Come fare un Colloquio Psicologico di cui essere fiero

colloquio psicologico

IL COLLOQUIO

Il colloquio è lo strumento privilegiato di raccolta dei dati, loro organizzazione e di intervento in quasi tutti gli ambiti della Psicologia. Nonostante gli ambiti applicativi siano diversi, (scolastico, giudiziario, clinico, lavorativo nella selezione del personale),  è comunque possibile evidenziare un aspetto comune: l’interazione tra due individui. Quello che invece varia, rispetto all’applicazione pratica, è la finalità del colloquio ed il raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia non  possiamo limitarci a concepirlo come un semplice scambio di informazioni. Infatti a rendere il colloquio uno strumento efficiente e funzionale contribuiscono: il contesto specifico entro il quale questo avviene, il carattere dell’intenzionalità che ne definisce il contenuto e caratterizza lo scambio dell’interazione, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e le dinamiche del potere che si esplicano tra gli individui coinvolti. Per la Concezione psicometrica: contano i contenuti

Concezione clinica: conta come il soggetto dice un qualcosa, i suoi atteggiamenti, la dinamica fra gli interlocutori. “il colloquio segna, in sintesi, il passaggio dalla psicologia applicata, quale negazione della professione psicologica, all’intervento psicologico quale integrazione tra ricerca e professione” (Trentini).

IL COLLOQUIO CLINICO

Un colloquio clinico è un incontro tra una persona che soffre e cerca aiuto e un’altra che si suppone in grado di fornire aiuto e cui è richiesto qualcosa di più del semplice ascolto(MacKinnon e Tudosky, 1986). l’Interazione è finalizzata al conseguimento di un obiettivo: la valutazione dello stato mentale del paziente. Il colloquio clinico è anche una tecnica di osservazione e di studio del comportamento umano che ha lo scopo di comprendere, con la ricerca e la valutazione diagnostica, e aiutare, con l’orientamento e la terapia, il paziente, quindi gli scopi sono: raccogliere le informazionimotivare ed informare il soggetto coinvolto, al fine di attuare un determinato cambiamento. Possiamo considerare la diade intervistatore-intervistato, caratterizzata da aspetti delle dinamiche interpersonali che stanno alla base della personalità. Il colloquio come un momento di influenza reciproca di due soggetti coinvolti, si può infatti entrare in contatto col mondo del paziente, sviluppare una comprensione empatica della situazione affettiva dei suoi sentimenti ed emozioni. In psicologia clinica il colloquio non coincide con la consultazione essendo solo uno degli strumenti oltre ai questionari e ai test psicologici. La caratteristica principale del colloquio clinico è quella dello studio del comportamento globale del paziente all’interno di una relazione. Il colloquio infatti, permette una conoscenza diretta dello stile utilizzato dalla persona nel mettersi in contatto con un altro. Per tale motivo il colloquio deve essere essenzialmente aperto, ovvero senza domande prestabilite che impediscano all’esaminando di strutturare liberamente il colloquio a modo suo. Anche il clinico fa parte del campo e inevitabilmente influenzerà in qualche misura i fenomeni che osserva. C’è sempre, nel colloquio, una formulazione di ipotesi mentre si osserva e si conduce, che via via vengono modificate o arricchite in funzione di rivelazioni successive da parte del paziente. Quindi il clinico dovrebbe simultaneamente osservare, pensare e immaginare.  Su tutto questo esercita una forte influenza il paradigma di riferimento del clinico in quanto determina il tipo di informazione che si ricerca e quella che si ottiene e influenza il grado di strutturazione del colloquio.

Presupposti teorici

La teoria del colloquio clinico moderno è sta influenzata da

Tradizione Medica: dalla medicina viene la concezione che vede l’uomo sofferente psichicamente come un paziente che ha una malattia, le cui manifestazioni vengono chiamate sintomi. L’obiettivo diventa quello di riconoscere la patologia attraverso una diagnosi e di curarla con una adeguata terapia

La psicologia della Gestalt: ha messo in luce come l’osservatore sia elemento partecipe della situazione e non separabile dall’insieme poiché , che è sempre influenzato dalla sua presenza.

