psicologia

Cosa accade nel cervello di un criminale

Un circuito che include aree della corteccia prefrontale, amigdala, ippocampo, ipotalamo, corteccia cingolata anteriore, corteccia insulare, striato ventrale e altre strutture interconnesse a queste sono implicate in vari aspetti che riguardano l’ambito emotivo, lo stile affettivo e la regolazione emotiva (Figura 1.2) (Banks, Eddy, Angstadt, Nathan, & Phan, 2007; Bush, Luu & Posner, 2000; Davidson & Irwin, 1999; Ochsner & Gross, 2007; Rudebeck, Saunders, Prescott, Chau, & Murray, 2013). La regolazione emotiva include processi che amplificano, attenuano o mantengono un’emozione. L’amigdala è una struttura cruciale per imparare ad associare determinati stimoli con meccanismi di punizione e ricompensa. In studi di neuroimmagine, l’amigdala si attiva in risposta a stimoli che implicano minaccia, come espressioni facciali di paura (Lindquist, Wager, Kober, Bliss-Moreau, & Barrett, 2012; Whalen et al., 1998) ed emozioni negative in generale.

L’amigdala è più fortemente attivata da espressioni facciali di paura rispetto ad altre espressioni facciali, inclusa la rabbia. Invece, alta intensità di espressioni facciali di rabbia è associata ad alta attivazione della corteccia orbitofrontale e della corteccia cingolata anteriore (Blair, Morris, Frith, Perrett, & Dolan, 1999; Lindquist et al., 2012). Queste attivazioni possono normalmente far parte di una risposta automatica di regolazione che controlla l’intensità della rabbia espressa. La corteccia orbitofrontale svolge un ruolo cruciale nel porre in relazione gli stati emozionali con il comportamento. Le informazioni provenienti dall’amigdala e dall’ippocampo vengono qui integrate in una rappresentazione dello stato attuale dell’organismo e sono utilizzate per scegliere il comportamento ritenuto più vantaggioso: lesioni in questa area alterano tale capacità (Grossi & Trojano, 2015). Fondamentale per la regolazione emozionale è anche la connessione dell’area orbitofrontale con le aree prefrontali dorso-laterali. Queste aree sostengono le funzioni esecutive, finalizzate ad ordinare, selezionare ed organizzare le informazioni e pianificare il comportamento (Grossi & Trojano, 2015).

Davidson e colleghi (2000), analizzando varie ricerche, hanno concluso che:

  • le differenze individuali della capacità di regolare le emozioni sono oggettivamente misurabili; differenze individuali nell’attivazione della corteccia prefrontale predicono l’abilità di eseguire tale compito e quindi riflettono le differenze negli aspetti di regolazione emotiva;
  • differenze individuali nelle abilità di regolazione emotiva, soprattutto se applicate alla soppressione di emozioni negative, possono essere molto importanti nel determinare una vulnerabilità all’aggressione e alla violenza.

Figura 1.2. Strutture chiave del circuito sottostante ai processi di regolazione emotiva. (A) Corteccia prefrontale orbitale in verde e corteccia prefrontale ventromediale in rosso. (B) Corteccia prefrontale dorso laterale. (C) Amigdala. (D) Corteccia cingolata anteriore. Ognuna di queste strutture interconnesse gioca un ruolo in aspetti differenti della regolazione emotiva, e anormalità in una o più di queste regioni e/o nelle interconnessioni tra esse sono associate con fallimenti dei processi di regolazione emotiva e aumentano anche l’inclinazione alla violenza e all’aggressione impulsiva (Davidson, Putnam, & Larson, 2000, p. 592).

Deficit del sistema serotoninergico (5-HT) sono stati collegati a comportamenti aggressivi e violenti.

Molte ricerche hanno infatti confermato che il sistema serotoninergico influenza le capacità di regolazione emotiva (Aleman, Swart & Van Rijn, 2008; Hariri & Holmes, 2006). È stato ipotizzato che la serotonina eserciti un controllo inibitorio sull’aggressività impulsiva (Volavka, 1999). Si pensa che il livello di fluido cerebrospinale (CSF) del metabolita della serotonina 5-HIAA (Acido 5-Idrossiindolacetico) rifletta l’attività presinaptica serotoninergica nel cervello. Un ridotto livello di CSF 5-HIAA è stato riscontrato in pazienti psichiatrici aggressivi, in uomini impulsivi e violenti e in vittime di suicidi violenti (Roggenbach, Müller-Oerlinghausen, & Franke, 2002).

