Come reagire positivamente al cancro

Il cancro coinvolge tutta la famiglia perché prima di tutto non è facile accettare l’idea che la persona che amiamo si ammali. Si può provare paura, tristezza, disperazione, rabbia e sensi di colpa. Si può reagire con iperprotettività o rifiuto della persona amata come se tentassimo di annullare la consapevolezza di quello che sta accadendo. Non esistono reazioni giuste o sbagliate ma solo reazioni e pensieri intensi e coinvolgenti.

Bisogna concentrarsi non tanto sulle regole di un comportamento corretto ma su ciò che potremmo fare per aiutare noi stessi e le persone che amiamo. Quando un genitore si ammala di cancro si tende a non comunicare nulla ai figli piccoli per proteggerli o perché si crede che non capiscano ciò che succede. Ciò è sbagliato perché i bambini comunque percepiscono le tensioni in casa e l‟esclusione della comunicazione potrebbe provocare sensazioni di perdita ed abbandono. I bambini apprezzano i tentativi degli adulti di esplorare insieme a loro le vicissitudini penose della vita, non hanno gli strumenti per comprendere il silenzio che li lascia soli ad affrontare emozioni forti e sconvolgenti. Parlare aiuta a dare parola a ciò che fa paura, li aiuta a ridurre la tensione e a potenziare i benefici del sostegno reciproco.

Ogni famiglia nel reagire alla diagnosi di un congiunto attraversa un processo simile a quello del paziente: alla fase di shock con sentimenti di stupore ed angoscia fa seguito il rifiuto di quanto sta accadendo.

Nella maggior parte dei casi la famiglia riesce a superare la crisi iniziale e ricompone la sua funzionalità. I fattori che interagiscono nel modo di reagire alla malattia propria o di un congiunto sono fattori personali, fattori che riguardano al natura della malattia e fattori dovuti al contesto sociale e fisico in cui si vive. Queste dimensioni incidono su numerosi fattori psicologici come il modo in cui viene valutata e vissuta emotivamente la malattia, l’adattamento ai cambiamenti prodotti da essa e alle minacce che da essa derivano e i vari  meccanismi di difesa messi in atto. Il paziente che si ammala di cancro può provocare dei disagi all‟interno del sistema familiare poiché evoca angosce di morte.

Inoltre, perdendo il proprio ruolo abituale, determina cambiamenti nei ruoli svolti dagli altri; quando richiede costanti cure modifica lo stile di vita di tutti e di conseguenza le relazioni all‟interno del sistema. Il paziente può così addirittura diventare colui sul quale si esprime tutto il disagio familiare.

Nel momento in cui una persona diventa “malato di cancro”, quindi, l’organizzazione familiare è obbligata a riaggiustarsi, infatti: il paziente perde il suo ruolo di soggetto autonomo e indipendente; gli altri familiari diventano responsabili della sua vita e della sua malattia; gran parte delle risorse emotive e concrete della famiglia devono essere utilizzate per affrontare la nuova realtà; la famiglia stessa diventa dipendente e in posizione di soggezione, soprattutto rispetto alle istituzioni sanitarie e ai medici.

La famiglia reagisce principalmente in tre modalità:

Distanziamento: l‟esistenza della malattia è accertata ma la presenza in casa del malato è rifiutata;

Negazione: la famiglia continua a comportasi come se nulla fosse successo, la gravità della malattia è trascurata o rimossa);

Ipercoinvolgimento: tutte le routines e le abitudini della famiglia si riorganizzano intorno all‟imperativo di curare il soggetto malato, accudirlo e ridurre la sofferenza, l‟ansia di tutti i familiari raggiunge un livello molto alto.

A volte, quindi, il disagio psicologico dei familiari può raggiungere un carattere patologico: ansia e depressione, ma anche irritabilità nei rapporti interpersonali, atteggiamenti di distanza dal partner, fino all‟abbandono.

L’adattamento emotivo del paziente risulta fortemente influenzato dalla risposta emotiva e dal comportamento dei familiari significativi.

L’adattamento è influenzato dalle caratteristiche cliniche della malattia e di intervento terapeutico e dipende dall‟atteggiamento sia del paziente che dei familiari nei riguardi del cancro, ma soprattutto è tanto maggiore quanto maggiore era la relazione con i familiari prima della diagnosi.