Il Comportamentismo: ha dato valore all’osservazione e alla valutazione del comportamento manifesto, sia verbale che nn verabale.

Gli studi sulla Comunicazione:hanno spostato l’accento sul mondo delle relazioni interpersonali, sottolineando l’importanza del contesto.

La Psicoanalisi: il clinico e il paziente sono diventati due esseri umani che provano sentimenti consci e inconsci e che stimolano reazioni emotive nell’altro, comunicando attraverso di esse.

Colloquio diagnosi e valutazione clinica

Limitarsi a catalogare i sintomi, affibbiando una etichetta psichiatrica significa ignorare che la malattia del paziente si inscrive entro la complessità costituita da aspetti ereditari, fisici, psichici, relazioni affettive, familiari e sociali che agiscono a vari livelli. È per questo che nel colloquio parliamo di valutazione clinica o psicologica definita come il processo con cui si perviene alla comprensione dal paziente nel senso non solo di descrivere i sintomi (DSM IV) di una patologia, ma anche la struttura e la dinamica della personalità del paziente, le sue risorse, le sue debolezze, il significato che ha la sua malattia per lui e per chi gli sta intorno, le aspettative il sostegno e le difficoltà incontrate nell’ambiente familiare, sociale, lavorativo e altro ancora. Il colloquio si delinea come il più importante e completo strumento della valutazione clinica, l’unico che permetta di cogliere la complessità del paziente all’interno di una prospettiva nuova e significativa: la relazione umana con il clinico. È quindi necessario che questo rapporto sia sostenuto da un senso di fiducia e di collaborazione, perché conta non tanto cogliere dati completi sulla malattia e la vita del paziente, conta cogliere i suoi comportamenti durante l’incontro e che sono rivelatori di sé, è per questo che il clinico non si ferma al contenuto esplicito delle risposte, ma fa appello alla sua capacità di ascolto e di osservazione oltre che alla consapevolezza delle emozioni evocate in lui dall’incontro col paziente. Un elemento fondamentale durante il colloquio clinico è la costruzione di un’Alleanza Diagnostica cioè un rapporto emotivo particolare che si instaura tra clinico e paziente nel corso della consultazione e implica la capacità di trovare uno o più oggetti comuni di lavoro. Il colloquio va al di là della semplice dimensione dell’ascolto, è necessario che si giunga a vedere le cose dal punto di vista del paziente attraverso un Atteggiamento Empatico. Nel corso del colloquio è fondamentale indagare oltre il Funzionamento Emotivo del paziente (qualità e intensità degli affetti, meccanismi difensivi predominanti, eventi stressanti che hanno provocato la crisi, il tipo di relazione  e interazione instaurata col clinico, le ansietà rispetto al futuro e al contesto sociofamiliare, il livello di tolleranza della patologia, la difficoltà di dover chiedere aiuto/senso di impotenza), anche il Funzionamento Mentale: livello di consapevolezza della patologia, orientamento, attenzione e concentrazione, memoria, capacità di concettualizzazione e astrazione  (pensare simbolicamente e generalizzare spesso carenti negli psicotici) capacità di giudizio, processi di pensiero ed eventuali disturbi. Per quel che riguarda l’Anamnesi  secondo Shapiro,89 deve essere di tipo Associativa cioè si deve organizzare da sé senza stabilire una direzione, essa per tale motivo è diversa da quella tradizionale basata su domanda-risposta. Il colloquio è allora una co-costruzione di significato, basato su identificazioni reciproche, attribuzioni di senso.

La caratterizzazione conoscitiva del colloquio avvia un processo di Assessment s’intende un’ampia valutazione iniziale che uno psicologo clinico svolge in rapporto alla possibile presa in carico di un paziente, al fine di decidere un aiuto psicologico o una psicoterapia o un reindirizzo del paziente verso interventi che paiono più appropriati alle esigenze del caso. Ci sono però degli elementi e delle fasi  senza la quale un colloquio non potrebbe esistere.

