subiscono l’influsso di sentimenti, fantasie e desideri inconsci (Petri, 1994).

di Valentina Donnari

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