Come Curare la Depressione Senile: psicoterapia, cura, rimedi

depressione anziano

Indipendentemente dalla psicopatologia depressiva, la psicoterapia ha trovato molta difficoltà ad affermarsi come trattamento della psicopatologia senile e la sua efficacia è stata sottovalutata per lungo tempo, a causa di varie motivazioni (Hercek, De Leo & Bahro, 2001). Innanzitutto si è pensato che l’anziano presenti una maggiore difficoltà al cambiamento, che costituisce l’obiettivo della psicoterapia stessa, per le caratteristiche personologiche ormai consolidate dell’età; inoltre in ambito psicoanalitico, lo stesso Freud sosteneva che la psicoanalisi non fosse utilizzabile in tutte le condizioni di sofferenza psicologica e vi escludeva i casi di grave malattia psichiatrica, la sofferenza psicologica dei bambini e quella degli anziani, poiché considerava l’invecchiamento come un processo regressivo, caratterizzato dall’ investimento oggettuale della libido sull’Io stesso; tale condizione di narcisismo non era quindi adatta alla terapia psicoanalitica stessa (Spagnoli & Pierri, 2001). Un’altra motivazione è dovuta al fatto che il primo passo fondamentale per la psicoterapia è quello di prendere consapevolezza della propria sofferenza e di attribuire a quest’ultima un significato, invece, come già indicato, nell’anziano tale consapevolezza viene oscurata, ad esempio attribuendo i sintomi depressivi al processo di invecchiamento (Moser, Pezzati & Luban-Pozza, 2002). Questo comporta che nel caso della depressione, l’anziano è molto più propenso rispetto al giovane adulto a sottoporsi al trattamento farmacologico e ad avere poca fiducia e speranza, che i sintomi vengano trattati o perlomeno attenuati dalla psicoterapia (Blazer, 2000). Senza contare che l’ingresso in terapia potrebbe rappresentare un ostacolo, perché simbolicamente andrebbe ad accentuare ancor più l’eventuale condizione di dipendenza dell’anziano, una dipendenza psicologica dall’altro, lo psicoterapeuta, che potrebbe essere concepito come un estraneo, come troppo giovane e quindi distante dall’anziano stesso (Moser et al., 2002). Inoltre, nel 1991 il National Institute of Health aveva stabilito che gli interventi di tipo psicosociale per il trattamento della depressione senile dovessero costituire un’alternativa, dopo il trattamento farmacologico e la terapia elettroconvulsiva (Hereck et al., 2001).

Oggi, però, non si dubita più sulla possibilità di trattare la psicopatologia dell’anziano con la psicoterapia, grazie anche a tutti i cambiamenti, già citati[1], avvenuti in ambito scientifico, sociale e culturale, che hanno permesso una maggiore attenzione alla terza età; nel caso specifico della depressione senile, la stessa frequente manifestazione di sintomi depressivi che non sfociano in vero e proprio quadro clinico rendono incerto l’utilizzo della terapia farmacologica, contribuendo così a volgere lo sguardo al trattamento psicoterapeutico (Hereck et al., 2001). Inoltre, studi come quello compiuto da Pinquart, Duberstein e Lyness (2006) hanno dimostrato che dal confronto tra psicoterapia e farmacoterapia per il trattamento della depressione senile, non sono emerse differenza significative in termini di efficacia che potrebbero portare ad escludere la psicoterapia stessa come forma di trattamento; i ricercatori indicano, quindi, che l’eventuale scelta tra i due trattamenti deve essere compiuta basandosi su criteri come gli effetti collaterali degli antidepressivi e la considerazione delle preferenze stesse del paziente.

A causa di tutte queste ragioni, come nel caso della valutazione clinico-diagnostica, l’invio dell’anziano alla psicoterapia viene compiuto nella maggioranza dei casi dai familiari, nella misura in cui credono e hanno fiducia nella possibilità del loro caro di elaborare la sua sofferenza e intravedere la possibilità della costruzione di un nuovo equilibrio anche in questa fase di vita (Moser et al., 2002). Questo genere d’invio potrebbe influire sia sullo psicoterapeuta che sul paziente, che potrebbero sentirsi appesantiti e caricati dalle aspettative degli invianti; la costruzione dell’alleanza terapeutica con l’anziano risulta così fondamentale, come il condurre da parte dello psicoterapeuta rapporti chiari e trasparenti con i familiari, per non rilegare l’anziano in un ruolo marginale, limitandolo alla posizione di un oggetto da curare (Hereck et al., 2001). Inoltre, più il rapporto di attaccamento dell’anziano con i suoi familiari poggerà su basi sicure, maggiore sarà la motivazione e il coinvolgimento dell’anziano stesso nella psicoterapia, alla luce non solo del fatto che l’invio è stato fatto dai familiari, ma anche della questione della relazione di tipo assimetrico, che come già trattato nel caso della valutazione clinico-diagnostica, costituisce un potenziale ostacolo anche in ambito psicoterapeutico (Scocco et al., 2001). Infatti, nel caso della psicoterapia la differenza di età tra psicoterapeuta e anziano può portare, come indicano De Leo e Diekstra (1990), a una situazione di transfert “inverso”, per il quale l’anziano potrebbe concepire lo psicoterapeuta, in quanto più giovane, come il figlio o il nipote ideale, soprattutto all’inizio della terapia; poi con la costruzione dell’alleanza, tale transfert lascerà il posto a quello “normale”. Quindi aldilà dell’orientamento psicoterapeutico del clinico, i presupposti sui quali costruire una buona alleanza terapeutica sono quelli di riflettere insieme al paziente la possibile distanza da lui percepita nell’internazione con lo psicoterapeuta, oltre all’affrontare non solo tematiche direttamente riconducibili al quadro depressivo, ma anche il pensiero dell’anziano circa il suo stato di sofferenza, come quest’ultimo viene percepito, in relazione ai suoi familiari e al contesto affettivo che lo circonda (Hereck et al., 2001).