psicologia

La corteccia prefrontale, una componente importante del circuito della regolazione emotiva implicata in comportamenti aggressivi e violenti, è una regione con un’alta densità di recettori serotoninergici di tipo 2 (Biver et al., 1996). Nei soggetti normali, la somministrazione di fenfluramina (agonista serotoninergico che agisce inibendo la ricaptazione della serotonina) determina un incremento dell’assorbimento di glucosio a livello delle aree prefrontali, in modo particolare la ventro-mediale, il giro frontale inferiore e mediano, e della corteccia cingolata anteriore, mentre nei soggetti violenti l’iniezione di fenfluramina non ha rivelato alla PET alcun incremento significativo di attività nelle aree corrispondenti (Siever, 2008). Il significato di questa differenza è ancora interesse di studio, ma si può asserire che i violenti sono quindi caratterizzati da anomalie nelle aree prefrontali e limbiche, aree fondamentali nel processo di regolazione emotiva. Sulla stessa linea, studi che riguardano il metabolismo del glucosio condotti con la PET hanno rivelato anormalità prefrontali in individui inclini all’aggressività. In uno studio su 41 assassini (Raine, Buchsbaum, & LaCasse, 1997) è stata riscontrata un’ipoattivazione nelle aree prefrontali, sia laterali che mediali, ma non nell’amigdala sinistra, a differenza del gruppo di controllo. Un altro parametro predittivo di condotte aggressive coinvolge l’enzima che idrolizza il triptofano, permettendo il suo utilizzo nella composizione della serotonina. Questo enzima, triptofano idrossilasi (THP), nei soggetti normali è codificato da un gene in forma L, mentre nei violenti si osservano forme polimorfiche di tipo U. Il gene è denominato TPH A218C e la forma LL è presente in individui non violenti, mentre le forme con solo allele L o con allele U o la forma omozigote UU si sono rivelate proprie degli individui aggressivi e violenti (Manuck, Flory, Ferrell, Dent, Mann, & Muldoon, 1999).

Quindi, i comportamenti aggressivi possono derivare da un fallimento del processo di regolazione emotiva.

Gli individui con buon funzionamento di questi processi riescono a regolare in modo volontario le emozioni negative e possono anche avere vantaggi dai segnali di moderazione provenienti dal loro ambiente, come espressioni facciali e vocali di paura o rabbia, che svolgono anch’essi un ruolo regolatore. Davidson e colleghi (2000) hanno ipotizzato che gli individui predisposti all’aggressione e alla violenza abbiano deficit nei circuiti centrali responsabili di queste strategie comportamentali adattive. Anormalità strutturali o funzionali in una o più delle aree indicate in Figura 1.2. o nelle interconnessioni tra esse possono incrementare l’inclinazione a comportamenti aggressivi. Sicuramente, come già spiegato, deficit nel funzionamento del sistema serotoninergico nella corteccia prefrontale sono da tenere in considerazione. Il ruolo dell’amigdala nei comportamenti aggressivi è complesso (Emery & Amaral, 2000; Wright, Tibbetts, & Daigle, 2014). Comportamenti che implicano minaccia (come fissare gli occhi, vocalizzazione minacciosa, postura protesa in avanti) sono trasmessi al nucleo laterale dell’amigdala, che poi li proietta ai nuclei basali, ed è lì che l’informazione riguardo al contesto sociale derivata da proiezioni della corteccia orbitofrontale viene integrata con le informazioni percettive (Öngür & Price, 2000). Le risposte comportamentali possono poi essere avviate attraverso proiezioni dai nuclei basali ad alcune aree corticali, e le risposte fisiologiche possono essere prodotte da proiezioni dai nuclei basali al nucleo centrale e poi all’ipotalamo e al tronco encefalico. Troppa o troppo poca attivazione dell’amigdala può dar luogo o ad emozioni negative eccessive o alla riduzione della sensibilità ai segnali sociali che regolano le emozioni. La corteccia orbitofrontale, grazie alle sue connessioni con altre zone della corteccia prefrontale e con l’amigdala, gioca un ruolo cruciale nel limitare impeti di collera, e la corteccia cingolata anteriore coordina altri sistemi neurali, inclusa la corteccia prefrontale, in risposta a situazioni di conflitto (Bush et al., 2000). In individui normali, le attivazioni in queste regioni cerebrali che si verificano durante episodi di rabbia e di altre emozioni negative limitano l’espressione impulsiva di tali comportamenti emotivi. Deficit in questi circuiti possono incrementare la vulnerabilità di una persona a comportarsi in modo aggressivo (Davidson et al., 2000).

