Medicina delle migrazioni: Pregiudizio, patologie riscontrate, statistiche

2.1. Le patologie riscontrabili

Verso la fine degli anni ‘80 si comincia a parlare di Medicina delle migrazioni, e subito si evoca il rischio dell’importazione di malattie. Eventi di questo genere occorsero drammaticamente in passato, più spesso veicolati ad opera degli Europei, come avvenne durante la conquista dell’America quando vaiolo, morbillo, parotite, tifo, febbre tifoide, difterite, scarlattina e non ultima ma non meno devastante, l’influenza, fecero strage delle popolazioni indie21. Analogo fenomeno si ebbe con la scoperta della Hawaii da parte di William Cook nel 1778: accolto come una divinità, egli non introdusse solamente capre e semi di meloni e cipolle, ma anche i germi della sifilide, gonorrea, tubercolosi, seguiti successivamente da tifo e vaiolo, che sterminarono quasi totalmente la popolazione nativa65. Attualmente, però, i viaggi internazionali e intercontinentali per lavoro e turismo sono il maggior veicolo per potenziali diffusioni di malattie infettive, e non i movimenti migratori, come dimostrano i casi della SARS (Severe Acute Respiratory Sindrome, sindrome respiratoria acuta), e dell’influenza aviaria. Ma il pregiudizio che gli immigrati siano portatori di malattie infettive è fortemente diffuso. Infatti, quasi il 60% del personale sociosanitario che opera tra di essi ritiene che le malattie più frequenti che li colpiscono siano da ascrivere al gruppo delle malattie infettive39. Però, a dispetto delle convinzioni correnti, in generale l’immigrato (particolarmente se spinto da motivazioni economiche) è in buone condizioni di salute, per autoselezione. Parte infatti chi è più coraggioso e motivato e chi ha più chance di riuscire (quindi chi è più sano e in buone condizioni) e chi può sostenere le spese di viaggio. In buona sostanza, parte chi può dare prospettive per la buona riuscita di un investimento: in linguaggio economico, chi dà ragionevoli garanzie che il capitale investito possa fruttare21. Naturalmente, queste condizioni non si applicano a chi è costretto a fuggire per mettersi in salvo da persecuzioni o a guerre.

L’interesse per le malattie dalle quali lo straniero può essere affetto è di antica data: le prime riflessioni in merito si trovano nella Dissertatio Medica, un’opera del 1668, nella quale il medico svizzero Johannes Hofer descrive per la prima volta una particolare malattia riscontrabile tra i soldati mercenari svizzeri (ricercatissimi!), lo Heimweh (da heim, casa, e weh, dolore). Hofer la descrive come “malattia così spesso mortale … il nome tedesco indica “il dolore di coloro che si trovano lontano dalla patria, e che temono di non vedere più la terra natale. Dai Francesi essa è stata chiamata Mal du pays (malattia della patria) e poiché essa non ha alcun nome in latino così ho pensato di chiamarla, dal greco, nostalgia, da nòstos, il ritorno in patria, e àlgos, dolore e sofferenza” 21.

Ma quali sono in realtà i problemi sanitari che affliggono maggiormente i migranti? Le patologie più frequentemente diagnosticate dai medici sono a carico delle alte vie dell’apparato respiratorio (in particolare nei mesi invernali, per malattie acute da raffreddamento contratte in abitazioni non riscaldate e sovraffollate), dell’apparato digerente (disturbi digestivi ricorrenti, gastropatie, disturbi della motilità intestinale, da alimentazione inadeguata), dell’apparato osteomuscolare (patologie ortopediche varie, come traumatologia leggera, artropatie da postura scorretta, infiammazioni o lesioni muscolari)21. Vi è un alto rischio infortunistico sopratutto sul lavoro ed un alto ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza14. Si riscontrano poi patologie dermatologiche, da alta promiscuità abitativa e carenze igienico-sociali, ma spesso anche senza base eziologica organica ( il cosiddetto prurito sine materia, ovvero con lesioni cutanee assenti o aspecifiche)20 e altri disturbi mal definiti, anche per difficoltà comunicative di tipo linguistico. In questi disturbi perciò giocano un ruolo importante le condizioni abitative, l’alimentazione inadeguata e le carenze igieniche: in sostanza, le malattie da cui sono colpiti sono per la stragrande maggioranza contratte in Italia! Anche qui è opportuno ricordare che problemi molto simili si ebbero in Italia nel corso delle migrazioni interne dal sud al nord 50-60 anni fa.21