  • I presupposti: cioè il colloquio è reso possibile da uno specifico contesto motivazionale, nel quale esiste una richiesta di aiuto, esiste un professionista con una competenza tecnica, esistono delle aspettative circa la possibilità di ricevere aiuto.
  • Fase dei preliminari: il colloquio prende avvio con alcuni convenevoli come ad esempio la presentazione, qualche parola di circostanza ecc..
  • Apertura: il colloquio si apre sempre con una domanda di rito che è: “qual è il problema? Per quale motivo è qui?”
  • Specificazione del problema: si tratta di ottenere un’ampia e precisa descrizione del problema lamentato attualmente dal soggetto.
  • Analisi delle variabili: i comportamenti problematici del paziente sono seguiti da conseguenze di ordine interno, familiare, sociale, lavorativo.
  • Allargamento: si tratta di indirizzare le domande ai problemi attuali che vanno oltre il motivo della richiesta di un
  • Storia dei problemi: cioè ricostruzione puntigliosa del primo insorgere dei problemi. L’obiettivo è formulare ipotesi che spieghino perché e come si sia sviluppato ciascun disturbo e perché si sia mantenuto fino al momento presente.
  • Storia personale: questa parte del colloquio mette tra parentesi gli elementi problematici e patologici che caratterizzano la storia clinica e cerca di ripercorrere la storia personale del paziente.
  • Aspettative di trattamento: cioè ciò che il paziente si aspetta da questo percorso; ma bisogna analizzare bene anche le sue resistenze al cambiamento.
  • Ipotesi di trattamento: questa parte finale è volta alla precisazione di obiettivi di trattamento possibili e realistici sia per il breve sia per il lungo periodo.
  • formulazione conclusiva e chiusura: lo psicologo richiama il filo logico dei colloqui svolti e dà ampie informazioni sui risultati principali di tutte le analisi effettuate. Prospetta poi la propria “formulazione” del caso, esponendo una ricostruzione molto generale dei principali meccanismi che possono aver dato origine ai problemi in esame. Infine, invita il paziente a considerare vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni di trattamento. Il momento del saluto è delicato, nella testa del paziente si affollano idee, domande, sentimenti di colpa o di insufficienza (sua o nostra); egli pensa di averci fornito un’immagine insoddisfacente, ma non è il momento per darne un’altra, se cerca di farlo va interrotto. Gli ultimi minuti del colloquio sono importanti perché ci permettono di osservare come il paziente vive le esperienze di separazione.

 

Il colloquio secondo Gabbard deve riguardare l’analisi di 3 aree:

  1. L’Io: comprendere come sono integrate le funzioni, questo lo si può comprendere dal suo linguaggio, il suo stile, dagli aspetti non verbali, dalle emozioni. Un indice importante è saggiare la capacità di tollerare l’angoscia e dunque la capacità di integrare le parti conflittuali di sé e della realtà. Fondamentale è poi capire la capacità del soggetto di differenziare sé dal non sé (esame di realtà), questo è rivelabile ad es. dalle operazioni difensive che il paziente utilizza. Si esplorano anche le parti sane del paziente, cioè quelle risorse interiori positive orientate alla cooperazione e all’aiuto Più forte è l’io tanto più in grado di convivere con le proprie pulsioni ed emozioni, scoprire queste parti è importante per capire verso quali risorse il soggetto indirizza la propria azione , per cui occorre indagare sulle capacità, gli interessi, i talenti e le potenzialità del sog.
  2. Le Relazioni Oggettuali: l’analisi delle parti sane fornisce informazioni anche sulle relazioni oggettuali interiorizzati, perché le risorse positive vengono fatte risalire al rapporto madre-bambino. È importante conoscere le relazioni con i membri della famiglia di cui fa parte.
  3. 3. Le Caratteristiche Del Sé:occorre valutare la coesione, la continuità e i confini del sé, a tal fine si osserva il grado di autostima, il senso del sé corporeo, il senso di identità.