Interessante a tal proposito risulta uno studio di Raine e colleghi (1998) condotto per indagare l’attivazione cerebrale in assassini reattivi e in assassini proattivi. Ricerche cliniche e forensi frequentemente hanno riportato la distinzione tra aggressività ‘affettiva’, ‘reattiva’, ‘difensiva’, ‘impulsiva’ o ‘a sangue caldo’ (una risposta ad un’aggressione fisica o verbale iniziata da altri con violenza che risulta relativamente incontrollata ed emotivamente carica) e aggressività ‘predatoria’, ‘strumentale’, ‘proattiva’, ‘di attacco’ o ‘a sangue freddo’ (aggressione controllata, intenzionale, mancante di emozioni, che viene usata per raggiungere un obiettivo desiderato) (Meloy, 2012). Nei bambini, aggressori reattivi hanno più probabilità rispetto ad aggressori proattivi di avere deficit nel processamento delle informazioni sociali, problemi internalizzanti, forte rifiuto da parte del gruppo dei pari e di essere stati abusati fisicamente (Card & Little, 2006).

Negli adulti, i criminali psicopatici hanno più probabilità di impegnarsi in atti di violenza proattiva, mentre i criminali violenti non psicopatici hanno più probabilità di impegnarsi in atti di violenza reattiva (Dhingra & Boduszek, 2013; Meloy, 1995). Lo studio è stato condotto su 15 assassini proattivi e 9 assassini reattivi, confrontati con un gruppo di controllo, sottoposti alle procedure di scanner della PET.

Cosa succede nel cervello di un killer

I risultati importanti sono (Raine, Meloy, Bihrle, Stoddard, LaCasse, & Buchsbaum, 1998):

  • gli assassini reattivi hanno un’attivazione più bassa delle aree prefrontali e più alta attività nelle aree subcorticali rispetto ai controlli;
  • gli assassini proattivi hanno livelli di attivazione nelle aree prefrontali più simili ai controlli, ma riportano un’eccessiva attivazione nelle aree subcorticali;
  • l’eccessiva attivazione subcorticale sia in assassini reattivi che proattivi è limitata all’emisfero destro.

Riguardo al primo punto, tale risultato è coerente con il concetto che un danno nelle aree prefrontali può dar luogo a impulsività, perdita di autocontrollo, incapacità di modificare il proprio comportamento, disregolazione delle emozioni, tutte condizioni che possono facilmente portare ad atti di violenza reattiva (Bannon, Salis, & O’Leary, 2015; Damasio, Grabowski, Frank, Galaburda, & Damasio, 1994). Inoltre, un danno nel funzionamento prefrontale si esplica negli assassini reattivi interpretando in modo errato stimoli ambientali e situazionali come pericolosi e minacciosi. Negli assassini proattivi, il livello di attivazione prefrontale risulta più simile ai controlli e ciò appare coerente col fatto che essi hanno relativamente intatta la capacità di pianificare e regolare il loro comportamento aggressivo con lo scopo di raggiungere un loro obiettivo. Sia gli assassini reattivi che quelli proattivi hanno mostrato deficit subcorticali. Amigdala, ippocampo e corteccia prefrontale fanno parte del sistema limbico e sono importanti nei processi di regolazione emotiva, mentre il talamo trasmette segnali dalle strutture limbiche subcorticali alla corteccia prefrontale (Fuster, 2001). Per quanto riguarda il terzo punto, alcune ricerche (Davidson & Fox, 1989; Uchida et al., 2015) sostengono appunto che l’attivazione dell’emisfero destro sia associata all’insorgenza di emozioni negative. È possibile dunque che queste ultime favoriscano sentimenti di aggressività e che agiscano da fattore di predisposizione generale del comportamento violento. Quindi, la conclusione importante a cui arrivare è riconoscere che comportamenti aggressivi e violenti rimandano a deficit nel circuito cerebrale responsabile della regolazione emotiva.

di Martina Micheli

Se ti è piaciuto questo articolo, ti piacerà anche il…

Corso Gratuito in Psicologia Criminale

Scrivi a Igor Vitale