Il più grande suicidio di massa della storia

Il 18 novembre 1978, esattamente trent’anni fa, 912 persone, seguaci della congregazione religiosa del «Tempio del Popolo», si suicidarono in massa nella loro comune di Jonestown, nella giungla della Guyana, bevendo un cocktail al cianuro, secondo gli ordini del loro capo, il reverendo Jim Jones.[1]

Tra i tanti casi di setta divenuti poi famosi all’opinione pubblica, quello del “Tempio del popolo” si è dimostrato certamente uno dei più inquietanti, al punto da portare a un suicidio di massa dei suoi adepti.

Quando questa strage venne scoperta, i soldati giunti sul posto rimasero basiti nell’osservare cadaveri di uomini, donne, bambini, anziani: un numero sterminato di corpi posti ordinatamente in fila e, tra loro, il reverendo Jim Jones.

La morte tuttavia non è stato l’unico elemento a contraddistinguere tale organizzazione: segregazioni, violenze sessuali, punizioni e torture  sono solo alcune delle caratteristiche principali di questa setta. Tutto ciò accadeva a causa di  precisi processi di condizionamento mentale e trasmissione di ideologie che vedevano a capo il leader/pastore carismatico Jim Jones: egli, dopo aver riunito un vero e proprio “gregge di pecorelle”, le ha plasmate e modellate affinché seguissero ogni sua idea più estremista e fanatica.

Chi era Jim Jones?

Jim Jones nacque nel 1931 a Lynn, un piccolo villaggio situato nel confine dell’Ohio. Suo padre, James Jones, iscritto al Ku Klux Klan, era tornato dalla prima guerra mondiale con un problema al polmone talmente grave che gli fu riconosciuta l’invalidità.

La mancanza d’affetto da parte della sua famiglia lo spinse a frequentare le chiese del villaggio dove si appassionò talmente tanto ai sermoni da litigare con coloro che non ne ascoltassero i contenuti in silenzio durante le messe. Fu proprio in chiesa che il ragazzo scoprì il proprio talento: l’oratoria. Jones non era uno dei soliti squilibrati emarginati dalla società che si rifugia nella religione: egli sapeva parlare alla gente.

Era in grado di coinvolgere il pubblico in lunghi sermoni grazie al suo carisma, slancio personale e fascino. Jim era nato per fare il predicatore e con il tempo fece di questa predisposizione la propria principale fonte di successo. L’indigenza della famiglia fu molto probabilmente il fattore cardine e primordiale dello sviluppo di una patologia che egli mostrerà in seguito, al comando della setta, come figura di leader.

Sviluppo e assestamento del “Tempio del Popolo”

Dopo la laurea presso l’università dell’indiana, Jones fu nominato membro della chiesa cristiana dei discepoli di Cristo. Solo in seguito l’uomo fondò il “Tempio del popolo”, una organizzazione nata come missione interrazziale che portasse aiuto ai poveri, ai malati e ai vagabondi.

Grazie alla sue innate qualità di oratore, ottenne un largo seguito, con oltre 900 fedeli a Indianapolis nel corso degli anni cinquanta. Con il passare del tempo però, la predicazione del tempio assunse un carattere sempre più marcatamente politico, aderente ai temi socialisti e comunisti, e sempre più critico verso le altre confessioni cristiane. Il tema promosso era il “socialismo apostolico” e si focalizzava sull’aiuto verso i “non fortunati” e le classi inferiori della società. All’interno del programma vennero poi introdotte singolari terapie per curare malattie come cancro, artrite e disturbi cardiovascolari tramite esorcismi e riti religiosi. Quando vennero aperte delle indagini su tali terapie, Jones decise di spostare la sede della sua congrega nel Nord della California e qui, durante le sue predicazioni, iniziò ad annunciare un’imminente guerra nucleare e la fine del mondo. Perseguitato da indagini federali, lui e il suo gruppo furono costretti a rispostarsi prima a San Francisco poi Los Angeles, riuscendo comunque ad acquisire nuovi membri.

Vista dall’esterno questa comunità appariva felice: vivevano tutti in armonia come una grande famiglia, mangiando ciò che loro stessi producevano e non vi erano distinzioni sociali ed economiche.

