Come funziona la Macchina della Verità?

 

Il poligrafo, comunemente conosciuto come “macchina della verità”, è uno strumento che misura e registra il cambiamento delle attività del sistema nervoso autonomo mentre il soggetto è chiamato a rispondere a una serie di domande. Nell’uso tipico, per rilevare le risposte fisiologiche si applicano al soggetto quattro sensori: una cintura pneumatica attorno al petto e allo stomaco per misurare i cambiamenti nella profondità e nel ritmo della respirazione, un manicotto al braccio per registrare l’attività cardiaca e il quarto sensore è costituito da elettrodi metallici applicati alle dita, che rilevano i minimi cambiamenti della traspirazione. Attraverso il confronto dei tracciati ottenuti da tali sensori si cerca di evidenziare le diverse reazioni e discriminare così eventuali risposte false.
Molti dei concetti sopra esposti a proposito degli indizi comportamentali di falso possono essere associati anche alla scoperta della menzogna sulla base di dati empirici, in quanto la maggior parte delle precauzioni e dei pericoli risulta essere la stessa (Neuburger & Gulotta, 1996). L’utilizzo del poligrafo è molto diffuso e in aumento nei Paesi anglosassoni: secondo recenti stime, si supera negli Stati Uniti il milione di esami l’anno (Ekman, 2011). La maggior parte di questi viene eseguita nella selezione di candidati per l’impiego in aziende private, nelle indagini sulla criminalità interna e nel quadro dei procedimenti per le promozioni dei dipendenti: si calcola infatti che il 25% delle più importanti società americane si servano della macchina della verità per integrare e valutare il proprio organico (Likken, 1984). Dopo le aziende, l’uso più frequente si incontra nell’ambito dell’attività investigativa giudiziaria dove non è usato solo con gli indiziati di delitti, ma anche con i testimoni e le vittime qualora le loro dichiarazioni risultino poco coerenti.
Questo strumento messo a punto negli Stati Uniti da Larson nel 1921, sulla base di ricerche condotte da Lombroso e Benussi a fine Ottocento, non rivela direttamente il falso. Per scoprire la menzogna è necessario che l’esaminatore confronti l’attività fisiologica del soggetto registrata dal poligrafo in risposta a una domanda cruciale con la reazione ad altre domande di tipo neutro non riguardanti il problema in esame.

Se il poligrafo segnala una risposta neurovegetativa maggiore alla prima domanda rispetto alle altre allora si sospetta che il soggetto a quella domanda abbia mentito. L’esattezza di tale strumento, come di qualunque altra tecnica per l’individuazione delle menzogne, dipende dal tipo di menzogna, dal suo autore e da chi è chiamato a smascherarla. Quando si usa il poligrafo come rivelatore delle menzogne, l’esattezza dei risultati dipende anche dalla particolare tecnica d’interrogatorio utilizzata, dall’abilità dell’esaminatore nel preparare il questionario e dal modo di leggere i tracciati (Ekman, 2011).

Control Question Test (CQT) e Guilty Knowledge Technique (GKT)

Le tecniche di interrogatorio utilizzate sono essenzialmente due: il test della domanda di controllo (Control Question Test) e il test della conoscenza colpevole (Guilty Knowledge Technique) (Saxe, Dougherty, & Cross, 1985).
La prima, usata soprattutto nelle indagini di polizia, prevede che al soggetto interrogato vengano poste non solo domande rilevanti, cioè direttamente connesse al crimine indagato, ma anche domande di controllo. Sostenitore di tale tecnica è David Raskin (1982) che descrive la CQT come una “procedura ingannevole” in quanto prevede che l’esaminatore ponga al soggetto domande di controllo tali da spingerlo a mentire; ad esempio se si trattasse di un caso di furto si potrà chiedere “durante i primi diciotto anni della sua vita ha mai preso qualcosa che non le apparteneva?”. È molto probabile che la maggior parte delle persone che dovrebbe rispondere affermativamente, a causa dell’imbarazzo che provocherebbe una tale ammissione, risponda di no e quindi dichiari il falso. L’ipotesi alla base di questo test prevede che il soggetto sincero e innocente manifesti una reazione fisiologica più forte alle domande di controllo piuttosto che alle domande rilevanti, mentre il soggetto menzognero reagisca in modo più vistoso alle domande pertinenti perché sono queste che rappresentano per lui una minaccia più grave ed immediata. Gran parte della controversia su questa tecnica nasce dal disaccordo su ciò che esattamente queste domande possono controllare e fino a che punto (Ekman, 1988) e dagli errori in cui la macchina può incorrere quando, ad esempio, si tratti di soggetti che non hanno fiducia nella polizia ritenendola sleale, che credano nella fallibilità dello strumento, che abbiano paura o sensi di colpa, che siano innocenti ma molto sensibili al fatto in questione (Neuburger & Gulotta, 1996).

