Come Elaborare il Lutto

 

Valutare come, nel nostro tempo, malato, famiglia e comunità, si confrontano col tema della morte e chiedersi come si sviluppa il processo del morire e come viene vissuto è importante, in quanto la modalità e la qualità del morire hanno conseguenze su tutti i protagonisti coinvolti nell’evento drammatico, in particolare sui familiari e sul malato, sia nel tempo della malattia che nel tempo del lutto (Morelli, G., 2011).

Freud scriveva, nel 1915, che l’uomo solitamente si concentra sulla causa accidentale della morte, come per esempio un incidente, una malattia o un’infezione, dando prova così della sua tendenza a trasformare la morte da fatto necessario a fatto casuale, e che questo modo di concepire la morte ha delle conseguenze sulla propria vita: essa si impoverisce, diviene poco interessante, vuota ed insipida come un flirt americano, in cui si stabilisce fin da principio che nulla può accadere (Freud, S., 1989). Se la morte nel pensiero collettivo, è un errore, un evento casuale, un accidente che rimanda al nulla e che getta un ombra di non senso sulla vita, l’unica salvezza consiste nella sua negazione e rimozione per non finire nel buio del nichilismo, una condizione esistenziale caratterizzata da un senso di sprofondamento e di vuoto in cui l’unica realtà possibile diventa la morte (Camus, A., 1942).

Il confronto e il dialogo tra i diversi protagonisti del dramma (malati, familiari e operatori), allora, su ciò che nella mente dell’uomo non ha senso, diventa assurdo ed equivale al nulla. Questa negazione e questo rifiuto della morte riecheggiano nelle frasi dei pazienti e dei loro familiari come: cosa ho fatto di male per meritare questo; com’ è possibile che ancora oggi…; non riesco a capire era stato sempre bene…,che testimoniano come l’evento della morte ci trovi impreparati e sorpresi. Ai pazienti e alle loro famiglie che pronunciano queste frasi, si dovrebbe spiegare che la malattia e la morte sono eventi naturali, che fanno parte del ciclo della vita, che possono essere oggetto di dialogo che può e deve coinvolgere anche i più piccoli (Morelli, G., 2011).

Per il nostro inconscio non è possibile immaginare la morte, la fine reale della nostra vita sulla terra, e anche se pensiamo che questa deve necessariamente terminare attribuiamo la causa della sua fine a qualcun altro, a un evento maligno esterno.

Come afferma Elisabeth Kubler Ross (1976), nel nostro inconscio noi possiamo solo essere uccisi, e non morire di una causa naturale o di vecchiaia (Kubler Ross, E., 1976). Ritengo esaustiva la frase di Geoffrey Gorer (1965), nel riassumere come la società occidentale odierna abbia trasformato il naturale fenomeno della morte in un tabù del quale non si deve quasi più parlare: Parlare di morte fa ridere, d’un riso forzato ed osceno. Parlare di sesso non provoca più nemmeno questa reazione: il sesso è legale, solo la morte è pornografica (Gorer, G., 1965). La morte e tutto ciò che la riguarda, soprattutto il deperimento del corpo, è divenuta innominabile in quanto vergognosa, ripugnante e dunque soggetta a censura. Gorer (1965) usa  il termine di Pornography of death per mostrare come il tabù della morte abbia soppiantato quello del sesso. Nel periodo in cui era quest’ultimo il tabù principale, la morte non era innominabile. Durante il ventesimo secolo, invece, tutto ciò che la riguarda è divenuto di pessimo gusto, quasi disgustoso tanto quanto lo era un tempo parlare di sesso; ed è aumentato invece l’interesse per la morte violenta, stimolato anche dai più diffusi mezzi di comunicazione che tendono a conferire alla morte un segno di imprevedibilità enfatizzandone gli aspetti violenti e cancellandone così il valore naturale (Gorer, G., 1965). Anche secondo Philippe Aries (1975) la società occidentale odierna ha bandito l’evento della morte come evento naturale tanto che le persone vivono come se non si dovesse più morire. Il mondo odierno occidentale, specie quello urbanizzato, tende ad evitare al morente e ai familiari il disagio emotivo intollerabile che causa il morire. È un mondo in cui domina la menzogna, in cui non si può parlare della morte, soprattutto a coloro i quali ad essa si approssimano, in quanto, secondo lo stereotipo vigente o secondo il pensiero magico, parlarne significherebbe anticipare l’arrivo della morte o scatenare un peggioramento nel paziente (Aries, P., 1975).