E’ stato osservato che le persone provenienti dall’Est asiatico lamentano prevalentemente disturbi a carico del sistema digerente o della sfera sessuale. Gli Africani soffrono in gran numero di dolori muscolari e articolari: essi sono facilmente spiegabili con le prevalenti attività di muratori e raccoglitori di prodotti agricoli nei campi, nelle serre e nei frutteti, ma possono anche essere interpretati come una forma di resistenza all’idea di identificarsi con una macchina produttiva.40 Spesso però nei migranti si sviluppano vere e proprie malattie fisiche con reali alterazioni anatomopatologiche, come infarto ed ulcera gastrica, nella cui eziopatogenesi le componenti psicologiche giocano notoriamente un ruolo molto importante, possibilmente segni di una sofferenza emotiva che non trova altri mezzi per essere comunicata, segni di depressioni rinviate: “la sofferenza del corpo comunica un dolore che non trova espressione attraverso emozioni pensabili e comunicabili”32. Si entra nel campo delle somatizzazioni (dal greco sòma, corpo), termine ambiguo e sfuggente con il quale si indica “la proiezione di un conflitto psichico inconscio nella sfera somatica con manifestazioni specialmente a carico dell’apparato respiratorio, gastrointestinale e cardiocircolatorio”39,40, tali anche da indurre ad intraprendere trattamenti medici specifici. E anche nei trattamenti medici si osserva una diversa risposta40. In proposito, è molto interessante l’osservazione degli psichiatri americani che le popolazioni della prima generazione di migranti dimostrano una migliore risposta sanitaria in diverse situazioni di salute26.

Tra i vari studi in merito condotti in Italia possiamo menzionare quelli effettuati in passato dalla Caritas di Roma. Dai dati relativi ai pazienti visitati per la prima nel 1998 risultava una prevalenza (termine medico che indica la proporzione di un “evento” presente in una popolazione in un dato momento) delle somatizzazioni che andava dal 5.35% tra i Peruviani al 19,25% tra i Rumeni. Un’altra ricerca condotta tra il 2001 e il 2002 riportava una prevalenza notevolmente più elevata, del 38.87%. Nel complesso sia osservava un’incidenza maggiore nei Latino-americani, seguiti dagli Africani e dagli Asiatici. Il rischio risultava maggiore per le donne, le persone coniugate o quelle deluse nelle loro aspettative migratorie14. Un recentissimo studio epidemiologico effettuato nel primo semestre del 2014 a Torino su 566 rifugiati di numerose etnie e paesi ha fatto emergere dati importanti. Intanto, “il 30% dei profughi ha subito torture nei paesi di provenienza, con uno stato di sofferenza psicologica che spesso degenera nella depressione o in patologie di natura psichica; l’11% denuncia dolori osteoarticolari, il 9% infezioni delle alte vie aeree, il 9.9% malesseri e dolori diffusi spesso non legati a una diagnosi precisa, l’8% problemi dentari anche gravi, 1l 7% affezioni dermatologiche varie. Vi sono poi altre malattie infettive come casi di tubercolosi polmonare, e infine tumori, diabete, cardiopatie, ipertensione, malattie oculistiche o dell’orecchio63.

Ma i migranti non sono tutti gli stessi, e i loro vissuti sono molto diversi, per le esperienze precedenti, le situazioni sociali, le loro risorse, e la sistemazione in ambienti che possono essere più o meno accoglienti. Ogni migrante ha le sue caratteristiche peculiari nell’interazione con l’ambiente. Sarà utile perciò esaminare più dettagliatamente gruppi (o sottopopolazioni) di migranti che necessitano di specifica attenzione, come i bambini, le generazioni successive e le donne.

di Filippo Macrì

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