Come curare la depressione: cause, trattamenti e soluzioni

 

L’affettività umana è espressione di un complesso sistema funzionale ad elevata plasticità, tale da garantire – in seguito all’instaurarsi di stressors interni o esterni – modificazioni del tono dell’umore congrue e prive di connotazioni patologiche. In seguito a disfunzione, su base neurobiologica, di questo sistema funzionale si instaurano modificazioni di ampiezza e durata del tono affettivo che assume così caratteristiche maladattative, determinando l’insorgenza di un disturbo dell’umore.

Tali disturbi includono un’ampia varietà di condizioni psicopatologiche caratterizzate non solo da alterazioni del tono umorale, ma anche da sintomi psicomotori, cognitivi, neurovegetativi. Le stime riguardanti la prevalenza di tali disturbi hanno risentito della mancanza di criteri diagnostici omogenei, ma rappresentano la patologia psichiatrica più diffusa nella popolazione generale con una prevalenza di lifetime stimata tra il 4,6 e il 17,1% per il disturbo depressivo maggiore (rischio circa doppio per la popolazione di sesso femminile), e di circa l’1% per il disturbo bipolare I.

In particolare, la depressione unipolare presenta un’incidenza annuale dell’1,10% nei maschi e dell’1,98% nelle femmine, colpendo tutte le fasce d’età con una età media di esordio di 25 anni e due picchi in adolescenza e prima età adulta. E’ responsabile dell’11% del totale degli anni vissuti in disabilità e, secondo uno studio dell’OMS inerente alle proiezioni per l’anno 2020 di mortalità e disabilità per causa, costituirà la seconda causa dopo le coronaropatie di anni di vita sana persi, sia a causa di morte prematura che per disabilità.

Il disturbo bipolare presenta un’incidenza annuale compresa tra 9,5 e 15,2 su 100.000 nei maschi e di 7.4-35,2 su 100000 nelle femmine, con un’età media di esordio intorno ai 30 anni e maggior frequenza tra i 18 e i 44 anni.

Presenta un rischio di morbilità nella popolazione nettamente inferiore rispetto al disturbo depressivo maggiore. Tende ad essere più frequentemente diagnosticato tra le classi sociali più elevate, ma non è chiaro se tale rilievo sia dovuto ad artefatti oppure realmente significativo.

Numerosi sono i fattori che paiono contribuire alla comparsa di un episodio depressivo, maniacale o misto. La patogenesi dei disturbi dell’umore è stata attribuita nel tempo a diverse cause di ordine psicologico, biologico e sociale. Attualmente si ritiene che tali fattori siano tra loro embricati, e tale ipotesi ha comportato l’adozione del modello biopsicosociale quale migliore approssimazione per la descrizione della genesi dei disturbi depressivi.

Cause della Depressione

Sono molteplici i fattori chiamati in causa, sia di natura eredo-familiare, che biologica, ambientale e sociale.

Fattori Ereditari: I dati ottenuti dagli studi genetici condotti nel corso degli anni (famiglie, bambini adottivi, gemelli, linkage) indicano un ruolo rilevante della trasmissione genetica nella patogenesi dei disturbi dell’umore. Sebbene non sia stato identificato alcun gene specifico né a livello di neurotrasmettitori né ormonale, sia i disturbi dello spettro depressivo che di quello bipolare sono chiaramente ereditabili.

Il 27% dei bambini con un genitore affetto da disturbo affettivo lo svilupperà, e tale tasso sale al 50-75% se entrambi i genitori sono affetti. Tale componente è maggiormente definita e acclarata nei disturbi dello spettro bipolare piuttosto che nei disturbi depressivi unipolari, con il rischio di ereditarietà che decresce chiaramente in proporzione al materiale genetico condiviso. Infatti nei gemelli omozigoti la probabilità di sviluppo del disturbo nel gemello non affetto è pari al 33-90% contro il 5-25% nei dizigoti e fratelli non gemelli. I parenti di primo grado di pazienti con disturbo bipolare hanno inoltre una prevalenza life-time stimata del 12% per il medesimo disturbo, 10
volte maggiore rispetto alla popolazione generale [Cutler, J. Charon, R. 1999]. Alcuni studi hanno inoltre evidenziato associazioni tra disturbi bipolari e polimorfismi cromosomici, con i dati più suggestivi a carico delle regioni codificanti per i recettori D2 della dopamina e per alcune subunità dei recettori GABAergici [Massat et al. 2002a, 2002b].