Wolferdorf (1997) indica dei possibili errori nei quali lo psicoterapeuta potrebbe cadere nel trattamento della depressione senile: il mostrare riluttanza (come nel caso del colloquio clinico) nel parlare di tematiche legate alla morte e alla malattia oppure legate alla questione del senso della vita; il cadere nell’errore di concepire sintomi depressivi al normale processo di invecchiamento; trascurare i sintomi di tipo somatico o cognitivo che il paziente manifesta, limitandosi a quelli affettivi. Infatti, un’attenzione particolare deve essere prestate alle tematiche legate alla percezione del corpo presentate dall’anziano stesso, perché, come già indicato, la sfera corporea può diventare un luogo di preferenza della manifestazione dei contenuti depressivi e le tematiche ad esso legate potrebbero caratterizzare tutto il percorso delle terapia e costituire una base di partenza dell’inizio del lavoro terapeutico (Moser et al., 2002).

Durante la terapia, lo psicoterapeuta dovrà inoltre accogliere di buon grado le tematiche portate dal passato, perché la psicoterapia rappresenta sempre un luogo all’interno del quale incentivare la ritualizzazione del passato alla luce del presente, per favorire la continuità della narrazione del soggetto, il quale esiste nell’accezione più fenomenologica del termine, poiché è in grado di narrare una continuità della storia, la sua storia (Moser et al., 2002).

Altre tematiche possibili affrontate potrebbero essere quelle affettive, legate al rapporto con il coniuge deceduto, considerando che la condizione di vedovanza e il lutto sono alcuni dei fattori di rischio della patologia depressiva in età senile o le tematiche di perdita dell’autonomia, che comporta il crescente bisogno di assistenza dai caregiver (Moser et al., 2002).

Come’è stato dimostrato da Sirey et al. (2001) tra gli obiettivi del trattamento rientra, anche, l’offrire aiuto al paziente nel ridurre e combattere la percezione della propria malattia mentale, infatti, i ricercatori hanno riscontrato che la compliance al trattamento farmacologico degli anziani con depressione risultava maggiore in presenza di determinate condizioni, tra le quali l’assenza di disturbi di personalità, la percezione della propria malattia come poco severa e soprattutto una minor percezione dell’anziano di stigma della malattia.

Da punto di vista del setting, la psicoterapia con il paziente anziano potrebbe comportare delle variazioni a quello classico, come avvenire nel domicilio del paziente o nelle strutture assistenziali, influendo così anche sugli obiettivi della terapia; nel caso in cui il paziente si trovi momentaneamente ricoverato in strutture, ad esempio in quelle riabilitative, l’obiettivo è sempre quello di lavorare e mantenere la relazione tra psicoterapeuta e paziente, mentre se lo stato della persona è invalidante occorrerà modificare gli obiettivi e prevedere strategie terapeutiche a seconda delle esigenze e delle condizioni dell’anziano stesso (Moser et al., 2002).

Il trattamento della depressione senile non potrà, anche nel caso della psicoterapia, limitarsi ai soli contenuti psicopatologici, occorrerà, dunque, che lo psicoterapeuta rimanga sempre aggiornato sullo stato di salute del paziente, mostrando disponibilità, anche a contatti con il medico curante o con lo psichiatra in caso di farmacoterapia aggiuntiva (Moser et al., 2002).

Scocco, Frank e De Leo (1999) indicano che le psicoterapie più efficaci nel trattamento della depressione senile sono la psicoterapia interpersonale e la terapia cognitivo comportamentale.

