La Relazione Padre Figlio nella prima e seconda Guerra Mondiale

Benito MussoliniIl ruolo del padre nelle due guerre mondiali

Nel XX secolo i due conflitti mondiali contribuirono ulteriormente al cambiamento di fisionomia della famiglia incidendo fortemente anche sulla sua unità. Con le due guerre l’uomo lascia la casa e il lavoro per la divisa e di conseguenza per anni le donne diventano le sole artefici dell’educazione dei figli. Le donne imparano a gestire in maniera autonoma la famiglia e ad allevare i figli ; in alcuni casi vengono anche coinvolte nel mondo del lavoro e spinte a svolgere mansioni tipicamente maschili. Per lungo tempo perciò al posto di una vera e propria famiglia si avrà  una sola diade ,quella madre-bambino, che risente fortemente della mancanza di un elemento fondamentale, insieme separatore e unificante, che è quello maschile[1].

Una volta tornati a casa, i padri, reduci di guerra, devono confrontarsi quotidianamente con una realtà diversa da quella che avevano in precedenza lasciato. Sembra che la vita, una volta tornati a casa possa riprendere il suo corso, in realtà i padri ritrovano figli cresciuti esclusivamente con la madre, la quale fino a quel momento non solo ha lavorato portando reddito a casa, ma ha dovuto affrontare ogni problema da sola e ha dovuto prendere decisioni in maniera autonoma. Se a tornare invece sono i figli, cresciuti nelle trincee e nei campi di battaglia, questi non saranno più disposti a sottomettersi all’autorità paterna[2]. Il tempo libero di questi figli fu prelevato dalla famiglia privata e versato in quella pubblica.

Quindi è possibile affermare che la dittatura non aiutò i padri a recuperare autorità in famiglia ,ma piuttosto, il fascismo e il nazismo preferivano tenere i figli direttamente al loro servizio. Le qualità paterne dei due grandi dittatori Hitler e Mussolini possono riassumersi rispettivamente in due termini “rinuncia” e “assenza”. Infatti mentre Hitler dedicò la sua vita alla politica rinunciando a famiglia  e figli, Mussolini invece fu un padre molto prolifico ma totalmente assente[3]. Mussolini ebbe cinque figli legittimi , molti illegittimi e moltissime amanti. La dittatura perciò assunse le vesti del Padre Terribile che, come Crono, lasciava che i figli nascessero , ma solo per inghiottirli.

I figli della dittatura non crescevano  poiché esse li autorizzava a giudicare i genitori, ad allontanarsi da loro , a non riconoscere più l’autorità dei loro padri ,ma piuttosto a prendere da questi ultimi soltanto la parte peggiore , il ricatto della reputazione, scartandone invece il rispetto per la gradualità, l’esperienza, il progetto di elevazione culturale[4]. I dittatori finiranno per causare la propria rovina e sconfitta: essi infatti non erano affatto paterni perché guidati dall’impazienza e ingordi di vittoria, mentre il padre sappiamo essere progetto, pazienza e distribuzione delle forze nel tempo.

La fine della Seconda Guerra Mondiale rappresentò perciò la resa dei conti per il padre. I <<padri della patria>> e cioè i padri pubblici erano stati così distruttivi da portare discredito anche a quelli privati. Rispetto a quei tempi, l’assenza dei padri si è drammaticamente aggravata[5]. Nel nostro immaginario collettivo regna l’immagine del padre che toglie la vita e l’immagine pubblica dominante è quella negativa. Padre e madre infatti si differenziano anche in questo: le loro eredità, essendo soprattutto culturali , pesano anche a distanza di tempo. In Occidente infatti viene fortemente criticata e rifiutata l’immagine del padre tiranno e autoritario. Il fantasma del Padre Terribile domina quindi  l’immaginario dell’Occidente mentre nessuna fantasia corrispondente ha concepito finora un capo supremo donna come madre terribile[6].

[1] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore,Roma,2010, p. 457

[2] Ibidem

[3] Ibidem

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000

di Carlotta Sabbatini

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