Per raggiungere tali obiettivi oltre al colloquio può essere utile utilizzare strumenti diagnostici diversi, come test di efficienza intellettiva(WAIS, Stanford-Binet), test proiettivi(Rorschach, TAT), scale sintomatologiche, test di personalità(MMPI), interviste. Può essere utile raccogliere informazioni anche da interlocutori diversi dal pz, soprattutto in alcune situazioni specifiche: con bambini e adolescenti, con gli psicotici in cui non c’è consapevolezza di malattia o che si trovano in fase delirante, con pz con disturbo organico, con pz che presentano gravi disturbi della personalità egosintonici, con pz che potrebbero essere pericolosi per se stessi e per gli altri, quando è necessario raccogliere informazioni riguardanti il periodo prenatale o i primi anni di vita. Il colloquio rispetto ai test ha dei limiti in termini di validità e attendibilità.

Il colloquio e le difese

Misure di sicurezza usate dal paziente sono:

  1. l’evasione: il soggetto tenta di mantenere il colloquio sul piano della semplice conversazione, eludendo i contenuti rilevanti ai fini dello stesso e focalizzando la conversazione su elementi neutri.

2.la seduzione: è un particolare modo(atteggiamento/comportamento) che il soggetto adotta per fornire le informazioni richieste. Esercita una inequivocabile seduzione, sia pure sottile, sull’esaminatore, mirata ad ottenere il suo consenso ed ad averlo dalla sua parte con un giudizio favorevole.

3.l’aggressione: può essere manifestata esplicitamente oppure indirettamente attraverso l’attacco generale nei confronti del colloquio oppure della psicologia (in generale). Con tale difesa si vogliono mettere in discussione sia il colloquio in quanto tale, sia il ruolo del conduttore. Il caso limite è rappresentato dal silenzio.

Per quanto riguarda le risposte che il conduttore può dare a tali difese, si evidenziano:

1.seduzione collusiva: il conduttore può colludere in due diversi modi. Può assumere un atteggiamento intellettuale e razionale per mantenersi distaccato dalla situazione emotiva del colloquio. In alternativa, può mantenere un atteggiamento di conferma rispetto a quello del candidato, per dimostrare che il bravo in questo caso è il conduttore ed il cattivo, l’esaminato.

2.evasione collusiva: l’esaminatore adotta un atteggiamento di imbarazzo ansioso, ed il messaggio che rimanda è quello di intenso turbamento. In questo modo il soggetto sa che l’esaminatore è imbarazzato nell’ascoltare ciò che lui stesso dice.

3.aggressione collusiva: l’esaminatore adotta una presa di superiorità rispetto al soggetto

Colloquio E Terapia

Quando il colloquio è destinato alla presa in carico del paziente ai fini di un trattamento psicologico, l’operatore, oltre alla valutazione clinica, verificherà le reali motivazioni della persona e delle sue capacità di insight, cioè di comprensione ed elaborazioni degli elementi significativi emersi durante la conversazione. Riformulazioni o interpretazioni di prova possono esser utili a cogliere questi aspetti. È importante anche che fra paziente e terapeuta si definisca uno specifico contratto ovvero un accordo sulla sede, l’orario, la frequenza degli incontri e sull’onorario. Tuttavia anche nei colloqui che hanno solo scopo diagnostico si deve motivare il paziente al cambiamento, operando un primo intervento sul piano terapeutico,  in molti casi è il clinico stesso ad essere il futuro terapeuta. La relazione che si istaura può comportare una diminuzione della sofferenza emotiva perché il paziente si sente ascoltato, capito e quindi non più solo. L ’elemento terapeutico quindi nei colloqui clinici è sempre presente anche quando non c’è un contratto ne il clinico si sia posto come psicoterapeuta.

