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Cosa succede nel cervello durante il trauma

Essere vittima di un evento potenzialmente traumatico comporta l’attivazione del sistema motivazionale dell’attaccamento. Il dolore fisico e psichico, unito alla percezione della propria vulnerabilità costituisce infatti il più potente attivatore del bisogno umano innato di aiuto, conforto, protezione. Dunque, la risposta al trauma psicologico comporta l’attivazione non solo dell’innato bisogno di attaccamento, ma anche del Modello Operativo Interno che lo regola, cioè delle aspettative sulla risposta che gli altri daranno alla propria richiesta di cura e del significato e valore attribuito alle proprie emozioni di attaccamento. Due fattori di rischio per lo sviluppo del Disturbo Borderline di Personalità, la disorganizzazione dell’attaccmento (DA) precoce e l’esposizione a traumi psicologici durante lo sviluppo, sono spesso interconnessi nel concorrere alla dissociazione o scissione che caratterizza questo disturbo.

Analizziamo ora gli aspetti neurobiologici correlati al trauma e dei modelli disfunzionali di attaccamento implicati nell’insorgenza e nel mantenimento del disturbo borderline di personalità.

 

Aspetti neurobiologici correlati ai traumi

Gli studi neurobiologici sui traumi, nel corso dello sviluppo, indicano come le risposte psicobiologi che del bambino al trauma siano composte da due modalità distinte: l’iperattivazione e la dissociazione con corrispondente attività di entrambe le componenti del sistema nervoso autonomo in via di sviluppo, sia quella simpatica – a elevato dispendio energetico – sia quella parasimpatica, deputata alla conservazione dell’energia.

Se il trauma precoce viene sperimentato come una “catastrofe psichica”[1], la dissociazione rappresenta l’allontanamento da una situazione intollerabile, la fuga quando non c’è possibilità di fuga e l’ultima strategia difensiva a disposizione.

Lo stato dissociativo è dominato dal sistema parasimpatico e si verifica in situazioni di tensione caratterizzate da disperazione ed impotenza, durante le quali l’individuo si inibisce. Questo processo di regolazione è caratterizzato da un arresto metabolico e da bassi livelli di attività; tali meccanismi vengono utilizzati nel corso di tutta la vita che, in condizioni di tensione, tende a disconnettersi  passivamente per “conservare le energie e garantirsi la sopravvivenza assumendo posture e atteggiamenti che imitano la morte e che permettono all’immobilità di curare le ferite”.

La neurobiologia delle reazioni dissociative prevede un’elevazione degli oppiaci endogeni che attutiscono il dolore e degli ormoni dello stress che inibiscono il comportamento, come il cortisolo. Inoltre, l’attività del complesso dorsale vagale del tronco cerebrale aumenta in maniera significativa, diminuendo la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e l’attività metabolica, nonostante l’aumento dell’adrenalina e della noradrenalina in circolo. Questa intensificazione dell’attivazione parasimpatica permette di mantenere l’omeostasi di fronte agli stati interni di iperattivazione simpatica.

Studi rivelano  una rete di attivazione cerebrale in relazione alla crescita di punteggi degli abusi fisici in Disturbo Borderline di Personalità.
Tale aumento di attivazione è stato riscontrato nel giro frontale mediale, nel pulvinar e nel cervelletto e nel mesencefalo. Gli abusi fisici infantili, comportando alterazioni nell’attività del mesencefalo, contribuiscono all’aumento di sintomi psicotici nella vita adulta.
Vi è una forte relazione tra esperienze infantili di abusi fisici e una maggiore attivazione del mesencefalo, giro frontale mediale, pulvinar e nel cervelletto agli stimoli emotivi. Questi risultati sostengono un’associazione tra trauma infantile e cambiamenti nelle risposte del cervello di lunga durata
agli stimoli emotivi. Anche l’attività del cuneo nei soggetti affetti da DBP risulta differenziata rispetto a quella riscontrata nei soggetti del gruppo di controllo. La disfunzione del cuneo comporta due tipi di conseguenze.

Da un lato, considerato il suo ruolo nell’elaborazione visiva, la sua disfunzione riflette la reattività alterata di chi è affetto da DBP ai segnali visivi. Inoltre dato il suo ruolo nella teoria della mente (la capacità di attribuire stati mentali agli altri), una sua disfunzione può contribuire a spiegare la carente elaborazione emotiva nel DBP; precedenti studi infatti hanno identificato un rapporto tra trauma infantile e disregolazione emotiva.

