Benessere Soggettivo in Azienda: il costrutto psicologico

Il Benessere soggettivo (o Psychological well-being) è un concetto relativamente nuovo nell’ambito della ricerca.

Veenhoven (1984) definisce il benessere soggettivo come il grado con cui una persona giudica la qualità totale della sua vita in modo favorevole.

Diener e Meyers (1995) affermano che il desiderio di felicità, che viene assimilata al concetto di benessere soggettivo, rappresenta la più comune aspirazione tra le persone della cultura occidentale, infatti gli autori hanno trovato che nell’attuale mondo competitivo la gente dichiara di preferire una vita felice piuttosto che una vita economicamente sicura.

E’ da attribuire a Seligman (2002) la definizione psicologica classica di felicità intesa come benessere soggettivo nella forma di soddisfazione generale nei confronti della vita.

Lyubomirsky, King e Diener (2005), invece, hanno definito la felicità come l’esperienza frequente di emozioni positive (come la gioia, l’interesse e l’orgoglio) e la rara esperienza, anche se non completamente assente, di emozioni negative (come la tristezza, l’ansia e la rabbia).

Lo studio scientifico sul benessere soggettivo si è sviluppato in parte come risposta all’eccessiva enfasi riposta dalla psicologia sulle situazioni negative. I ricercatori del benessere soggettivo hanno riscontrato che le persone non si limitano solo ad evitare la tristezza, ma tendono anche ad avvicinarsi a stimoli positivi, e così si sono proposti di studiare l’intero percorso del benessere dalla tristezza alla felicità.

Nel 1965 Bradburn e Caplovitz hanno suggerito che il costrutto di benessere soggettivo venisse suddiviso in due componenti, la componente dell’affetto positivo e quella dell’affetto negativo, che costituiscono due fattori indipendenti del benessere soggettivo e che quindi dovrebbero essere misurati separatamente.

Diener (1984)  ha proposto che il benessere soggettivo fosse distinto in tre componenti:

  • Soddisfazione per la vita
  • Affetto positivo
  • Affetto negativo

Diener, Suh, Lucas e Smith (1999) hanno anche apportato una distinzione tra la componente cognitiva e la componente affettiva del benessere soggettivo. La soddisfazione per la vita è considerata la componente cognitiva perché è basata sulla valutazione delle credenze (atteggiamenti) nei confronti della vita. L’affetto positivo e l’affetto negativo, invece, rientrano a far parte della componente affettiva del benessere soggettivo.

Secondo Diener (2006), sarebbero tre gli aspetti fondamentali che caratterizzano l’ambito del benessere soggettivo. Per prima cosa il benessere è un’esperienza soggettiva delle persone; secondo non si tratta solo di assenza di aspetti negativi, ma anche di misure positive; terzo la misura del benessere soggettivo include una valutazione globale, piuttosto che una limitata valutazione di un aspetto della vita (Diener 2009).

Nel 1984 Diener ha apportato una distinzione tra processi top-down e processi bottom-up che influenzano il benessere. L’interesse principale delle prime formulazioni teoriche era rivolto ai fattori bottom-up, ovvero agli eventi esterni, alle situazioni e agli aspetti demografici che potevano avere un’influenza sul benessere. Questo tipo di approccio è stato costruito sull’idea di Wilson (1967) secondo cui ci sono bisogni umani di base e universali, e secondo cui se si verificano delle situazioni che permettono alle persone di soddisfare questi bisogni, queste persone saranno felici. Sulla base delle sue ricerche Wilson (1967) è arrivato alla conclusione che una persona si può definire felice se è “giovane, in salute, con una buona educazione, ben pagata, estroversa, ottimista, priva di preoccupazioni, religiosa, sposata con una persona con elevata autostima, di modeste aspirazioni e molto intelligente”. A conferma di questa teoria è stato mostrato che l’esperienza quotidiana degli eventi piacevoli è legata all’affetto positivo, mentre l’esperienza di quelli spiacevoli è legata all’affetto negativo (Stallings et al., 1997). Tuttavia alcuni ricercatori hanno trovato che i fattori demografici (come l’età, il sesso, la razza, l’educazione ecc.) spiegano meno del 20% della varianza del benessere soggettivo (Campbell, Converse & Rodgers, 1976).

A causa di questi risultati, a partire dalla fine degli anni ’90 i ricercatori decisero di volgere i propri interessi non più esclusivamente alla semplice descrizione delle caratteristiche demografiche che correlano con il benessere soggettivo, ma alla comprensione dei processi che sottostanno alla felicità, e quindi si avvicinarono all’approccio top-down per spiegare la variabilità nel benessere soggettivo.