Teoria e tecnica del Colloquio

Il Contesto: Premesso che comunicazione e comportamento possono essere intesi come sinonimi così che non solo le parole ma anche i fatti non verbali, il linguaggio del corpo e il contesto in cui avviene la relazione sono fonti di comunicazione. Poiché non è possibile non avere un comportamento, non è possibile non comunicare. Il Contesto assume grande importanza in tal senso. Questo potrà essere più o meno facilitante e influenzerà il colloquio stesso. Non solo ogni comunicazione entrarà in un “contesto interpersonale” che influenzerà l’interazione successiva. Da qui possiamo dire che una situazione ambientale confusa, ostile, che non garantisce riservatezza oppure atteggiamento del clinico distratto e superiore, ambiguo, manipolatorio comprometteranno l’esito del colloquio. Alla luce dell’influenza del contesto appaiono importanti le modalità con le quali è stato inviato il paziente, da solo, convinto dai parenti, ha seguito i consigli di un collega, come è stato fissato l’appuntamento, dall’interessato o da un familiare?Anche le informazioni che abbiamo ottenuto sul soggetto come sono state raccolte?parente, amico, collega, dall’interessato stesso. Inoltre è bene sempre chiarire al soggetto il nostro ruolo professionale e il contesto in cui lavoriamo. Risulta poi importante riuscire a comprendere in quale tipo di ruolo veniamo collocati e in che ruolo a sua volta si colloca il paziente, possiamo rappresentare infatti un giudice severo, un terapeuta onnipotente, un autorità scientifica,un amico e in base a questi ruoli che ci attribuisce il paziente assumerà ruoli improntati alla diffidenza, alla supplica,alla sottomissione, alla collaborazione ecc..

Il Set/Setting

È la cornice in cui avviene l’incontro fra il clinico e il paziente. Per la maggior parte dei clinici ad orientamento psicoanalitico è importante operare all’interno di una cornice fissa, senza ambiguità, che deve essere mantenuta e difesa dall’esaminatore, ogni eventuale cambiamento deve essere considerato una variabile da sottoporre a osservazione. Il setting è costituito da condizioni materiali (Set) e dall’atteggiamento dell’esaminatore, il suo modello, la sua formazione (Setting). Alcuni degli elementi del setting sono: il luogo nel quale avviene l’incontro (stanza confortevole e isolata per garantire riservatezza, l’intera gestalt non deve ostentare ricchezza ma comunicare accoglienza), la porta (chiusa, rappresenta il confine fuori dal quale il paziente non direbbe quello che sta dicendo dentro a noi)il telefono(staccato,rappresenta invasione del mondo esterno, deve sentire che in quel momento siamo li per lui) poltroncine comode(posizione rilassata), scrivania (per prendere appunti altri preferiscono evitarla),tempo (almeno 45 minuti, minimo per fare sentire il paziente ascoltato),pagamento (clinico comunica costo a fine intervento e il paziente paga a lui o segretaria, significati: la cifra non deve essere ne inaccessibile e nemmeno esigua da svalutare il nostro intervento, ma adeguata, importante è anche che l’aspetto fiscale sia impeccabile e questo incide sulla correttezza e la fiducia che il paziente ripone in noi, in ambito pubblico il mancato pagamento, o il pagamento indiretto può indurre il paziente a svalutare l’intervento del clinico considerandolo dovuto e il clinico a sua volta sarà tentato di dedicarsi con minore responsabilità al paziente in quanto pagato ugualmente). Anche l’atteggiamento del clinico è importante, l’abbigliamento, pettinatura, atteggiamento corporeo ed espressione mimica, a questo proposito sono da evitare gli estremismi. Prendere appunti:dipende dalla personalità e dalla formazione del clinico in linea di massima non crea disagi al paziente ma è sempre bene chiedere dicendo che questo aiuterà a ricordare meglio. Il setting terapeutico come importante nella misura in cui permette l’holding cioè riproduce l’antica esperienza delle cure materne appagando i bisogni più semplici. Una cornice precisa e stabile consente di contenere e alleviare le ansie.