Il mesencefalo è il luogo chiave delle afferenze dopaminergiche al sistema limbico ed è noto per essere coinvolto nell’elaborazione delle emozioni. E’ stato anche riscontrato che gli individui con BPD che hanno sperimentato infanzia abusi fisici possono essere particolarmente vulnerabili al sviluppo di sintomi psicotici, tramite la disfunzione del mesencefalo, quando esposti a stimoli emotivi negativi in età adulta. L’aumento di attivazione del pulvinar osservato in questo studio può indicare una risposta accresciuta alla paura in individui con BPD che hanno subito abusi fisici durante l’infanzia. Gli studi dimostrano una significativa associazione tra il trauma infantile e l’attivazione del cervello in BPD, e suggeriscono un legame tra gli abusi fisici infantili ed i sintomi psicotici in età adulta, che possono essere mediati attraverso l’attivazione alterata del mesencefalo[2].

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Gli studi evidenziano come i traumi portano a una compattazione del DNA, la buona notizia è che con la psicoterapia e quindi non solo con i farmaci, si può agire sul DNA, scompattandolo.

Queste modificazioni epigenetiche sono reversibili e questa è la notizia buona: così come il DNA si è compattato, si può scompattare attraverso una buona fisioterapia, un buon intervento farmacologico, un buon ambiente in cui la persona vive; ma la notizia cattiva è che tendono a trasmettersi alle generazioni successive. Esiste quindi la possibilità del cervello di modificarsi in modo plastico rispetto alle modificazioni ambientali. Normalmente gli assoni, i dendriti sono ricchi di spine dendritiche assoniche. Se invece andiamo a vedere il cervello di un soggetto depresso c’è una grossa diminuzione delle spine dendritiche di collegamento. Abbiamo circa 250 collegamenti sinaptici tra un neurone e l’altro. Nel caso di bisogno, con una buona terapia ed una buona farmacoterapia le spine dendritiche tornano nuovamente ad esserci e il DNA si svolge di nuovo, si scompatta.

Questa programmazione epigenetica è dettata principalmente dal comportamento materno. Lo stress attiva l’asse ipotalamo ‐ ipofisi ‐ surrene con la produzione di cortisone. Nei soggetti normali questo equilibrio dell’asse ipotalamo ‐ ipofisi – surrene permette e fa sì che l’eccesso di cortisone vada ad inibire la produzione di ormoni ipotalamici, nel caso di un soggetto depresso, invece, egli continua a produrre cortisone e questo rappresenta un rischio perché esso inibisce le difese immunitarie.

L’equilibrio o lo scompenso di tale asse è determinato dal numero dei GR ‐ recettori dei glucocorticoidi dell’ipotalamo (recettori messi nell’ipotalamo per accettare il cortisone). Modificazioni genetiche e soprattutto epigenetiche determineranno il numero di recettori per i glucocorticoidi. Ecco perché il soggetto è meno vulnerabile o più vulnerabile allo stress a seconda di quanti recettori per i glucocorticoidi si trovano nell’ipotalamo.

Lo stress può essere definito come qualsiasi mutamento ambientale, interno o esterno, che disturba l’omeostasi. Questa definizione enfatizza la variabilità che può presentarsi nella risposta dell’individuo ad uno stimolo stressante. Essa enfatizza anche la variabilità dell’effetto dello stimolo stressante; in un individuo esso ha un maggior effetto comportamentale e fisiologico mentre un altro individuo può esperire un cambiamento di modesta entità. Le strategie di coping (di gestione) che riflettono l’adattamento agli stressors, indubbiamente spiegano parte della variabilità.

L’esposizione continuata allo stesso stimolo comporta mutamenti adattivi nei sistemi endocrino ed immunitario caratterizzati da ipertrofia delle ghiandole surrenale e pituitaria, e cambiamenti delle cellule immunitarie. Ciò venne chiamato sindrome di adattamento generale.

Oggi giorno è accettato che la risposta allo stress è spesso benefica nel proteggere l’individuo dal pericolo e che l’adattamento è una risposta assimilata che risulta importante nell’adattarsi a situazioni avverse in futuro.

Modificazioni epigenetiche del gene recettore glucocorticoide[3]

metilazione

[1] Bion, W. R. Learning from Experience, London: William Heinemann, 1962

[2] Nicol K., Pope M., Romaniuk L, Hall J., Childhood trauma, midbrain activation and psychotic symptoms in borderline personality disorder, Transl Psychiatry, 2015 May

[3] Radtke K.M., Schauer M, Gunter H.M., Ruf-Leuschner M, Sill J, Meyer A, Elbert T, Epigenetic modifications of the glucocorticoid receptor gene are associated with the vulnerability to psychopathology in childhood maltreatment, Transl Psychiatry, 2015

di Alessandra Serio

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