Come affrontare il lutto di un animale domestico

” […] Naturalmente non c’è nulla di male nel fatto che una persona molto sola, che per qualche sua ragione personale soffre della mancanza di contatti umani, si prenda un cane per soddisfare un intimo bisogno di dare e ricevere amore.

Davvero non ci si sente più soli al mondo se c’è almeno una creatura che ci fa la festa quando torniamo a casa […] ”    Konrad Lorenz (1973)

La frase di Lorenz esprime una verità comune vissuta da chiunque abbia un animale domestico e ci permette di percepire, con semplicità, l’affetto e la fedeltà che un cane ci trasmette.

Bambini, adulti, anziani. Tutti possono assaporare queste sensazioni profonde. Ci sentiamo importanti almeno per qualcuno e quando tutto questo finisce, per la morte dell’animale, avvertiamo un senso di solitudine, di incompletezza, di vuoto.

La perdita di un animale può causare lutto complicato o problemi affettivi in individui di tutte le età.

I bambini, ai giorni d’oggi, hanno meno opportunità di incontrarsi con i loro coetanei e di giocare e passare del tempo insieme ai loro genitori, perciò, questa situazione li porterebbe a stabilire un legame speciale con il proprio animale che è sempre disponibile all’interazione e non è mai fonte di giudizio. Tale condizione potrebbe accrescere nel bambino la percezione di considerare l’animale, una sorta di migliore amico o un fratello ed è proprio per questi motivi, che la morte di un animale può rappresentare la prima loro esperienza di perdita (Sharkin e Knox, 2003).

Il dolore per la perdita può essere un fattore importante di stress e di sofferenza nel bambino, così come anche l’età in cui avviene.

Anche i bambini molto piccoli hanno la capacità di soffrire, ed il dolore in risposta alla perdita di un animale domestico può essere di  notevole intensità e  inoltre, possono avvertire tempi di lutto più lunghi rispetto ad un adulto (Jarolmen, 1998, Tozzi, 1999).

Un bambino di due o tre anni, di solito, può accogliere facilmente un sostituto dell’altro animale, cosa che permette di risolvere la perdita senza grandi problemi mentre tra i tre e i cinque, non avendo idee sul significato della morte, credono che l’animale si sia addormentato o che abbia una vita sotto terra.

La morte viene vista come qualcosa di temporaneo e rimane la speranza, nel bambino, che prima o poi tornerà a giocare col suo cane.

Dai nove anni in su, i bambini iniziano ad intuire che la morte è un evento permanente e irreversibile e ciò provoca un insieme di sentimenti di tristezza, di rabbia, di paura e di sensi di colpa. Spesso si domandano: ” Perché è morto? Non mi voleva più bene?” (Tizòn, Sforza, 2009).

Trozzi (1999) sottolineò come, a differenza degli adulti, i bambini tendano a piangere a scatti a causa della loro limitata capacità di tollerare intensamente il dolore psicologico.

Per contrastare questa sofferenza i genitori assumono un ruolo fondamentale, aiutando il piccolo, affrontando l’argomento senza paure ma con pacatezza e sincerità, parlando con parole semplici e chiare, evitando spiegazioni vaghe.

 I genitori non dovrebbero fornire spiegazioni false in merito al lutto dell’animale, come ad esempio dire che il cane ha intrapreso un viaggio lontano, perché potrebbero compromettere la fiducia tra genitore e figlio (Ross & Baron-Sorensen, 1998; Sife, 2005).

Se il bambino piange e manifesta il suo dolore, bisogna lasciargli la possibilità di buttarlo fuori e fargli capire, empaticamente, che tutto quello che lui sta provando è la stessa cosa che sta sperimentando tutta la sua famiglia e che questa reazione è normale perché tutti volevano bene all’animale.

Un ulteriore problema sorge in presenza di perdita dell’animale per eutanasia.

Ross e Baron-Sorensen (1998) hanno osservato opinioni contrastanti per quanto riguarda la presenza di un bambino durante l’eutanasia e sono giunti alla conclusione  che la decisione spetta ai genitori, i quali dovrebbero tener conto del grado di sviluppo mentale del bambino, ripensare a come hanno reagito a esperienze precedenti di perdita, comprendere le dinamiche familiari che vigono in casa e alla rete di sostegno che possono fornire e, infine, alla disponibilità, da parte del veterinario, di far assistere il bambino alla procedura.

Questo momento, oltre a creare una sofferenza importante, può essere una preziosa fonte di esperienza per apprendere concetti importanti sulla vita e sulla morte.

Secondo Levinson (1972) i bambini dovrebbero partecipare ad un falso funerale e cercare di ricostruire la morte del proprio animale nel tentativo di dominare le loro paure e di capire le loro emozioni. Non è raro vedere bambini che cercano di disotterrare il corpo dell’animale per ambire ad una comprensione della morte o, semplicemente, per soddisfare la loro curiosità di capire cosa succede al corpo dopo la morte.