L’ereditarietà per il disturbo depressivo è stata acclarata in maniera meno consistente. I parenti di primo grado di pazienti affetti hanno un rischio di insorgenza di 1.5-3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Il coinvolgimento di fattori genetici è probabilmente meno significativo per le forme di depressione lievi, mentre sembra incidere più fortemente nelle depressioni ad esordio precoce: il 70% dei bambini depressi hanno, infatti, almeno un genitore che presenta un disturbo dell’umore.

Studi condotti sulla neurotrasmissione serotoninergica hanno però identificato alcuni loci che potrebbero essere invece correlati alla risposta clinica per la terapia antidepressiva, in particolare i geni codificanti per il trasportatore della serotonina (5-HTT) e il gene per la
triptofano idrossilasi (TPH). Uno studio in particolare ha confermato che i soggetti omozigoti per l’allele 1 del 5-HTTLPR rispondono in maniera significativamente migliore al trattamento con SSRI [Pollock et al., 2000].

Nonostante tali rilievi bisogna comunque affermare che la natura della componente genetica nella trasmissione dei disturbi affettivi è purtroppo ancora lontana dall’essere chiarita, a causa della profonda eterogeneità genetica, oltre che fenotipica, di questi disturbi oltre che del più che significativo ruolo giocato dalle componenti ambientali.

Temperamento: i soggetti predisposti alla depressione e alla mania presentano spesso un particolare assetto temperamentale con modificazioni para-fisiologiche dell’abituale livello di energia dinamica e del profilo del tono dell’umore, caratterizzato spesso,
specie nel caso dei disturbi depressivi, da bassa autostima e insicurezza.

Sesso: il sesso femminile presenta una maggior suscettibilità ai disturbi dello spettro unipolare, con un rapporto 2:1 con il sesso maschile, mentre mancano sostanziali differenze per lo spettro bipolare, se si esclude una più alta predisposizione ai cicli rapidi.

Fattori socio-ambientali: anomalie nella relazione genitore-figlio rientrano tra le cause potenziali di aumentata suscettibilità alla depressione. Tale aspetto è stato indagato epidemiologicamente attraverso il Parental Bonding Istrument, mediante il quale il soggetto da un giudizio, attraverso l’attribuzione di un punteggio, alle caratteristiche educative dei genitori manifestatesi nei primi sedici anni di vita. In particolare bassi punteggi sulla scala “cura” e alti punteggi sulla scala “atteggiamento protettivo” sembrano correlare con il disturbo depressivo.

Nelle classiche teorie psicoanalitiche viene inoltre ipotizzato che eventi esistenziali nell’infanzia, soprattutto la perdita dei genitori, svolgano un ruolo importante nella genesi della depressione. I dati disponibili indicano che in realtà le rotture precoci nelle relazioni oggettuali, più che costituire le cause dei disturbi dell’umore, esercitino un effetto patoplastico sulle manifestazioni cliniche.

La perdita di un genitore prima degli 11 anni risulta, in ogni caso, l’evento vitale più associato a successivo sviluppo di episodio depressivo. Meno indagati sono tali eventi precoci nel contesto dei disturbi dello spettro bipolare.

Stress psicosociale: è intimamente legato all’insorgenza del disturbo depressivo maggiore, con una correlazione sia con cambiamenti socio-relazionali improvvisi, in particolare con gli eventi di “perdita” (di persona significativa, ma anche del proprio ambito sociale), nonché con la assenza persistente di cambiamento. I fattori esterni sembrano esercitare la loro influenza in particolare sull’esordio dei primi episodi depressivi, slatentizzando i disturbi con un’azione su substrati favorevoli.