La tecnica della conoscenza colpevole (GKT) sembra ridurre questi tipi di errori, ma per poterla usare, l’investigatore deve essere al corrente di certi particolari del delitto che solo il colpevole può conoscere. Quest’ultimo presupposto limita molto l’utilizzo di tale procedura in quanto le informazioni riguardanti il delitto possono aver ricevuto una pubblicità tale che chiunque altro risulta essere al corrente dei fatti. Tale tecnica infatti si basa su una differenza psicologica importante esistente fra il colpevole di un delitto e un sospettato innocente: solo il reale colpevole è stato sulla scena e sa precisamente che cos’è successo, quindi solo la sua mente contiene immagini dell’evento che non sono accessibili all’innocente. Questa conoscenza porterà il colpevole a riconoscere persone, oggetti ed eventi associati al delitto che lo stimoleranno e provocheranno in lui un’attivazione emotiva (Lykken, 1984). Proiettando quindi varie immagini associate o meno al delitto su uno schermo di fronte all’ indiziato e registrando le conseguenti reazioni fisiologiche mediante opportuni sensori, si potrà osservare che davanti a tutte le immagini l’innocente non svilupperà alcuna reazione, mentre il colpevole per il quale alcune immagini sono tutt’ altro che banali, invierà ai sensori un segnale di reazione emotiva.

Un rapporto dell’OTA (Office of Technology Assessment) del1983, frutto di una rassegna critica di tutto il materiale esistente, ha trovato che entrambi i metodi di interrogatorio sono esposti a errori: la tecnica delle domande di controllo produce più falsi positivi (sospettare di un innocente), la prova della conoscenza colpevole più falsi negativi (non scoprire il colpevole). Recentemente John Allen (2005) ha proposto una nuova tecnica chiamata Brain Fingerprinting, cioè “impronte digitali del cervello”. Partendo dalla GKT, l’autore ha sviluppato nuovi e più raffinati sensori elettro-encefalografici, in grado di registrare e analizzare istante per istante, via computer, l’ attività di specifiche regioni cerebrali andando così ad incidere notevolmente sul numero dei falsi positivi e a migliorare il numero di falsi negativi. Oggi, la tecnica è stata sufficientemente affinata da poter affrontare l’esame della comunità internazionale degli psicologi e dei neurobiologi. Il professor Allen in un’intervista afferma che: «dopo una lunga calibrazione della tecnica su compiti banali come ricordare delle parole prima presentate e mentire su richiesta esplicita riguardo alle parole già viste, i miei ultimi esperimenti sono stati eseguiti su scene di crimini virtuali, con soggetti che immaginavano di essere colpevoli e immaginavano di dover mentire.

Nel caso delle parole, la tecnica rivelava il 95% delle menzogne ed era rarissimo registrare un segnale per le risposte vere, a differenza del vecchio poligrafo. Cioè un innocente passerebbe il test quasi al 100%.

Negli scenari di crimini virtuali la stessa tecnica rivela una percentuale sempre alta di rivelazione delle menzogne, ma non così alta come per le parole. E non sappiamo ancora quale sarebbe la percentuale per le menzogne di veri criminali in casi di veri crimini. Inoltre, ovviamente, un vero colpevole, che avesse poca memoria dei dettagli della scena del delitto, passerebbe il test. Quindi c’ è ancora strada da fare, prima di un’applicazione giudiziaria, ma i risultati sono molto promettenti » (Piattelli Palmarini, 2005). Nonostante il poligrafo sia un’invenzione che ha rivoluzionato il modo di condurre le indagini sia nella vita reale, sia in quella cinematografica, a livello mondiale viene di rado utilizzato in ambito giuridico forense.

di Denise Isabella

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