Psicologia del Bambino: la Reazione Negativa alla Separazione dei Genitori

Con la disgregazione familiare, il bambino perde l’unico punto di riferimento a lui disponibile, il “noi contenitore” rappresentato dai genitori. Tale perdita determina una frattura, un’insicurezza che provoca “un primitivo senso d’instabilità dove è difficile, o impossibile, trovare consolazione o rassicurazione” (Bogliolo, Bacherini, 2010).

La prima fascia d’età potrebbe sembrare la più critica per fa fronte a un evento similare. Difatti, il bambino in età prescolare non possiede le capacità linguistiche necessarie per esprimere ciò che prova, per riportare a qualcuno il suo disagio, confrontandolo. Inoltre i suoi modelli di pensiero sono carenti e naturalmente non gli permettono di capire cosa sta accadendo in torno a lui e per quali motivazioni. Nelle particolari condizioni di elevata conflittualità il bambino si ritrova totalmente in balia di un’esperienza dalla quale ciò che trae è solo dolore e sofferenza. L’unica cosa che egli può compiere è attivare dei sintomi, atti a richiamare l’attenzione dei genitori ed elaborare tale angoscia. Generalmente i bambini più piccoli mettono in atto comportamenti di tipo regressivo quali distacco emotivo, rifiuto del gioco, irritabilità, pianto irrefrenabile, perdita del controllo sfinterico e balbuzie (Bogliolo, Bacherini, 2010; Petruccelli, 2000).

Già Ackerman nel 1968 aveva delineato tre modi in cui un bambino tenta di sottrarsi a un ambiente frustrante e minaccioso. L’autore riporta che il piccolo potrebbe esternare il disagio “aggredendo la famiglia” cercando di obbligarla ad appagare i suoi bisogni attraverso “comportamenti aggressivi” e “forme psicotiche”. Altresì potrebbe evitare o interrompere le interazioni con la famiglia, ma conseguentemente attivare una preoccupazione “eccessiva per il proprio sé e per il proprio corpo”. Infine potrebbe reagire con una “produzione eccessiva di ansia, interiorizzando il conflitto e sviluppare una struttura psicopatologica”.

Crescendo, il bambino diventa sempre più abile a interpretare il mondo dei grandi, ma non lo è abbastanza da evitare attribuzioni errate. Dopo la separazione e il conseguente abbandono del tetto coniugale da parte di un genitore, nel minore dominano manifestazioni di timore, ansia, angoscia e paura di essere abbandonati e rimanere soli. Una paura intollerabile nata da un gesto, per lui, ingiustificabile. Frequentemente i bambini producono fantasie distruttive, disordini alimentari, ossessività e il meccanismo di difesa spesso riscontrato è la negazione (Bogliolo, Bacherini, 2010; Petruccelli, 2000).

Proprio in linea con l’incapacità del bambino di comprendere le motivazioni di ciò che accade intorno a lui, può avvenire che egli ne attribuisca la causa a se stesso e che cerchi di modificare il corso degli eventi attraverso il pensiero magico onnipotente. Secondo Winnicott (1965) “per sfuggire alla realtà interna, il bambino manipola la realtà esterna attraverso un controllo onnipotente”. Cioè producendo fantasie su di essa: sentendosi in colpa per la rottura dei suoi genitori, egli cercherebbe di “aggiustare” la realtà mettendo in atto buone azioni o rinunce per le quali i genitori dovrebbero riconciliarsi. Il senso di colpa originato da questa esperienza può avere effetti negativi anche gravi, portando il bambino a sviluppare un disturbo della personalità.

Tra gli effetti immediati delle situazioni con alta conflittualità il disturbo più preoccupante che può svilupparsi nel bambino è la depressione. Essa si manifesta quasi come nell’adulto, il soggetto è invaso da un senso generico di malinconia, presenta insonnia, un calo degli interessi, dell’appetito ecc, e proprio come nei più grandi, può capitare che nei casi più gravi, i pensieri tristi e la percezione di non poter essere aiutati da nessuno, inducano a tentare il suicidio.

Un altro fattore che influisce lo stato d’animo del bambino è la scuola. Essa comporta il confronto con altre famiglie, con il quale il bambino scopre altre realtà, che tutti chiamano “normali”. Il minore quindi paragona il proprio rapporto con i suoi genitori e quello che possiedono i suoi compagni di scuola, rendendosi presto conto che la sua famiglia rientra nella “diversità”. Tale dogma sociale, purtroppo suscita nel bambino sentimenti di vergogna e di sfiducia in se stesso, i quali a loro volta provocano una bassa autostima e un’incapacità di lavorare insieme agli altri. Wallerstein e Kelly (1980), in conferma di ciò, evidenziano come questi bambini richiedano alle loro insegnanti un maggiore contatto fisico, forse proprio per il bisogno di sentirsi sostenuti e protetti.

di Chiara Bartoletti

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