La comunicazione verbale

Le parole:esprimono il contenuti, e ci informano sulla natura della relazione

Linguaggio usato durante il colloquio: quello del paziente così che la comunicazione venga capita e condivisa dall’altro.

-Linguaggio tecnico: non dovremmo utilizzarlo con i pazienti, meglio linguaggio di uso corrente. Il tipo di il –Lessico e stile espositivo del paziente :rivelano  la sua cultura e la sua intelligenza.

Contenuti:primo momento si lascia il paziente libero di parlare, poi aspetti biografici con domande mirate a colmare lacune o a chiarire elementi emersi che riteniamo importanti: gli antecedenti personali fisiologici e psicosociali (infanzia, scolarità, lavoro); la famiglia d’origine (componenti); la famiglia attuale (coniuge, figli); stato di salute (malattie, abitudini di vita); la pregenitalità, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti orali (appetito alimentare e affettivo, bisogni, dipendenze) e quelli anali (pulizia fisica, ordine morale, meticolosità, problemi relativi al controllo); la genialità ( problemi legati alla masturbazione, alle relazioni sessuali e sentimentali), l’attività onirica; le relazioni familiari e sociali (analizzare vissuti relativi al ruolo genitoriale e coniugale, i rapporti professionali, le amicizie, gli svaghi, i passatempi).

Il silenzio :assume un preciso significato comunicativo, può essere espressione di meccanismi di difesa psichica in altri casi il silenzio può essere espressione di disturbi delle funzioni cognitive o di un timore eccessivo verso il clinico. In ogni caso il silenzio va ascoltato, divenendo così un silenzio accogliente e partecipante,  se prolungato eccessivamente può essere interrotto con domande volte alle ragioni del silenzio stesso.

La comunicazione non verbale

Attraverso segnali non verbali possiamo esprimere emozioni e sentimenti, possiamo manifestare l’idea che abbiamo di noi stessi e del nostro corpo e comunicare su aspetti che riguardano la relazione interpersonale. Il linguaggio non verbale può inoltre rinforzare a chiarire quello verbale, ma anche contraddirlo e sostituirvisi. Si tratta di un linguaggio nella maggior parte dei casi espresso in modo inconscio perciò  è molto difficile controllarlo e mentire attraverso di esso ecco perché appare necessario per una comprensione adeguata di quanto accade nella relazione con la persona. Ci sono elementi non verbali strettamente legati al linguaggio: l’intonazione,  il volume, le sottolineature e le congiunzioni negli elementi di un discorso ma anche sospirare, tossire, le pause, le esitazioni,. La cinesica ovvero movimenti facciali e corporei: lo sguardo e l’espressione del volto che trasmetto informazioni importanti sull’attenzione, la comprensione, il consenso e soprattutto le emozioni, i movimenti degli occhi e del viso, i gesti delle mani e i cenni del capo, oltre a manifestare emozioni regolano la comunicazione.

Gli aspetti emotivi, il transfert e il controtransfert.

I desideri, i conflitti e le difese sollecitate dal colloquio stimolano risposte emotive che costituiscono un indice prezioso dell’andamento della relazione. L’osservatore deve prendere in considerazione sia le proprie sia quelle dell’esaminando avere quindi consapevolezza dei processi di transfert e controtransfert.

