La Storia dell’Alcolismo in Psicologia

alcolismo psicologia

Il termine alcol indica alcuni composti organici; l’alcol usato come disinfettante, come solvente industriale e quello presente nel vino e nella birra, tutti hanno la medesima sostanza chimica anche se in dose diverse, un composto organico chiamato alcol etilico o etanolo, la cui formula chimica è CH3-CH2-OH. In generale inoltre le bevande alcoliche si distinguono in due grandi gruppi: i fermentati, sono bevande prodotte dalla fermentazione alcolica, un processo consistente nella trasformazione in alcol degli zuccheri dell’uva, di altri frutti e dei cereali, non possono avere una gradazione superiore a 16°, i principali alcolici fermentati sono il vino, la birra, il sidro e l’idromele (antenato di tutte le bevande alcoliche, dato da una miscela di fermentazione di acqua e miele); e i distillati, dati proprio dal processo di distillazione, che consiste nel far bollire un liquido e nel raffreddare e condensare i vapori  che si sono creati allo scopo di aumentare il loro grado alcolico, sono di solito distinti in acquaviti o superalcolici (con gradazione che varia dai 40° ai 50°) e liquori o digestivi (con gradazione che varia dai 15° ai 60°)[1].

La Storia dell’Alcolismo

L’alcolismo è un fenomeno molto complesso nella realtà italiana in cui viviamo, esso rappresenta sia un aspetto culturale cardine del nostro paese sia un aspetto negativo nella sua classificazione di dipendenza patologica, delinearne quindi un profilo chiaro è molto difficile.

Le scoperte archeologiche indicano che già 3.000 anni prima di Cristo l’uomo produceva bevande alcoliche tramite processi di fermentazione. La birra è sicuramente antecedente al vino, in quanto l’uomo conobbe  i cereali prima dell’uva. Le più antiche tracce di vita alcolica si riscontrano nel Caucaso e nelle regioni Asiatiche vicine, le antiche Turkestana e Armenia dove si sono documentate le prime coltivazioni intenzionali. Gli indigeni del Nuovo Mondo conoscevano le bevande alcoliche: nelle regioni del Rio si lasciavano fermentare foglie e cereali, in Messico gli Aztechi bevevano l’octili, derivato dal lattice di agave. Per gli Egizi era stato Osiride ad insegnare a ricavare una bevanda dall’orzo. Infine nella mitologia greca il Dio Dionisio insegnò ai Greci a fare il vino, i culti da lui indicati erano grandi feste popolari, che a Roma e presso i Romani presero il nome di Baccanali[2]. Questi ultimi erano i cosiddetti “riti di Bacco”, culti introdotti a Roma nel II secolo a.C., organizzati in associazioni segrete ben organizzate dirette da capi e fornite di propri sacerdoti. In generale comunque si trattava di feste scatenate dove ogni controllo razionale era abbandonato all’alcol e qualsiasi fatto era lecito e giustificato come atti di violenza fisica fino anche ad omicidi. I nobili fedeli di Bacco erano chiamati e costituirono per un periodo un problema per il Senato romano preoccupato per timore politico[3].

Nonostante negli anni passati il bere ha avuto una forte connotazione positiva, anche se al tempo dei Romani e Greci furono presi seri provvedimenti per contrastare i problemi derivanti dall’uso di alcol, infatti nel V secolo a.C. Platone, descrivendo il suo stato ideale, da alcune indicazioni, autorizzazioni e limiti per il consumo di alcol: uso autorizzato ma moderato fino ai trent’anni e senza limiti dopo i quaranta, gli schiavi possono bere solo acqua, come anche uomini e donne che intendono procreare; in Grecia l’eccesso di alcolici e l’ubriacatezza non era da uomo saggio, come anche una parlantina eccessiva o una conversazione troppo noiosa, bere con moderazione era invece considerato elegante[4].

Indagare attualmente le cause di questo fenomeno non è di facile portata, in quanto nel nostro Paese, a livello socioculturale, il bere è un abitudine di compagnia se non ricchezza per alcune regioni e città; mentre per alcuni aspetti  il bere rappresenta un problema per molti che hanno sviluppato una dipendenza da esso.

L’alcologia è la disciplina complessa che tenta in qualche modo di definire il perimetro all’interno del quale si prova a dare spiegazioni alla base del problema alcol, è una disciplina che abbraccia la medicina, la psicologia, la sociologia, la legge, le scienze economiche e commerciali.