Durante gli anni settanta però, un’inchiesta giornalistica sul “Tempio del popolo” mise in luce alcune sue evidenti illegalità e verità: coercizione psicologica e fisica, segregazione, minacce, torture, punizioni corporali e lavori forzati. Il “paradiso” di Jones era in realtà un inferno, nel quale i devoti erano costretti a stare come topi in gabbia, privati di tutto. Qualsiasi iniziativa personale era vietata, ogni contatto con il mondo esterno proibito e persino i rapporti sessuali tra coniugi erano scoraggiati con terribili punizioni. Jones era un individuo sadico e l’oggetto privilegiato delle sue ossessioni erano i bambini. I piccoli che non rispettavano la legge dell’isolamento settario venivano picchiati con bastoni o sottoposti a sedute di elettroshock, che provocavano urla, pianti, suppliche di pietà, talvolta perdevano anche i sensi. Jones assisteva freddamente a tutto questo, mantenendosi in disparte, distaccato, limitandosi qualche volta a contare il numero dei colpi di tali violenze.

Dopo la pubblicazione di quella inchiesta, Jones decise di trasferire il proprio culto fuori dagli Stati Uniti, portando con sé un certo numero di seguaci in Sudamerica, dove fu fondata Jonestown, nello stato della Guyana.

I meccanismi di controllo utilizzati da Jim Jones

È proprio in Guyana che il tempio acquisì quattromila acri di giungla dal governo per fondare una comune agricola. Si coltivava frutta e verdura, si allevavano animali e si vendeva la produzione in eccesso.

Sia il luogo che l’attività erano perfetti, mancavano solo, nel pensiero di Jones, una forte modalità di controllo sul gruppo. Fu da allora che egli sviluppò l’idea di predicare l’imminente fine del mondo e il mito della “traslazione”, che rappresentava il momento in cui lui e i suoi seguaci sarebbero dovuti morire contemporaneamente per  trasferirsi su un altro pianeta, dove li attendeva una nuova vita perfetta. Prove generali di questo atto di suicidio di massa vennero portate avanti nelle cosiddette “notti bianche”: i seguaci della comune bevevano tutti insieme delle innocue bevande, fingendo che si trattasse di veleno. Nel frattempo elementi di paranoia patologica emergevano sempre di più nel comportamento e nell’essere del leader che perpetrò con forme di pressione mentali e fisiche, punizioni e abusi di tipo sessuale.

Nella setta era presente ogni elemento di manipolazione mentale: isolamento, un leader carismatico, un credo manicheo, un linguaggio e un credo innovativi, la completa identificazione con il gruppo e la sua dottrina, per poi concludere con l’idea di devozione al culto come sola forma di salvezza dell’anima.

L’idea era quindi quella di trasformare questa comunità in un “paradiso in terra”: i membri venivano indottrinati con linguaggio millenaristico e tecniche di lavaggio del cervello da comune nordcoreana, coloro che abbandonavano la comune venivano definiti disertori ed esisteva una polizia informale per ostacolare, se non rendere impossibile, la diserzione.[2]

Nel 1961 lo psicologo statunitense Stanley Milgram, in un suo famoso esperimento, riuscì a spiegare come le persone seguissero i comandi anche più estremi di individui che possedessero autorità, soggetti come Jim Jones, il quale puniva pubblicamente chi disobbediva o chi non era favorevole a ogni sua idea; in questo modo nessuno si ribellava e chi aveva intenzione di farlo non trovava consensi.

Jones in aggiunta si servì anche della cosiddetta tecnica del “piede nella porta”. Tale tecnica consiste nel chiedere inizialmente un piccolo favore, che sicuramente sarà concesso, seguito poi da richieste sempre più grandi, ma connesse tra loro. Ad esempio, durante le raccolte di beneficenza i manipolatori sanno che le persone che acconsentono di acquistare piccoli gadget promossi da quell’associazione hanno una probabilità maggiore (rispetto al resto della popolazione) di fare altre donazioni in futuro. A Jonestown, le persone erano state ingannate proprio così: piccole richieste che man mano erano diventate sempre più grandi e “sconvenienti” fino ad arrivare alla richiesta di suicidio.

Un altro fenomeno che può spiegare come mai le persone, nonostante gli abusi e le umiliazioni, siano rimaste a Jonestown è quello della dissonanza cognitiva: tale concetto venne formalizzato dal dottor Leon Festinger nel 1957 e, in breve, tale teoria sostiene che l’uomo tende generalmente a essere coerente con sé stesso nel modo di pensare e di agire. La dissonanza dei propri comportamenti o pensieri creerà un disagio psicologico che la persona cercherà di ridurre mettendo in atto delle razionalizzazioni, questo perché più alto è il livello di dissonanza, maggiore è la tensione che ne deriva nel soggetto. Per fare un esempio pratico si potrebbe analizzare una persona che fuma, che sa che fumare fa male, e che, per evitare la dissonanza palese o per ridurla, mette in atto razionalizzazioni, adducendo delle motivazioni come “fumare mi piace”: in questo modo tale sua azione sarà “giustificata”.