Il transfert del paziente consiste nella ripetizione nei confronti del medico, di sentimenti, atteggiamenti e comportamenti inconsci che corrispondono a modelli elaborati nel corso dello sviluppo e in particolare nell’ambito delle relazioni familiari. Dopo i primi momenti più formali il colloquio diventa una situazione più confidenziale e anche il clinico comincerà ad avvertire emozioni, fantasie e sentimenti suscitati in lui dall’esaminato e in risposta ad essi può capitare che faccia o manchi di fare qualcosa frustrando le aspettative del paziente oppure alimentandole eccessivamente, offendendolo, ferendolo o lusingandolo senza volerlo. Il termine controtransfert si riferisce proprio ai fenomeni che si manifestano nell’operatore durante il colloquio, come risposta al transfert del paziente, rappresenta la reazione emotiva del clinico all’attribuzione di ruoli operata su di lui dal paziente e in tal senso è uno strumento prezioso di comprensione del soggetto. Ne deriva che il ruolo del clinico è molto complesso nel colloquio, egli deve identificarsi ma in parte non rimanere coinvolto, deve osservare e osservarsi, deve sostenere e comprendere i ruoli che gli vengono assegnati dal paziente senza tuttavia assumerli interamente. Una mancata comprensione del controtransfert può portare il clinico a innalzare difese nei confronti del rapporto col paziente. Altro aspetto su cui bisogna soffermarsi è che esiste anche un transfert clinico cioè del clinico stesso, che riguarda il suo vissuto emotivo primario, positivo o negativo, nei confronti del paziente che precede il transfert del paziente stesso, al quale quest’ultimo a sua volta può reagire con movimento transferale. Il clinico deve quindi non solo riconoscere le proprie reazioni controtransferali ma anche il proprio transfert e i conflitti che lo generano e per far questo è necessario conoscere quanto più possibile se stessi (analisi personale).

STILI DI CONDUZIONE DEL COLLOQUIO IN GENERE:

Il colloquio direttivo è in uso soprattutto nella selezione all’interno dell’azienda, ed è una situazione in cui chi conduce il colloquio ha un ruolo strettamente vincolante e lo si realizza attraverso una serie di domande ben precise, formulate rigidamente e poste secondo criteri stabiliti. Consente, di pervenire a due tipi di informazioni:relative al comportamento e relative alla biografia del soggetto.

Colloquio semi-direttivo e non direttivo, invece, prevede che il soggetto abbia libertà di esprimersi. In questo caso, l’intervistatore può passare da momenti di tipo direttivo a momenti non direttivi

Parlando del counseling ed in generale dell’orientamento scolastico e professionale, possiamo considerare lo stile di colui che conduce il colloquio, un elemento fondamentale che influenza tutta la relazione.  Carl Rogers individua sei stili di conduzione: lo stile interpretativo lo stile valutativo, lo stile risolutivo lo stile sostenitivo, lo stile indagativi, lo stile comprensivo. Lo stile di conduzione è l’impronta che si dà al colloquio attraverso una tendenza, più o meno consapevole di chi lo conduce.

AMBITI APPLICATIVI ED ESEMPI DELLE PROSPETTIVE PRINCIPALI

I principali ambiti di utilizzo del colloquio vengono suddivisi in:

Il Colloquio Di Ricerca Con questo termine intendiamo un colloquio che ha per oggetto di studio la conoscenza di un determinato oggetto che può riguardare diversi ambiti della psicologia. Il colloquio di ricerca parte da una “non motivazione” o addirittura “non conoscenza iniziale” della ragione per cui si è stati convocati a prendervi parte. Nell’ambito di una ricerca, il colloquio può essere utilizzato sia come strumento che precede la ricerca vera e propria (pre-ricerca), sia come metodologia per raccogliere dati.

Il Colloquio Orientativo L’aspetto essenziale del colloquio di orientamento risiede nella possibilità da parte del soggetto di elaborare il “consiglio”, frutto di un’attività mirata ad ottenere una valutazione esaustiva di tutti i processi e le risorse messe in gioco. Il richiedente può ricercare informazioni realistiche su di sé (interessi e capacità) e necessita di un consenso per sentirsi sostenuto da qualcuno che ha interesse nei suoi confronti ed in ciò che a lui accade. Possiamo distinguere 3 momenti fondamentali