La nostra è una società che sta invecchiando e con l’aumento della durata media della vita e con il cambiamento degli stili di vita, le patologie cronico-degenerative hanno sostituito le malattie infettive tipiche del secolo precedente. Michel Vovelle (1983) fa notare come ai giorni nostri si muore maggiormente per patologie cardiovascolari, cerebrovascolari e traumi, e come si sia formata una nuova gerarchia delle paure dove al vertice si trova quella di contrarre il cancro. La moderna medicina occidentale ha diffuso aspettative quasi onnipotenti nei confronti di quella che spesso è chiamata la lotta alla malattia grave e alla morte e anche il linguaggio dei mass media è quasi sempre costituito da termini che ricordano una battaglia, una guerra che va combattuta e vinta in tutti i modi (Cazzaniga, E., 2002).

Il nostro è il tempo della crisi dell’evento della morte, soprattutto come evento significativo, degno di un suo senso. Perché un’esperienza sia vivibile e accettabile, soprattutto da un punto di vista psicologico, è necessario che essa porti con se un significato condivisibile e comunicabile (Morelli, G., 2011). Una delle possibilità di placare l’impatto destabilizzante della morte nel gruppo sociale è stata la celebrazione del rito ovvero il pianto rituale collettivo, che porta un gruppo di persone a raccogliersi intorno al defunto, per condividere il dolore dell’evento parcellizzandolo tra gli individui. La trasformazione del lutto in un fatto societario condiviso da più persone ha fatto si che l’angoscia di morte potesse trovare un contenitore ed essere così superata, o quanto meno alleviata. Il rito funebre concede di convivere con l’idea della morte e risolve l’angoscia causata dalla separazione (Di Mola, G., 2002). Nel corso dei secoli, i cambiamenti avvenuti nel nostro tessuto sociale che riguardano i processi di laicizzazione dei rituali e i processi di individualizzazione, hanno causato un indebolimento della funzione del rito ed hanno creato una società che impone sempre più autocontrollo, dove si tende a non far trasparire le emozioni. Solitamente ai bambini, per esempio, viene impedito di assistere alla vista di un morente o di partecipare a un funerale nella convinzione di proteggerli da un dolore troppo grande e incomprensibile per la loro tenera età (Aries, P., 1977). Elias (1982) sostiene che il pericolo per i bambini, non consiste nel venire a conoscenza di una potenziale interruzione della vita di ognuno, ma consiste nel come si parla e ciò che si dice loro della morte, senza comunicare i sentimenti di angoscia e ansia che ne evoca l’evento (Elias, N., 1985). Il tabù della morte non si spiega quindi col silenzio o con l’assenza di manifestazioni, ma si esplicita nel cambiamento delle forme del rito (Vovelle, M., 1983). Con il crescente attenuarsi della coscienza religiosa e della credenza nell’aldilà, i rituali intorno alla morte hanno perduto la loro importanza e sono stati repressi. I sistemi religiosi ultraterreni sono stati sostituiti da nuove forme di fede e nuovi sistemi di credenza: l’uomo  ha cominciato a credere sempre meno nell’ausilio di numi tutelari, ad affidarsi sempre meno alle pratiche ed ai riti di magia, per confidare sempre di più in sé stesso, nella forza della propria ragione e della propria volontà (Carotenuto, A., 1977). I rituali ai giorni nostri si sono modificati e sono poco o per nulla praticati, e la funzione simbolica di contenimento dell’angoscia che veniva svolta dal rito, può avvenire solo per iniziativa del singolo individuo costretto a trovare le modalità proprie di elaborazione del lutto (Parkes, C.M., 1980). Campione (1988) scrive: Oggi si muore così: non perché non si sappia, ma perché non si sa parlare; e spiega che il linguaggio che emerge da ciò che noi proviamo in base all’espressione dei nostri sentimenti è stato dimenticato e non lo si ascolta più: l’uomo non è più capace di esprimere spontaneamente e senza pudori i suoi pensieri e i suoi sentimenti e allora tace (Campione, F., 1988). L’uomo di oggi è imbarazzato quando deve affrontare temi che riguardano il morire, non sa più cosa dire e come comportarsi, in quei momenti gli viene a mancare tutto quello che servirebbe per aiutare l’individuo a morire: Hai con te quasi soltanto le cose utili per la vita di tutti i giorni, la vita confortevole, la vita per se sola (Celine, L.F., 1932).

Riassumendo, i principali fattori sociali che riguardano l’aumento della vita media, gli sviluppi della medicina, l’influenza dei mass media, il tabù della morte e la laicizzazione dei rituali funebri influenzano inevitabilmente il modo di vivere la perdita e il lutto. Il terrore e il rifiuto di tutto ciò che ha a che fare con la morte spesso si esprime anche come rifiuto del lutto (Cazzaniga, E., 2002).

 

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