Uno dei più forti predittori del benessere soggettivo è la variabile di personalità. I tratti che hanno ricevuto una maggiore attenzione a livello teorico ed empirico sono quelli di estroversione e nevroticismo. Costa e McCrae (1980) affermano che l’estroversione influenza l’affetto positivo, mentre il nevroticismo influenza l’affetto negativo. Le relazioni tra estroversione e affetto positivo, e tra nevroticismo e affetto negativo sono così forti e attendibili che Watson e Clark (1997) hanno classificato il tratto di estroversione come un aspetto centrale dell’affettività positiva e il tratto di nevroticismo come affettività negativa, inoltre propongono che i nevrotici e gli estroversi abbiano una suscettibilità innata verso le esperienze di affetto negativo e positivo, rispettivamente. Questa affermazione è basata sulla teoria della sensibilità al rinforzo di Gray (1991) secondo cui la responsabilità della maggior parte delle differenze individuali nella personalità risiede nei due sistemi cerebrali: il sistema di attivazione comportamentale sensibile ai segnali di ricompensa e di non punizione e che controlla l’attivazione del comportamento, e il sistema di inibizione comportamentale sensibile ai segnali di punizione e responsabile dell’inibizione del comportamento quando è presente una minaccia della punizione.

Basandosi sulle teorie di Gray, Lucas et al. (1998) suggeriscono che gli estroversi sono molto sensibili alle ricompense e che questa sensibilità si manifesta nella forma di un più grande affetto positivo quando queste persone sono esposte a stimoli di ricompensa.

Le persone che hanno livelli di benessere soggettivo elevati sono coloro che attribuiscono maggiori valutazioni positive agli eventi e alle circostanze della loro vita. La gente che, invece, è infelice tende a valutare la maggior parte dei fattori della propria vita come pericolosi o ostacolanti il raggiungimento dei propri obiettivi. La soddisfazione nei confronti della vita è un giudizio globale che le persone danno nel considerare la propria vita come un tutto, mentre la componente edonica del benessere soggettivo rappresenta la maggior parte delle volte il crescente affetto positivo, dovuto alla valutazione positiva degli eventi in corso, e il meno frequente affetto negativo che risulta dalle poche valutazioni negative (Diener, 2009).

Il Benessere soggettivo (o Psychological well-being) è un concetto relativamente nuovo nell’ambito della ricerca.

Veenhoven (1984) definisce il benessere soggettivo come il grado con cui una persona giudica la qualità totale della sua vita in modo favorevole.

Diener e Meyers (1995) affermano che il desiderio di felicità, che viene assimilata al concetto di benessere soggettivo, rappresenta la più comune aspirazione tra le persone della cultura occidentale, infatti gli autori hanno trovato che nell’attuale mondo competitivo la gente dichiara di preferire una vita felice piuttosto che una vita economicamente sicura.

E’ da attribuire a Seligman (2002) la definizione psicologica classica di felicità intesa come benessere soggettivo nella forma di soddisfazione generale nei confronti della vita.

Lyubomirsky, King e Diener (2005), invece, hanno definito la felicità come l’esperienza frequente di emozioni positive (come la gioia, l’interesse e l’orgoglio) e la rara esperienza, anche se non completamente assente, di emozioni negative (come la tristezza, l’ansia e la rabbia).

Lo studio scientifico sul benessere soggettivo si è sviluppato in parte come risposta all’eccessiva enfasi riposta dalla psicologia sulle situazioni negative. I ricercatori del benessere soggettivo hanno riscontrato che le persone non si limitano solo ad evitare la tristezza, ma tendono anche ad avvicinarsi a stimoli positivi, e così si sono proposti di studiare l’intero percorso del benessere dalla tristezza alla felicità.

Nel 1965 Bradburn e Caplovitz hanno suggerito che il costrutto di benessere soggettivo venisse suddiviso in due componenti, la componente dell’affetto positivo e quella dell’affetto negativo, che costituiscono due fattori indipendenti del benessere soggettivo e che quindi dovrebbero essere misurati separatamente.

Diener (1984)  ha proposto che il benessere soggettivo fosse distinto in tre componenti:

  • Soddisfazione per la vita
  • Affetto positivo
  • Affetto negativo

Diener, Suh, Lucas e Smith (1999) hanno anche apportato una distinzione tra la componente cognitiva e la componente affettiva del benessere soggettivo. La soddisfazione per la vita è considerata la componente cognitiva perché è basata sulla valutazione delle credenze (atteggiamenti) nei confronti della vita. L’affetto positivo e l’affetto negativo, invece, rientrano a far parte della componente affettiva del benessere soggettivo.

