Le Cause della Criminalità Minorile

Molto si è scritto e discusso e tuttora si scrive e si discute sui fattori della criminalità. E’ un problema centrale, non solo dal punto di vista teorico ma anche pratico, poiché da esso dovrebbe dipendere la soluzione del problema della lotta contro la criminalità: conoscendo i fattori criminogeni si potranno, infatti, studiare i rimedi per prevenire e/o attenuare gli effetti.

Il termine “prevenzione” fa riferimento sia all’insieme delle misure che possono contribuire alla riduzione di fenomeni criminali dal punto di vista del loro oggettivo verificarsi, sia a quelle misure che incidono direttamente non sugli eventi oggettivi, ma sulle percezioni e sulle rappresentazioni dei cittadini. Come è noto, la definizione di azioni di prevenzione è riservata, in alcuni Paesi ed in particolare in Gran Bretagna, soltanto al primo tipo di misura e quindi la prevenzione è intesa come prevenzione degli eventi criminosi o delle inciviltà. Verrà invece qui privilegiato un concetto ampio di azioni di prevenzione, in grado quindi di comprendere anche misure che possono non presentare alcuna efficacia nella riduzione dei tassi di criminalità , ma che possono contribuire a ridurre le percezioni soggettive di insicurezza.

Quando tali azioni si presentano continuative, coordinate, inserite in un discorso politico e istituzionale più ampio, esse danno corpo a quello che si intende per politiche di sicurezza sociale. Inoltre si farà riferimento alle azioni di prevenzione che possono essere promosse dal sistema delle autonomie locali e precisamente dalle città capoluogo: una delimitazione che circoscrive alquanto il quadro delle misure possibili sul piano teorico. Le riflessioni sulle cause che hanno generato i recenti episodi di cronaca che hanno come attori soggetti minorenni trovano aderenza in una ampia sequenza di studi prodotti nel tempo da vari filoni scientifici di diverso orientamento metodologico.

In generale, ciò che gli operatori del settore notano, relativamente alle realtà operative istituzionali e non, è la presenza di un fenomeno mutevole nel tempo e nello spazio, dominato da sensazioni di impotenza, come se ci si trovasse davanti una forma di “aggressività predatoria” .

Questa particolare cornice ha indotto i Paesi industrializzati ad orientare le politiche legislative verso soluzioni che talvolta sono risultate incompatibili fra loro, oppure hanno generato “frizioni” normative.

Una prima elaborazione è stata quella di innovare i sistemi di risposta e di intervento, con l’obiettivo ambizioso di superare l’inefficace livello punitivo-detentivo e assistenzialerieducativo, attraverso l’introduzione di norme che hanno consentito progettazioni e sperimentazioni tendenti all’attivazione responsabilizzante dei minori lontano da costrizioni istituzionali, ma promuovendo lo sviluppo di abilità e competenze socializzanti entro reti operative di controllo/monitoraggio.

Una seconda soluzione è stata applicata su scala europea e sperimentata in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia ed ha proposto una concezione più rigida della responsabilizzazione del minore con l’utilizzo della forma detentiva per i casi di recidiva o particolarmente difficili. In particolare, si è optato per una idea di “adultizzazione” precoce della risposta penale, corredata da “punizioni” a rigidità crescente in relazione alla problematicità dei casi. Una terza via, che si può definire “sperimentale”, si è proposta parallelamente e non in alternativa alle altre due, ma come ricerca di nuovi approcci e nuove politiche sociali di prevenzione della devianza. In realtà, non conoscendo la natura di un evento o fenomeno indesiderato, ci si è catapultati troppo spesso in forme di prevenzione o inutilmente troppo generiche o dannosamente troppo specifiche perché concentrate su dimensioni particolari, riduttive, con l’inevitabile “crescita” di effetti collaterali perversi.

Queste disfunzioni più volte si sono verificate nella storia dei progetti e delle politiche di prevenzione della criminalità e della devianza minorile. Negli ultimi decenni, una serie di studi e ricerche ha evidenziato che la devianza “non è solo un fenomeno/problema polidimensionale, pluricomponenziale, ma presenta una natura psicosociale complessa, circolare, processuale”.In altri termini, questo significa che i fattori di rischio non hanno carattere né di linearità, né di unidirezionalità, ma sono interattivi e agiscono attraverso forme di reciprocità circolari che si modificano non solo in relazione ai diversi contesti di azione e ai sistemi di appartenenza, ma anche in relazione al tempo. In particolare, negli ultimi anni lo studio psicosociale della devianza, si è arricchito di interessanti contributi scientifici per le politiche di prevenzione. In tal senso, appare particolarmente adatto quell’approccio che esprime la complessità del fenomeno con il modello dell’interazione reciproca triadica, che prende in considerazione le interazioni triadiche reciproche tra personalità, comportamento e ambiente.

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