Stressor fisici: in analogia a quelli ambientali, non costituiscono causa vera e propria della patologia, ma fattori che ne facilitano l’insorgenza in soggetti predisposti, come confermato da studi sulla pseudo-depressione da farmaci (reserpina, neurolettici) che
regredisce con la sospensione del trattamento.

Fattori neurobiologici: Ipotesi monoaminergica: le prime teorie neurofisiopatologiche, scaturite da osservazioni di farmacologia clinica, vennero formulate negli anni ’60, chiamando in causa diversi sistemi neurotrasmettitoriali. La ricerca in tal senso ha ormai
reso evidente che non esiste una sola disfunzione biochimica alla base dei disturbi affettivi, ma piuttosto vi intervengono diversi sistemi, integrati tra loro (noradrenergico, serotoninergico, colinergico, dopaminergico, GABAergico, peptidergico), con il core dell’ipotesi che si è spostato più che sui neurotrasmettitori stessi sui loro recettori, a causa dell’osservazione che i farmaci agenti su tali sistemi modificano immediatamente il livello delle monoamine ma divengono efficaci con una latenza di 2-3 settimane.

Ipotesi neuroendocrine: numerose alterazioni del sistema neuroendocrino sono presenti nei pazienti depressi. Le disfunzioni endocrine sono però interpretate come il risultato di un funzionamento alterato di un determinato sistema neurorecettoriale, che sembrano controllare la secrezione di ormoni ipotalamici agendo dunque su tutti i sistemi a valle, con un particolare coinvolgimento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (iperattività identificata sulla base di elevata cortisolemia nelle fasi attive di malattia).

Alterazioni enzimatiche: diversi studi hanno dimostrato modificazioni dell’attività enzimatica di dopamina β-idrossilasi, monoaminoossidasi (MAO), catecol-Ometiltransferasi (COMT) nei soggetti affetti da disurbi dell’umore. Sono state inoltre descritte modificazioni anche a carico dall’attività dell’enzima ATPasi che, pur non essendo direttamente coinvolto nel metabolismo dei neurotrasmettitori, svolge un ruolo essenziale nel mantenimento dell’omeostasi ionica di tutte le cellule e dei processi ionidipendenti, quali il release ed il reuptake nei neuroni.

Alterazioni idroelettrolitiche: modificazioni dell’equilibrio idroelettrolitico nei disturbi dell’umore sono state descritte fin dalla iniziale formulazione delle prime teorie biologiche. Le conferme più robuste sono associate a quattro ioni: sodio, calcio, potassio e magnesio.

Alterazioni di membrana: un’alterazione generalizzata della stabilità di membrana è stata chiamata in causa nella genesi dei disturbi dell’umore.

Episodio Depressivo: le manifestazioni cliniche dell’episodio depressivo sono caratterizzate da sintomi a carico non solo dell’umore, ma anche della sfera cognitiva, somato-vegetativa e della psicomotricità.

Nell’area affettivo-emotiva si raggruppano i sintomi che manifestano alterazioni dei vissuti del soggetto verso se stesso, gli altri e la realtà. Il paziente esperisce una condizione di dolore, tristezza e pessimismo che, seppur correlata a condizioni analoghe vissute da soggetti non affetti, se ne distacca per la totale pervasività, persistenza, immodificabilità.

In alcuni casi tale vissuto depressivo è espresso solo somaticamente, con cefalee, dolori osteoarticolari, epigastrici (depressione mascherata). A questi fenomeni può associarsi una sensazione di noia, distacco e inadeguatezza verso ciò che prima gli procurava piacere, condizione che al suo polo più estremo vede l’anedonia.

Tale distacco è avvertito anche verso le persone alle quali il paziente è legato affettivamente, condizione particolarmente dolorosa che determina l’instaurarsi di senso di colpa. In alcuni casi il vissuto depressivo si accompagna a tensione ed inquietudine e altre manifestazioni ansiose.

