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Psicologia del terrorismo

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Il terrorismo dell’IS spaventa tutto il mondo, in quanto intende creare un Califfato e lancia la sfida a tutto l’occidente tramite un utilizzo mediatico di violenza usata a fini propagandistici. L’esecuzione del giornalista americano James
Foley ne è un chiaro esempio. Il filmato, trasmesso da numerose emittenti televisive internazionali, è stato censurato per evitare ripercussioni a livello della popolazione.

Sull’adozione di tale censura Robert Fisk denota che la denuncia da parte dei leader occidentali, invece di stroncare il terrore e la paura, li alimentano, tramite l’utilizzo di un linguaggio apocalittico.
Le parole sono fondamentali come le immagini, in quanto è tramite le parole che si creano delle immagini che poi si stabilizzano nella nostra psiche spaventandola in modo più subdolo di una fotografia.

Le forme di propaganda attuate con il fine di spaventare e terrorizzare tentano di convincere gli individui a schierarsi, cosa che accade in ogni situazione in cui si trovano due blocchi in opposizione o in contrasto.

La storia insegna, ad esempio con le propagande e i comizi nazisti, che una ricerca studiata delle parole può avere un’influenza notevole su un individuo. Quest’ultimo, inizialmente spaventato, non riuscendo più ad elaborare adeguati meccanismi di difesa, viene sottomesso dal terrore. Per questo motivo i gruppi terroristici, utilizzano strategie di terrore mirate a convincere l’individuo di non avere mezzi per opporsi e di conseguenza riuscire a dominarli.

Ad oggi lo Stato Islamico è ritenuto la principale minaccia per il genere umano, ed è per questo che si dovrebbe tendere a dare informazioni chiare e complete, non apocalittiche, così da sollecitare negli individui un processo di mentalizzazione e non di paura. Purtroppo questo tipo di informazione diretta a spiegare in maniera completa le cose come stanno realmente, scarseggia, soprattutto in Italia.

Ad esempio in pochi sanno che lo Stato Islamico, seppur ricco, non è molto potente militarmente, come dimostrato dalle battaglie vinte dal PKK e dai Pashmerga.

Perché invece di diffondere solo incertezza e paura non si punta semplicemente a spiegare le cose come vanno realmente? Così come non tutti sono a conoscenza che esiste una regione nel Kurdistan siriano o Kurdistan Occidentale, il Rojava, nella quale già da tempo ormai vige una democrazia dal basso di stampo socialista, che da molto si oppone all’IS.

È proprio grazie alla presenza di queste fazioni se l’IS non ha ancora trionfato. Per poter affrontare a livello psicologico la paura, è necessario che i media informino la popolazione in modo neutro, favorendo la conoscenza e non l’incertezza, altrimenti si passa facilmente dalla paura al terrore.

In questo modo ci si sente come un paziente che, andando da un medico per capire se ha un cancro o meno, riceve come risposta solo che il cancro è presente ed è mortale. In questo modo il paziente cadrà in uno stato di terrore. Dunque quello che dovrà fare il medico sarà informare il paziente se il cancro esiste e qualora esistesse, la sua portata, quindi quanto è esteso, quanto è forte e cosa si può fare per contrastarlo.

Allo stesso modo, secondo la psicologa Collevecchio, devono comportarsi i media quando parlano dell’IS: informando sì della follia e del pericolo, ma anche di tutte le forze che lo contrastano. Se ciò tuttavia non accade, è
perché, conclude Collevecchio, «forse per i media nostrani è più comodo fare unicamente propaganda filo americana, misconoscendo che ci sono forze in campo che lottano per un tipo di democrazia non imperialista, non capitalista e dal basso».

di Alessio Lamanna

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