  1. Counseling esplorativo: il consulente stimola il racconto ed l’autoesplorazione da parte del cliente. Questo processo viene attuato attraverso: Accoglienza: prevede un atteggiamento disponibile da parte del consulente, che deve essere capace di trasmettere fiducia al richiedente per ottenere delle informazioni utili all’orientamento. Individuazione dell’intervistato è invece una modalità che permette al consulente di individuare e quindi adeguarsi, al livello soggettivo di colui che ha di fronte. Ciò riguarda: i temi da trattare, l’utilizzo di un linguaggio semplice e poco tecnico, la raccolta di dati amnestici, notizie, biografiche e tutto ciò che può contribuire ad un’idea chiara e comprensibile del tipo di richiesta sollevata dall’intervistato.
  2. Counseling diagnostico: il consulente si propone di valutare attraverso strumenti (test, questionari) le diverse variabili che intervengono nel processo di orientamento. Ciò avviene con la raccolta di dati specifici. L’obiettivo di questa fase è quella di capire qual è il problema è qual è la richiesta da soddisfare.
  3. Counseling progettuale: consulente ed utente interagiscono in un tentativo di risoluzione del problema dell’utente stesso. In questo momento l’attenzione è rivolta all’azione, cioè alla traduzione di quanto è emerso in ipotesi di risoluzione dei problemi. Tale fase si chiude con il “congedo”, in cui vengono riassunte le tematiche affrontate durante il colloquio e, seguendo la regola della reciprocità, restituiti i dati all’intervistato sotto forma di informazioni, consigli, impressioni.

Il Colloquio Peritale Può essere diverso per scopi e presupposti in relazione all’ambito in cui avviene (civile o penale). Nel campo civile il colloquio può essere utilizzato nei casi di affido e adozione di minori, in cui occorre valutare la famiglia di origine ed un’eventuale famiglia che ha dichiarato la propria disponibilità all’adozione. Relativamente a quest’ultima è necessario indagare la motivazione. Nell’area penale si distingue il cosiddetto colloquio criminologico, che esamina un soggetto autore di reato al fine di fornire informazioni sulla genesi dell’azione compiuta e di formulare una previsione circa il futuro. Il colloquio peritale si differenzia da quello terapeutico per la motivazione estrinseca e la minore libertà dell’operatore.

Il Colloquio In Contesti Gruppali Si possono distinguere tre tipi di colloquio nei contesti gruppali:colloquio con il gruppo, che concerne la formazione ed ha chiari intenti clinici;colloquio in gruppo che è molto diffuso nel mondo del lavoro e valorizza l’equipe e la sua capacità di intervento; colloquio di gruppo che si utilizza nel lavoro clinico e terapeutico (es. in gruppoanalisi), in cui il gruppo diviene uno spazio di discussione, riflessione, “attraversamento” di cultura e matrice (risignificazione, riconsiderazione di valori e codici).Nel secondo prevalgono l’individualità, la cultura di coppia  e la definizione dei ruoli, nel terzo il gruppo, la cultura di gruppo e la circolazione dei ruoli e della leadership.

Il Colloquio Di Selezione Del Personale Si possono distinguere due linee:

– Selezione del personale, che coincide con un’attività volta alla ricerca di personale adatto a svolgere un determinato ruolo;

– Valutazione delle potenzialità, che corrisponde ad un’attività finalizzata a comprendere le potenzialità delle risorse umane di  cui l’azienda dispone. In tale contesto il colloquio può essere di gruppo oppure individuale; il primo si concentra sulle capacità relazionali, il secondo sulla motivazione e la rappresentazione di sé.

Il Colloquio In Ambito Organizzativo È un colloquio a motivazione estrinseca, in cui la domanda proviene da un’organizzazione avente fini produttivi. In tale contesto risulta rilevante l’analisi della domanda. Nella domanda sono presenti degli elementi, riconducibili a tre livelli, ossia la rappresentazione della perturbazione ambientale (cosa si è verificato per chiedere aiuto ad un consulente?); la rappresentazione della prestazione professionale richiesta; le fantasie relazionali con tale professionista.

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