Secondo Diener (2006), sarebbero tre gli aspetti fondamentali che caratterizzano l’ambito del benessere soggettivo. Per prima cosa il benessere è un’esperienza soggettiva delle persone; secondo non si tratta solo di assenza di aspetti negativi, ma anche di misure positive; terzo la misura del benessere soggettivo include una valutazione globale, piuttosto che una limitata valutazione di un aspetto della vita (Diener 2009).

Nel 1984 Diener ha apportato una distinzione tra processi top-down e processi bottom-up che influenzano il benessere. L’interesse principale delle prime formulazioni teoriche era rivolto ai fattori bottom-up, ovvero agli eventi esterni, alle situazioni e agli aspetti demografici che potevano avere un’influenza sul benessere. Questo tipo di approccio è stato costruito sull’idea di Wilson (1967) secondo cui ci sono bisogni umani di base e universali, e secondo cui se si verificano delle situazioni che permettono alle persone di soddisfare questi bisogni, queste persone saranno felici. Sulla base delle sue ricerche Wilson (1967) è arrivato alla conclusione che una persona si può definire felice se è “giovane, in salute, con una buona educazione, ben pagata, estroversa, ottimista, priva di preoccupazioni, religiosa, sposata con una persona con elevata autostima, di modeste aspirazioni e molto intelligente”. A conferma di questa teoria è stato mostrato che l’esperienza quotidiana degli eventi piacevoli è legata all’affetto positivo, mentre l’esperienza di quelli spiacevoli è legata all’affetto negativo (Stallings et al., 1997). Tuttavia alcuni ricercatori hanno trovato che i fattori demografici (come l’età, il sesso, la razza, l’educazione ecc.) spiegano meno del 20% della varianza del benessere soggettivo (Campbell, Converse & Rodgers, 1976).

A causa di questi risultati, a partire dalla fine degli anni ’90 i ricercatori decisero di volgere i propri interessi non più esclusivamente alla semplice descrizione delle caratteristiche demografiche che correlano con il benessere soggettivo, ma alla comprensione dei processi che sottostanno alla felicità, e quindi si avvicinarono all’approccio top-down per spiegare la variabilità nel benessere soggettivo.

Uno dei più forti predittori del benessere soggettivo è la variabile di personalità. I tratti che hanno ricevuto una maggiore attenzione a livello teorico ed empirico sono quelli di estroversione e nevroticismo. Costa e McCrae (1980) affermano che l’estroversione influenza l’affetto positivo, mentre il nevroticismo influenza l’affetto negativo. Le relazioni tra estroversione e affetto positivo, e tra nevroticismo e affetto negativo sono così forti e attendibili che Watson e Clark (1997) hanno classificato il tratto di estroversione come un aspetto centrale dell’affettività positiva e il tratto di nevroticismo come affettività negativa, inoltre propongono che i nevrotici e gli estroversi abbiano una suscettibilità innata verso le esperienze di affetto negativo e positivo, rispettivamente. Questa affermazione è basata sulla teoria della sensibilità al rinforzo di Gray (1991) secondo cui la responsabilità della maggior parte delle differenze individuali nella personalità risiede nei due sistemi cerebrali: il sistema di attivazione comportamentale sensibile ai segnali di ricompensa e di non punizione e che controlla l’attivazione del comportamento, e il sistema di inibizione comportamentale sensibile ai segnali di punizione e responsabile dell’inibizione del comportamento quando è presente una minaccia della punizione.

Basandosi sulle teorie di Gray, Lucas et al. (1998) suggeriscono che gli estroversi sono molto sensibili alle ricompense e che questa sensibilità si manifesta nella forma di un più grande affetto positivo quando queste persone sono esposte a stimoli di ricompensa.

Le persone che hanno livelli di benessere soggettivo elevati sono coloro che attribuiscono maggiori valutazioni positive agli eventi e alle circostanze della loro vita. La gente che, invece, è infelice tende a valutare la maggior parte dei fattori della propria vita come pericolosi o ostacolanti il raggiungimento dei propri obiettivi. La soddisfazione nei confronti della vita è un giudizio globale che le persone danno nel considerare la propria vita come un tutto, mentre la componente edonica del benessere soggettivo rappresenta la maggior parte delle volte il crescente affetto positivo, dovuto alla valutazione positiva degli eventi in corso, e il meno frequente affetto negativo che risulta dalle poche valutazioni negative (Diener, 2009).

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