L’accettazione o il rifiuto del paziente e della sua situazione da parte dei familiari si riflettono nell’accettazione e rifiuto di sé del malato. I pazienti descrivono così la risposta della loro famiglia durante il periodo di malattia:

1) La famiglia che risponde positivamente:

accoglienza, appoggio affettivo e sdrammatizzazione (“I miei figli mi prendevano in giro per via della rapata. Cercavano di prenderla sul ridere”; “Devo tutto ai miei figli, loro mi hanno aiutata in tutte le cose”; la famiglia mi ha aiutata: mio marito, mia sorella, mio figlio. Avevo tanta compagnia, non mi lasciavano mai sola. C‟era unità, si parlava delle mie paure, si discuteva”).

la famiglia aiuta per il solo fatto di esserci (“Mi ha aiutata la vicinanza dei figli: sempre sorridenti, mi portavano il cibo quando ero ricoverata”).

intervento attivo della famiglia (“Il figlio maggiore è andato al centro per me e ha parlato con la dottoressa, le ha raccontato della mia paura che non mi avessero dato terapie perché ero troppo grave”; “Avevano delle premure per non farmi affaticare. Mio figlio, che all‟epoca aveva 18 anni, mi aiutava nelle piccole cose, per esempio a lavarmi i capelli”).

2) La famiglia che risponde negativamente:

  • – distacco del coniuge;
  • – distacco di parenti ed amici;
  • – solitudine.

Durante i colloqui con il paziente emerge quello che definiamo l‟adattamento emotivo alla malattia, sia di se stessi che dei propri familiari, e i risvolti psicologici sono legati alle varie fasi della malattia:

Reazioni rispetto alla scoperta della malattia:

  • Shock: “ E‟ stato un colpo!”
  • Disorientamento e senso di irrealtà: “E‟ impossibile”
  • Paura: “Ero spaventata”
  • Negazione: “I primi tempi nascondevo a me stessa la realtà”
  • Crollo: “Mi è cascato il mondo addosso”
  • Disperazione: “La prima reazione è stata quella di voler morire”
  • – Anticipazione negativa: “Non ho mai creduto che fosse benigno”
  • – Rassegnazione: “ Non ho mai avuto una reazione di sgomento. Ero rassegnata”.

Rispetto all‟iter terapeutico:

  • Disorientamento e perdita di controllo sulla propria situazione: “Mi sentivo come una palla da biliardo”
  • Desiderio di nascondere le emozioni: “In quei giorni là io mi facevo forza, mi tenevo tutto dentro, lasciando che urlassero gli altri. Io avrei anche avuto bisogno di piangere, di sfogarmi, invece no. Io sono sempre stata una persona forte in famiglia… ho sempre dovuto esserlo!”
  • Rabbia: “Perché proprio a me? Ho solo 36 anni!”
  • Determinazione: “Ho fatto tutto quello che era possibile fare, anche qual cosina in più”.

Rispetto alle visite di controllo:

  • Paura: “All‟inizio è stata dura per i tanti controlli continui”
  • Ansia: “Un mese prima del controllo divento nervosa, agitata…”

Rispetto ai cambiamenti fisici:

  • Vergogna: “Paura che gli altri se ne accorgano”
  • Sofferenza: “Non mi sento più una donna”
  • Rabbia: “Questa non è più la mia vita, non sono più io!”.

Dobbiamo considerare la famiglia come un organismo dotato di una propria omeostasi. La reazione all‟evento da parte della famiglia risulta essere parallela al decorso della malattia nel paziente distinguendosi in tre principali fasi:

1) Shock: fase di trauma e di angoscia, incapacità momentanea di razionalizzare il problema.

2) Negazione: rifiuto di quanto sta accadendo, disperazione e sentimenti di perdita verso il proprio caro.

3) Accettazione: le difficoltà vengono affrontate e si aprono le porte ai nuovi equilibri e nuove speranze.

L’adattamento alla malattia non è uno standard, molti sono infatti i casi di disgregazione e dissoluzione familiare dovuti al cancro e dipendono anche dalla struttura familiare di partenza.

Gli effetti del cancro sul nucleo familiare cambia a seconda della struttura di quest‟ultimo:

  • Effetti sulla coppia: capacità di affrontare la malattia e condividere le proprie esperienze fino alla negazione da parte di uno dei componenti della coppia. Ciò dipende dal rapporto precedente tra i due partner.
  • Effetti sui figli: in base allo sviluppo psicologico del figlio, all‟età, alla personalità e al precedente sviluppo con i genitori gli effetti sono molteplici e diversificati. I bambini dai 3 ai 10 anni solitamente hanno reazioni di depressione, separazione, ansia e sentimenti di colpa ritenendosi in parte incolpa in parte causa della malattia. Nei bambini dai 10 ai 13 anni sono frequenti sentimenti di autoresponsabilizzazzione per tamponare le insicurezze della famiglia e rabbia per la perdita del sostegno familiare. Da 13 a 18 anni il desiderio di libertà crea sensi di colpa legati alla consapevolezza di dovervi rinunciare per sostenere la famiglia.
  • Effetti sulla famiglia nei casi di neoplasia infantile: nei genitori si rilevano marcati stati d‟ansia, depressione, colpa e impotenza. È soprattutto la madre a dover gestire una dualità di sentimenti generata dall‟idea dell‟ineluttabilità della morte del figlio e dalla necessità di sostenerlo.

di Paola Di Donato

 

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