Come avviene il reclutamento nelle sette

Come vengono reclutati gli adepti?

Molti sono gli studi incentrati sui metodi di reclutamento. La maggior parte di questi, a differenza di quanto si possa pensare, affermano che i soggetti aderiscono e si sottopongano al processo di condizionamento della setta liberamente e, di norma, non vengono attuate alcune coercizioni fisiche per trattenerli in seguito; questo perché l’imposizione non avrebbe alcun effetto sulla mente dei soggetti, ma soltanto sui loro comportamenti.

Il rapporto dell’APA (American Psychological Association) rileva che l’età dei “convertiti alla setta” spazia notevolmente dall’infanzia alla senilità, ma il campione maggiormente rappresentato va dai 18 ai 30 anni. Inoltre esso aggiunge che i soggetti condizionati presentano con frequenza determinati elementi: idealismo ingenuo, stress dovuto a situazioni personali (crisi adolescenziali, crisi affettive o problemi scolastici), tendenza alla dipendenza, disillusioni, eccessiva fiducia nel prossimo, provenienza da famiglie disfunzionali e ignoranza delle tecniche di condizionamento dei gruppi. La dottoressa Margaret Thaler Singer, psicologa clinica, individua tre fasi di reclutamento per “catturare nella tela del ragno“ tali soggetti:

  • Somiglianza

I “cacciatori di teste” dei culti cercano di mostrare punti di comunanza negli interessi, negli hobby e nelle preferenze dei propri “bersagli”. Dubbi, paure, speranze e sogni possono essere utilizzati per avvicinare con successo una persona; questo rende più semplice persuadere il soggetto a incontrarsi per una lettura o una colazione, in maniera tale da avviare un processo incrementale di vincolo.

  • Bombardamento d’amore

Non appena il potenziale adepto si avvicina al gruppo, esso viene improvvisamente accolto con intense manifestazioni di interesse, affetto, attenzione, conforto. Questo da un lato placa ogni forma di pregiudizio e critica, mettendo in moto anche sensi di colpa per eventuali diffidenze iniziali, dall’altro lato pone il visitatore nella confortevole posizione di chi ha ricevuto un trattamento di favore e fa emergere la naturale tendenza a ricambiare in qualche modo ciò che si è ricevuto. Robert Cialdini, a proposito della regola del contraccambio, scrive che:

La regola dice che dobbiamo contraccambiare quello che un altro ci ha dato. Se una donna ci fa un favore dobbiamo fargliene uno anche noi alla prossima occasione, se un uomo ci manda un regalo di compleanno dobbiamo ricordarci del suo e mandargliene uno da parte nostra. In virtù della regola di reciprocità, quindi siamo obbligati a ripagare favori, regali, ed ecc… È così tipico il fatto che ricevendo cose del genere ci si senta in debito, che “obbligato” è diventato sinonimo di grazie in molte lingue. Gratitudine, stima e voglia di far piacere sono le forme più immediate di reazione a un simile trattamento.[1]

  • Stabilire relazioni

Quando il nuovo arrivato accetta in più occasioni di condividere il suo tempo con i membri di un culto, la tendenza sarà quella di creare legami affettivi ed emotivi con gli altri adepti. Sport e giochi di gruppo, oppure dialoghi finalizzati allo scambio di informazioni personali sono i metodi più innocenti ed efficaci. Questa fase dissolve ogni residua barriera difensiva che il soggetto possa nutrire verso il gruppo e lo introduce nell’orbita relazionale del culto.

Come sono trattenuti gli adepti?

Una volta avvicinato alla setta, inserito nel gruppo e nella sua attività, ci si pone il problema di come trattenere il soggetto aderente. Il presupposto principale ruota attorno al senso di colpa, cioè al fatto che, anche se l’adepto trovasse ragioni di disagio, avrà comunque la sensazione di dovere qualcosa al gruppo e potrà risultargli estremamente difficile e ingrato allontanarsi dopo aver ricevuto tante attenzioni. Per costruire un quadro più completo sull’argomento è importante valutare degli elementi che sembrano ricorrere in vari tipi di sette:

  • Mantenere elevato il numero di richieste e impegni.

Finché il soggetto si sente in difetto, avrà sempre l’urgenza di migliorarsi per raggiungere i risultati che il culto chiede ai propri membri. Far sentire gli adepti nella condizione di dover crescere e spingersi a nuovi stati di “evoluzione” è un ottimo metodo per legarli alla setta in cui si trovano.

  • Eliminare il dissenso.

Il culto definisce, moralmente e spiritualmente, “sbagliata” ogni forma di critica o dissenso al suo interno, inoltre non solo impedisce ogni seria analisi sulla propria validità, ma vieta anche ai membri di indulgere in riflessioni senza che essi cadano nel peccato di eresia. Ciò accade perché dichiarare “peccato” il fatto stesso di dubitare significa eliminare alla radice la stessa possibilità di dissenso.

  • La missione.

Le sette in genere forniscono ai propri adepti nobili e apprezzabili obiettivi, anche se questi spesso confluiscono verso strane e improbabili lotte contro il male, il quale può essere identificato come qualsiasi forma di pensiero, filosofia, razza, credo ecc..

La missione può anche richiedere sacrifici economici o convogliare le energie in attività in apparenza di dubbia bontà, ma che vengono giustificate nell’ambito della complessità della missione stessa.

  • Preminenza del gruppo.

Uno dei capisaldi di una setta è che l’individuo non ha fondamento, valore o possibilità di salvezza al di fuori del gruppo. L’identificazione di ogni singolo soggetto aderente alla setta, comprensivo di proprie relazioni, energie, sacrifici e pensieri, deve essere orientata soprattutto al bene del culto e al rispetto dei suoi dettami, sebbene ciò spesso significhi garantire il benessere del leader.

È fondamentale, per mantenere l’unità del gruppo, rafforzare continuamente la fedeltà dei membri. Uno dei sistemi più efficaci è indurli al proselitismo, cosicché venga comprovata la fede e l’adesione al culto con l’adescamento di potenziali seguaci. Questo avviene per esempio nei testimoni di Geova, tra i quali viene estensivamente utilizzata l’attività di reclutamento come strumento di coesione e riconferma della propria fedeltà.

  • Difesa e difficoltà di uscita.

Una delle questioni più interessanti al riguardo delle sette è l’esigenza di avere adepti in grado di preservare il credo da critiche, aggressioni e minacce esterne.

Oltre a ciò vi sono anche dei vincoli interni che trattengono i membri nei loro culti, persino quando uno o più aspetti possono avere risvegliato in loro sensazioni di intenso disagio o allarme:

  • Il senso di colpa nell’abbandonare il gruppo;
  • Il timore di subire rappresaglie morali e materiali;
  • La paura di affrontare la realtà senza il supporto emotivo del gruppo;
  • L’incertezza nel dover ricostruire un nuovo stile di vita;
  • Il timore, spesso inculcato dal culto, di rischiare l’eterna dannazione.[2]

[1] Robert Cialdini, “Le armi della persuasione”, Giunti, Milano, 2013

[2] Stefano Re, “Mindfucking”, Castelvecchi, Milano, 2009

di Angelo Alabiso

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