Psicologia del Suicidio

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Il suicidio è l’atto di togliersi la vita volontariamente. In questo capitolo verrà spiegato che cos’è il suicidio, qual è il suo percorso storico e verranno analizzate le teorie dei principali studiosi del suicidio, dal punto di vista psicologico, sociologico e psichiatrico.

Il suicidio è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un problema complesso che non può essere attribuito a una sola causa o a un motivo preciso. Piuttosto, deriva da una interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali e ambientali.

Il suicidio, per quanto riguarda la salute pubblica, è un grave problema che potrebbe essere prevenuto; costituisce la causa di circa un milione di morti ogni anno con costi stimabili in milioni di euro secondo quanto indicato dall’OMS1.
Si potrebbe definire come quel comportamento, generalmente cosciente, che è orientato verso l’autodistruzione – attraverso l’azione o l’omissione – della propria persona, anche se è difficile accertare l’intento e se la persona conosca o meno il motivo del comportamento suicida.

Il comportamento suicida è composto da: gesti suicidi, tentativo di suicidio e suicidio portato a termine. I gesti suicidi sono piani e azioni suicide che apparentemente risulterebbero di scarsa riuscita; hanno un valore prevalentemente comunicativo e non dovrebbero mai essere sottovalutati, in quanto sono richieste liberazione, l’intenzione deliberata e ragionata di morire e un comportamento autodistruttivo fatale.

Dal punto di vista psicologico, il suicidio si interpreta come estrema richiesta d’aiuto, ma anche come espressione di un bisogno, altrimenti inappagabile, di sopprimere una sofferenza, un disagio, che il soggetto non riesce a soddisfare. In realtà, il desiderio reale sarebbe quello di affermare l’ideale di una vita libera da una sofferenza che si è rivelata ingestibile e insostenibile per colui che ne soffre5.

Il suicidio è un’azione che implica un rapporto profondo e conflittuale con la vita. Al giorno d’oggi il timore è rivolto oltre alla probabilità di una morte prematura, alla prospettiva di una vita portata avanti irrazionalmente, svuotata di senso e priva della fondamentale libertà di concluderla nel tempo e nel modo desiderato6.

Albert Camus nel “Mito di Sisifo” scrive: […] molti muoiono perché reputano che la vita non valga la pena di essere vissuta, e ne vedo altri che si fanno paradossalmente uccidere per le idee o le illusioni che costituiscono per loro una ragione di vivere (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire). […] Non si è mai trattato del suicidio che come di un fenomeno sociale; viceversa, qui si tratta, per cominciare, del rapporto fra il pensiero individuale e il suicidio. Un gesto come questo si prepara nel silenzio del cuore, allo stesso modo che una grande opera. L’uomo stesso lo ignora; ma, una sera, si spara o si annega. […] La società non c’entra gran che in questi inizi; ma il verme si trova nel cuore dell’uomo, dove appunto bisogna cercarlo. Questo gioco
mortale, che conduce dalla lucidità di fronte all’esistenza all’evasione fuori della luce, deve essere seguito e compreso. Le cause di un suicidio sono molte e, in linea generale, le più appariscenti non sono state le più efficaci.

Raramente – ma tuttavia l’ipotesi non è esclusa – ci si uccide per riflessione. Ciò che scatena la crisi è quasi sempre incontrollabile. Ma se è difficile fissare l’istante preciso, il sottile processo per cui lo spirito ha puntato sulla morte, è più facile trarre dal gesto le conseguenze che questo presuppone.

Uccidersi, in un certo senso e come nel melodramma, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa. […] E’ confessare soltanto che «non vale la pena». Vivere, naturalmente, non è mai facile. Si continua a fare i gesti che l’esistenza comanda, per molte ragioni, la prima delle quali è l’abitudine. Morire volontariamente presuppone che si sia riconosciuto, anche istintivamente, il carattere inconsistente di tale abitudine, la mancanza di ogni profonda ragione di vivere, l’indole insensata di questa quotidiana agitazione e l’inutilità della sofferenza.

Articolo di Ilaria Congiu

ilaria congiu

 

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