Come ha evidenziato Corr (2003-2004), gli adulti dovrebbero considerare l’acquisto di un altro animale solamente dopo che il bambino abbia pianto per la perdita del cane deceduto, prima di stabilire un nuovo rapporto con un altro animale.

Tra gli adolescenti sembra aver rilevanza il sesso di appartenenza: si ritiene che le femmine mostrino più attaccamento all’animale rispetto ai maschi e provino un dolore molto più intenso rispetto ai pari dell’altro sesso (Brown, Richards e Wilson, 1996).

Nieburg e Fischer (1982) evidenziarono le diverse problematiche relative all’attaccamento dei proprietari al proprio animale, nelle diverse fasi di vita che possono contribuire a reazioni gravi di dolore.

In primo luogo, per le coppie senza figli, l’animale diventa il simbolo del bambino che non hanno mai avuto. Può capitare che alcune di queste coppie tendano a riversare sull’animale le esigenze e le paure tipiche di un bambino, sentendosi più a loro agio quando l’animale si unisce a loro ovunque vadano e ciò può interferire con le loro attività quotidiane. I due autori suggerirono che queste coppie, nel momento della perdita del loro animale, possono sperimentare lo stesso tipo di dolore legato alla separazione e risposte al dolore tipiche di un genitore che perde il proprio figlio.

In secondo luogo, le persone che vivono sole spesso si legano agli animali per scongiurare la solitudine e questo diventa qualcuno da amare e di cui prendersi cura, rispondendo con attenzione e affetto quando non c’è nessun altro a cui dare tali attenzioni.

Infine, le persone più anziane possono instaurare un legame con i loro animali domestici, facendo della cura dei propri animali lo scopo della loro vita.

Prendersi cura di un animale domestico consente al proprietario di sentirsi produttivo e di stabilire un forte legame emotivo, che, per gli anziani, è un ingrediente essenziale del rispetto di sé.

Il legame che le persone anziane formano con il loro animale da compagnia può essere più forte e più profondo di qualsiasi altra fascia di età (Carmack, 1991), poiché, di solito, affidano le loro cure proprio a questi quando sono privi di altre relazioni significative (Quackenbush, 1884).

Per molte persone anziane che vivono sole, un animale può essere la principale fonte di affetto, di intimità, di compagnia e socializzazione (Carmack,1991) per non parlare del bisogno di sentirsi utili, porgendo cure ad un altro essere vivente (Ross & Baron-Sorensen, 1998).

I proprietari di età avanzata che possiedono un animale, quindi, possono essere particolarmente vulnerabili ai sentimenti di dolore ed il processo di lutto che ne consegue, può risultare essere più complicato rispetto ad altre fasce di età poiché possono godere di un supporto sociale davvero carente (Ross & Baron-Sorensen, 1998). Inoltre, la perdita di un animale quasi sempre riporta alla mente del proprietario altre perdite pregresse che aggravano i sentimenti di tristezza e solitudine risvegliando i timori inerenti alla morte (Sharkin e Knox, 2003).

In uno studio Mugford (1981) valutò le personalità e l’adattamento sociale di 48 anziani che vivevano soli e che davano le loro cure a una pianta o a un pappagallo. Dopo 3 anni di questa convivenza, si è potuto constatare che chi aveva vissuto con il pappagallo si sentiva emotivamente, socialmente ed affettivamente meglio rispetto a chi doveva accudire una pianta, infatti avevano molti amici, molti visitatori e generalmente più collegamenti con la società.

Secondo Katcher e Friedmann (1980) la presenza di un animale da accudire, fornisce uno stimolo per il mantenimento di una routine quotidiana.

Con la morte dell’animale, però, la realtà può essere offuscata fino a ridurre i contatti sociali del soggetto e le giornate diventano apparentemente senza fine.

In uno studio sul lutto di animali nei proprietari anziani, Quackenbush (1984) notò che il 97% di questi riportarono esperienze di rottura della routine nelle loro giornate; spesso mangiavano e dormivano poco, diminuivano i contatti con gli altri e si sentivano soli.

L’animale può, inoltre, influenzare il funzionamento familiare nella comunicazione, nelle interazioni ed è naturale aspettarsi che la sua morte avrà un notevole impatto sui modelli di routine quotidiane e sul comportamento di una famiglia. Il dolore può essere vissuto nella stessa misura da tutti i membri della famiglia e ciò può creare un clima di tensione e di comunicazione alterata al suo interno. Un conflitto può anche emergere quando una famiglia deve prendere una decisione riguardo all’eutanasia del proprio animale, in quanto vi possono essere diversi sentimenti e opinioni tra i membri sul da farsi.

di Gessica Mattiacci

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