La Psicologia Scientifica nella Selezione del Personale

Fra le prospettive fondamentali entro le quali si sono orientati gli studi di selezione del personale abbiamo:

  • La prospettiva psicometrica, di Latham (1989) e Pursell (1980), secondo la quale l’intervista è paragonabile agli altri strumenti di indagine psicologica (come i test attitudinali e i questionari di personalità), e come questi deve essere studiata nelle sue caratteristiche psicometriche di validità ed attendibilità. Secondo tale approccio l’intervista può risultare uno strumento imperfetto a causa dell’incidenza degli errori umani nelle fasi di acquisizione ed elaborazione delle informazioni. L’intervistatore deve essere quanto più possibile non partecipante nella relazione intervistatore-intervistato, in modo tale da pervenire ad una valutazione oggettiva del candidato. Negli studi che fanno riferimento a questa impostazione si cerca di tenere sotto controllo delle variabili inducendo alcuni ricercatori a strutturare delle interviste simulate di soli tre minuti, realizzando una situazione di interazione che non ha nulla a che vedere con quella realmente presente nel mondo del lavoro. L’approccio psicometrico allo studio dell’intervista, quindi, dà un particolare risalto agli aspetti di validità ed attendibilità dello strumento, ma allo stesso tempo non prende in considerazione il processo di comunicazione a due vie che si instaura tra intervistatore ed intervistato nel corso delle interviste non rigidamente strutturate, e quindi non si interessa agli aspetti relativi all’interazione sociale;
  • La prospettiva della percezione sociale, di Schein (1970) ed Herriot (1981), secondo la quale l’intervista è concepita come un incontro sociale tra due soggetti tra i quali si instaura una comunicazione a due vie, perciò può essere definita un processo di osservazione partecipante a due. Avviene una reciproca valutazione, sia da parte del selezionatore nei confronti del candidato che da parte del candidato nei confronti del selezionatore e dell’azienda per come gli è stata presentata e per come la percepisce. Infatti come l’azienda, nella figura del selezionatore deve raccogliere informazioni sul candidato, così anche quest’ultimo ha bisogno di capire in quale azienda andrà eventualmente ad inserirsi, di cosa dovrà occuparsi, e quali saranno le opportunità di crescita e sviluppo professionali (Gandolfi, 2003). Secondo Rizzi (2001) l’intervista è sempre vissuta reciprocamente in funzione di una finalità per entrambi i partecipanti, “Non è possibile sopprimere i dislivelli di potere, ma è possibile metterli tra parentesi, attivando una particolare forma di collaborazione”. L’intervista quindi non ha tanto lo scopo di giungere ad una valutazione dell’intervistato da parte dell’intervistatore, quanto l’obiettivo di stabilire un contratto psicologico tra le due parti, che tenga conto delle rispettive aspettative e del futuro scambio lavorativo che potrà realizzarsi dentro l’organizzazione. Il candidato è quindi visto come un soggetto attivo dell’interazione e non soltanto come un oggetto di valutazione. I problemi relativi alla validità e all’attendibilità dell’intervista sono dunque posti in secondo piano. Secondo questa prospettiva di ricerca il potere tra intervistatore ed intervistato deve essere distribuito in modo equo, in modo tale che entrambi i soggetti possano far valere le proprie aspettative. In realtà una situazione di questo tipo è difficile che si presenti, dal momento che il mercato del lavoro assegna un maggior potere decisionale al selezionatore. La decisione dell’intervistatore, infatti, precede quella dell’intervistato, il quale può scegliere di accettare il posto disponibile solo dopo essere stato valutato positivamente dall’organizzazione.

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