Si ritrova tale teoria a Jonestown. Le persone, prima di entrare nel “Tempio del popolo”, avevano sacrificato i propri beni perché erano convinti che Jones e la chiesa fossero buoni, ma se si fosse rivelato invece il contrario? I seguaci non potevano ammettere che i loro sacrifici erano stati vani, pertanto, per evitare questa dissonanza, continuarono (non coscientemente) a credere che Jones fosse una persona buona.

Jonestown: il più grande suicidio di massa della storia

Nonostante si trovasse in territorio extranazionale, Jonestown era composta esclusivamente da cittadini americani. In seguito alle rivendicazioni delle famiglie di alcuni membri, che ritenevano i loro parenti trattenuti al campo contro la loro volontà, fu dato corso a un’indagine che coinvolse il Congresso degli Stati Uniti: il 17 novembre 1978 si recò al Tempio una delegazione guidata dal deputato Leo Ryan, accompagnato da giornalisti e familiari dei membri appartenenti al movimento. La visita non mostrò però nulla di allarmante fino a quando, il giorno di partenza della commissione, sedici membri del culto chiesero di poter tornare indietro con i visitatori.

Per impedire l’abbandono, le guardie armate della sicurezza della setta aprirono il fuoco colpendo e uccidendo cinque persone, tra cui il deputato americano e alcuni componenti della commissione di indagine. Dopo questa azione, Jones e le sue guardie decisero che era giunto il momento di abbandonare questo pianeta. Radunarono tutti gli oltre 900 abitanti della comune e riempirono alcuni bidoni di una bevanda mista a veleno. Oldell Rhodes, sopravvissuto alla tragedia racconta così questi momenti in un’intervista per National Geographic:

Famiglie, bambini, tutti i residenti di Jonestown erano nel padiglione, sapevo che quella non era un’esercitazione, ci stavamo preparando a commettere un suicidio. La cosa più triste fu che iniziarono dai bambini, erano in prima fila, cioè iniziarono da chi non poteva difendersi da niente. Presi uno di loro tra le braccia, sembravano immobili, non si lamentavano più, non sapevo se stessero soffrendo. Molte persone erano in trans, non capivano cosa stesse accadendo; io mi alzai in punta di piedi e mi allontanai, nessuno mi fermò.

All’interno del padiglione chi si rifiutava di bere quel veleno veniva fucilato sul posto. I bambini furono i primi ad essere avvelenati perché Jones sapeva che una volta morti loro i genitori non avrebbero avuto molto per cui vivere. Sempre Oldell, riguardo tale questione, aggiunge che « molti genitori decisero di farlo perché i loro figli erano morti, altrimenti non l’avrebbero fatto, lo so che è così.»

Tuttavia ciò non toglie, come fece notare il professore di sociologia dell’università della California, John Hall, analista del caso, che molti hanno agito in solidarietà con Jim Jones in uno scenario perverso. Nel massacro perirono 699 adulti e 213 bambini, lo stesso Jim Jones venne trovato tra i morti. Si era sparato, o fatto sparare, alla testa.

Robert Cialdini tratta il caso di una donna/adepta di Jonestown, Diane Louie, che si salvò la vita rifiutando tutti i doni offerti da Jones e tutti gli obblighi di reciprocità ad esso collegati. Egli scrive:

Nel novembre 1978 il leader della setta, Jim Jones, ordinò un suicidio di massa di tutti gli accoliti, la maggior parte dei quali obbedì bevendo da un tino di liquore avvelenato. Diane, invece, non si piegò all’ordine del capo e riuscì a fuggire da Jonestown attraverso la giungla. La donna attribuisce la propria decisione alla sua capacità di rifiutare alcuni favori offerti a lei da Jones quando ne aveva bisogno. Una volta che si era ammalata, aveva respinto un’offerta di cibi speciali da parte del capo. «Sapevo», afferma la donna «che se mi avesse concesso quei privilegi, mi avrebbe tenuta in pugno. Non volevo essergli debitrice.»[3]

[1] “Jonestown, il più grande suicidio di massa della storia”, articolo de La Stampa, 18/11/2008

[2] Wikipedia, “http://it.wikipedia.org/wiki/Tempio_del_popolo”

[3] Roberto Cialdini, “Le armi della persuasione”, Giunti, Milano, 2013

di Angelo Alabiso

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