Elemento costante è il rallentamento psicomotorio, con riduzione globale di movimenti spontanei e mimica, linguaggio povero e monosillabico, fino allo stupor. L’invasione della sfera cognitiva si manifesta con disturbi della memoria sia a breve che a lungo
termine e incapacità di mantenere la concentrazione. Oltre al rallentamento psichico sono esperite modificazioni del contenuto del pensiero, focalizzato su vissuti di colpa, rovina, malattia e indegnità, idee prevalenti congrue all’umore, che nei casi più gravi possono sconfinare nel delirio (colpa, rovina, negazione corporea). Meno comuni i fenomeni dispercettivi, a carico per lo più della sfera uditiva.

L’ideazione suicidaria, centrale nel disturbo, può manifestarsi come idea prevalente o come acting, impulso improvviso all’azione.
Molteplici sono le alterazioni afferenti all’area somato-vegetativa, con la riduzione della libido che costituisce uno dei sintomi più precoci.

Frequente è anche la riduzione dell’appetito, fino alla perdita di ogni interesse per il cibo, seppure possono esser presenti anche manifestazioni di tipo iperfagico. Altro sintomo caratteristico è rappresentato dall’insonnia, per lo più centrale (risvegli notturni multipli) e terminale (risveglio precoce al mattino).

Possibile, al contrario, in alcuni casi l’ipersonnia. I sintomi somatici sono presenti con grande frequenza nel quadro clinico generale, di cui
possono costituire l’unica manifestazione.

Nel contesto dei disturbi bipolari gli episodi depressivi possono presentare caratteristiche peculiari rispetto alle forme unipolari, con predominio di apatia sulla tristezza e dei sintomi comportamentali (molto rappresentata l’ipersonnia, e più frequente l’iperfagia con minor incidenza della perdita di peso) sui cognitivi. Sono più frequenti, nei casi gravi, manifestazioni psicotiche.

Gli episodi depressivi hanno una durata media di 6-12 mesi. La risoluzione può essere improvvisa o, più frequentemente, graduale, nel giro di giorni o settimane durante i quali si assiste ad una fluttuazione della sintomatologia, con alternanza di fasi di
miglioramento e di peggioramento.

Trattamento della Depressione

Da oltre 50 anni sono disponibili trattamenti farmacologici efficaci che hanno drasticamente migliorato il decorso del disturbo depressivo maggiore e ridotto il loro costo per la società. Gli antidepressivi sono divisi in triciclici, MAOIs, SSRIs e atipici. Tutti gli antidepressivi disponibili richiedono da 2 a 4 settimane per indurre effetti terapeutici significativi.

Terapia elettroconvulsionante: ideata da Cerletti in Italia negli anni ’30, è un trattamento effiace e relativamente privo di gravi complicanze, può essere considerato di scelta in forme farmacoresistenti, in pazienti che non tollerano la farmaco terapia, in
situazioni cliniche gravi che richiedono il rapido miglioramento dei sintomi (idee di autosoppressione, rifiuto prolungato sia di cibi solidi che di liquidi, intensa inibizione psicomotoria, catatonia), e in alcune tipologie di pazienti come i depressi anziani e le donne in gravidanza.

La risposta a un numero di trattamenti elettroconvulsionante variabile da 6 a 10 è di solito eclatante e può salvare la vita.

Trattamenti psicosociali: la terapia comportamentale mira ad insegnare al paziente come comportarsi verso l’esterno in modo da riceverne un rinforzo positivo. Sebbene diversi studi ne rilevino l’efficacia ha il limite di trascurare la storia pregressa e i conflitti nascosti. La terapia interpersonale si focalizza sui problemi attuali al fine di esplorarne le radici che affondano in relazioni disfunzionali in età precoce. Fornendo sostegno e guida, eliminando le distorsioni cognitive che impediscono le azioni adattive e incoraggiando il paziente a riprendere gradualmente i suoi ruoli lavorativi o sociali,

di Paulina Szczepanczyk

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