Il Concetto di Sé: Definizione in Psicologia (James, Hartmann, Jung)

Il concetto di “Sé”

William James fu il primo ad introdurre il concetto di sé. Hartmann lo concepì come il polo d’investimento della libido narcisistica in quanto contrapposto al polo oggettuale, il mondo esterno.

Il narcisismo, per Hartmann, è quindi considerato “investimento libidico non dell’Io, ma del Sé. Il concetto di Sé portò al margine gli aspetti pulsionali con i quali l’Io è correlato.

La frase di Nietzsche stabilisce una connessione fra i tratti osservabili del carattere e la soggettiva esistenza di una propria esperienza tipica, che si ripete di continuo. Il carattere ha a che fare con tipici tratti di comportamento.

Nietzsche stabilisce che i tratti abituali del comportamento, considerabili come espressione dell’organizzazione della personalità, comportano anche un’esperienza tipica. Là dove questa propria esperienza caratteristica è esperienza di se stessi, essa è il sé. Con una qualche approssimazione, possiamo pensare il Sé come l’esperienza, l’immagine, la sensazione che noi abbiamo di noi stessI.

Esperienza di sé, narcisismo e sentimento di identità personale.

Duruz. Il concetto di Sé è strettamente collegato a quello di narcisismo nel momento in cui si considera l’Io investito da una libido narcisistica (ed è questo il senso del narcisismo), esso cessa di essere oggettivo garante di adesione alla realtà. L’Io è sempre deformato e deformante nella scelta degli oggetti che crede lo appaghino; l’illusione abita le sue scelte amorose, perché amando gli altri egli ama anche se stesso nella misura in cui proietta su di essi i propri ideali narcisistici.

Noi conosciamo il mondo attorno a noi ed entriamo in contatto con esso attraverso immagini che si formano nella nostra attività psichica. Un’immagine particolare è quella che noi abbiamo di noi stessi. Tale immagine è il .

Il sé come sistema di esperienza complesso: fra relazione e auto-organizzazione

Con Io si indica abitualmente una struttura dall’apparato psichico, contrapposta a inconscio e con la funzione di mediare fra quest’ultimo e la realtà esterna. Con il termine di “Sé” si intende invece una realtà meno sostanziale e più personale, che si riferisce alla propria soggettività, così come essa è innervata dall’autostima e dagli altri aspetti del narcisismo: il Sé esprime l’esperienza che invece essa ha dell’oggetto.

Sé: insieme delle immagini della nostra personale identità, ha una natura relazionale. La percezione che noi abbiamo di noi stessi dipende in larga misura da come siamo stati a nostra volta percepiti e dalle figure con cui siamo identificati nella nostra storia.

Il Sé è conoscibile soltanto entro l’esperienza della relazione con l’altro.

In Jung il Sé è concepito come la totalità delle esperienze psichiche, ma una totalità che rappresenta anche il movente organizzatore profondo, endogeno del formarsi della personalità, di cui il momento cosciente è solo un aspetto. Viene considerato un processo di auto-organizzazione che tende ad una realizzazione del Sé, cioè di un’immagine di totalità psichica che trascende e utilizza l’Io cosciente e le sue esperienze. Anche se le immagini archetipiche di origine interiore assumeranno contenuti nel processo relazionale dell’esistenza. Alla nostra immagine di noi stessi partecipano largamente tensioni, motivazioni e momenti organizzatori a provenienza interiore.

Winnicott fornisce questa definizione di Sé: “si potrebbe dire che il Sé centrale è una potenzialità ereditata di sentire una continuità dell’esistenza e di acquisire a modo proprio e con proprio ritmo una realtà psichica e uno schema corporeo personali”.

L’idea di un’esperienza che si continui dal corpo alle rappresentazioni mentali; contiene l’idea di un disegno innato e dunque solo parzialmente debitore all’ambiente, e che semmai deve usare la relazione per poter arrivare ad esprimersi.

La concezione di Winnicott, che affianca al concetto di integrazione del Sé quello di continuità del Sè, mi pare anche particolarmente adatta a pensare il trauma psichico come interruzione di una continuità del proprio esistere.

Il Sé come entità insieme più ampia e più ristretta del soggetto: qualche riflessione epistemologica

La coscienza (intesa come consapevolezza di un mondo di oggetti attorno a noi) e la coscienza di Sé sono concetti separati, e che la seconda compare molto più tardi nello sviluppo psichico. La coscienza degli oggetti cioè sembra immediata, mentre uno coscienza d sé include una certa presa di distanze, che permette di “conoscere il fatto che oltre all’oggetto conosciuto esistono altre due istanze: in primo luogo che esiste un soggetto che sta conoscendo, in secondo luogo che esiste una immagine (interiore) dell’oggetto, la quale non coincide con l’oggetto reale”

Confondere il Sé con l’autocoscienza, significa in pratica riportarlo ai confini dell’io, ridurlo ad una parte del funzionamento psichico. Sensazioni di esistere precedono quelle di essere consapevoli di esistere, cioè quelle sensazioni di un proprio esistere. Il Sé agisce nella sua complessità reale e non in quella di cui diventiamo via via consapevoli.

Secondo Jung sono le immagini del Sé che, organizzandosi, istituiscono la coscienza. Se definiamo il Sé come insieme di esperienze che una persona ha di se stessa, dobbiamo prendere confidenza con il fatto che il Sé non coincide evolutivamente con la autocoscienza.

La dinamica dell’appoggio di Gillièron prevede che le relazioni interpersonali vengono impostate in modalità funzionali al mantenimento dell’equilibrio e dell’organizzazione della personalità.

Se ci collochiamo dal punto di vista del Sé dobbiamo parlare di sentimento, di sensazione, di sogno, di pensiero della soggettività e non di soggettività. Se invece ci poniamo dal punto di vista di un osservatore esterno, possiamo parlare di soggettività o di soggetto.

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