Bere vino o altre bevande alcoliche è un’ abitudine alimentare di molti Paesi, tra i quali l’Italia. La nostra cultura infatti considera una virtù e segno di buona salute  sopportare bene l’alcol ; l’astemio è considerato meno forte, meno virile di chi beve. Bere è un comportamento normale per molti, un identificazione ad un modello sociale, mentre l’astemio è colui  che è fuori dalla norma, è colui che crea meraviglia e stupore[5].

L’alcol  è, insieme al tabacco, una delle prime sostanze con cui un individuo viene a contatto: se si pensa agli adolescenti, in particolare dei tempi odierni, il consumo di bevande alcoliche è per loro routinario, i ragazzi rispetto alle ragazze, sembrano avere un iniziazione precoce, senza nessun tipo di vincolo familiare, in quanto per esempio bere vino o birra è considerato normale durante i pasti. L’età critica dove può avvenire il passo verso l’eccesso è considerata dai 35 ai 50 anni, per poi decrescere passivamente.

In Italia inoltre, si sono diversificati con il tempo gli stili, i tipi di bevande e specializzati i locali: l’alcol è considerata la bevanda della compagnia e del buon umore.

Premesso ciò, per molti italiani è difficile accettare che l’alcol possa causare dipendenza o malattia, invece che euforia, allegria e compagnia, soprattutto per la facilità della portata: al massimo l’opinione pubblica riconosce con una minima percentuale la dipendenza da alcol, soprattutto perché esso è legale, lo si trova facilmente e si trova in secondo piano rispetto alla droga. Gli interessi che ruotano intorno alla produzione e alla commercializzazione di vini, birre e liquori, sono tali da impedire realmente quanta distruzione fisica e morale crei l’alcol , questo conduce ad un’ assenza di presa di coscienza. Il bere è portato al centro dell’attenzione nelle occasioni sociali o ricorrenze particolari o festività, esso rappresenta per molti l’anello che congiunge e che porta tutti allo stesso livello.

La cultura di un Paese e le abitudini alcoliche sono strettamente  intrecciate tra di loro, tanto che la posizione culturale nei confronti dell’alcol possono essere denominate “wet”, bagnate, e “dry”, asciutte: mentre le prime sono legate e compatibili con la cultura, ed è il caso dell’Italia, le seconde sono invece quelle culture dove il bere è slegato dalle abitudini comuni[6].

Ma se da una parte l’economia e la cultura induce il nostro immaginario e la nostra personalità ad avvicinarci all’alcol, dall’altra la medicina, la psichiatria e la psicologia ci insegnano, o meglio ci mostrano gli aspetti più negativi che abbracciano maggiormente il significato di alcolismo e alcolista: aspetti drammatici e patologici, pericolosi per la salute. Le credenze popolari, che derivano solo in minima parte dalle realtà,  e la cultura creano un immaginario attraverso il quale il gruppo si identifica, ed il bere è il mezzo attraverso il quale ci si sottrae dalla vita di tutti i giorni, per dirigersi verso un’altra vita, dove non si sentono le strettoie del vivere quotidiano, né impressioni tristi e sgradevoli di ogni tipo, dove invece sia possibile accedere alla gioia, alla felicità, sia pure momentaneamente, all’oblio[7].

Ad ogni beneficio ricercato però ne corrisponde uno dannoso, che passa attraverso l’abuso: dal benessere all’astenia, dalla facilità di ingestione all’ulcera, dall’esaltazione della sessualità all’ impotenza e frigidità, dalla socievolezza all’isolamento, e così via.

di Eleonora Caponetti

[1] E.Sorini, I.Ronchi, (a cura di), Alcol 100domande 100risposte, Centro Studi e Documentazione sui Problemi Alcol correlati-APCAT, Litografia Tecnolito, Trento, 2001.

[2] Ibidem

[3] Ibidem

[4] Ibidem

[5] S.Rossi, L’alcol ista. Un nostalgico alla ricerca di identità, Guerini Studio, Milano, 2000.

[6] R.Room, Salute e società, FrancoAngeli, Milano, 2010.

[7] S.Rossi, L’Alcol ista. Un nostalgico alla ricerca di identità, Guerini Studio, Milano, 2000.

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