La psicoterapia interpersonale (IPT) è stata elaborata da Klerman,Weissman Rounsaville e Chevron (1984) e può essere utilizzata sia nella fase acuta che nella terapia di mantenimento.Tale approccio risulta particolarmente adatto alla trattamento del paziente anziano, in quanto è un terapia che si pone obiettivi a breve termine, che sono quelli preferiti in età senile, poiché l’anziano, in quanto tale, potrebbe sentire di non avere molto tempo a disposizione per raggiungere cambiamenti significativi nella propria vita (Scocco, De Girolamo & Frank, 2001). L’IPT mette in relazione l’insorgenza dei sintomi depressivi con le relazioni interpersonali attuali dell’anziano, focalizzandosi su di esse e riconoscendo che si sono comunque determinate sulla base delle prime esperienze infantili di vita (Scocco et al., 2001). Nell’IPT, il ruolo del terapeuta è attivo, quest’ultimo cerca di relazionarsi al paziente mostrando empatia con l’obiettivo di concentrarsi sulle problematiche interpersonali del paziente al di fuori delle terapia. Questo implica che non viene posta un’attenzione maggiore all’interpretazione di transfert rispetto a quella di controtransfert (Scocco et al., 2001).

Le modifiche dell’IPT dovute alla terapia del paziente anziano possono essere la riduzione del tempo della seduta, che solitamente è di 60 minuti, a 45-50 minuti per le difficoltà di attenzione già sopraindicate[2] e nei casi in cui la depressione si associa a deterioramento cognitivo occorre all’inizio della seduta fare un breve riepilogo delle questioni affrontate in quella precedente (Scocco et al., 2001).

L’IPT prevede un ciclo di15-20 sedute, a frequenza settimanale, con le ultime tre sedute ogni due settimane per facilitare il passaggio all’eventuale terapia di mantenimento (Scocco et al., 2001).

Per quanto riguarda le modificazioni relative alle tecniche, utilizzate dall’IPT per trattare l’anziano, esse prevedono ad esempio la riduzione del silenzio dell’esplorazione non direttiva, poiché l’anziano potrebbe interpretarlo come una mancanza di considerazione o di poco interesse da parte del terapeuta, mentre le tecniche direttive possono essere particolarmente incentivate, ad esempio, per fornire consigli diretti e pratici quando l’anziano ne mostra il bisogno (Scocco et al., 2001). Le modifiche in altre tecniche potrebbero riguardare il mostrare una certa cautela da parte dello psicoterapeuta nell’utilizzo della tecnica dell’analisi delle decisioni, infatti essa consiste nel valutare la capacità del paziente di prendere decisioni, presentando in seduta alcune tematiche legate ad esse, ma potrebbe indurre particolare ansia e disagio nell’anziano (Scocco et al., 2001).

Altre tecniche sono l’incoraggiamento all’affetto e la tecnica del confronto: la prima consiste nel considerare la repressione emotiva del paziente, anche se solitamente nell’anziano questa non è predominante, ma emerge comunque un coinvolgimento emotivo del paziente in affetti negativi, di fronte ai quali deve essere aiutato a controllarli e comprenderli; la tecnica del confronto prevede la correlazione tra l’esperienza del paziente a quella del terapeuta stesso, che potrebbe apparire inadeguata alla luce della differenza di età tra psicoterapeuta e anziano, ma la relazione con il terapeuta potrebbe essere l’unica relazione che il paziente ha con una persona più giovane ed essere così considerata preziosa (Scocco et al., 2001).

Per quanto riguarda le strategie previste dall’IPT, esse sono differenziate in base alla fase del trattamento. In quella iniziali, dopo aver identificato assieme al paziente il disturbo depressivo, dovrà essere considerata quale delle quattro aree problematiche tra il lutto irrisolto, le transizioni di ruolo, i contrasti di ruolo e i deficit personali, sono maggiormente legate alla depressione, anche se è molto probabile che ve ne sia più di una; in ogni caso dovrà essere considerata quella che si associa all’ultimo episodio depressivo (Scocco et al., 2001).

Successivamente, infatti, nelle sedute intermedie il lavoro psicoterapeutico sarà focalizzato sulle aree identificate, ad esempio, nel caso del lutto l’elaborazione di questo può costituire il lavoro principale terapeutico e come già indicato[3], il lutto potrebbe essere “anticipato”, “differito” o dovuto a una perdita dello stato dell’autonomia, oppure potrebbe manifestarsi una reazione patologica o normale al lutto (Scocco et al., 2001). Di fondamentale importanza è incoraggiare il paziente a instaurare nuove relazioni sociali e discutere in seduta dell’esperienza di perdita (Scocco et al., 2001).

Le transizioni di ruolo rappresentano l’area tematica più affrontata in età senile e in questo caso il paziente potrebbe essere incoraggiato a superare la perdita di un ruolo precedentemente assunto, soprattutto perché l’anziano tende a percepire la transizione da un ruolo all’altro come un passaggio a suo sfavore, che comporta una “perdita”, proprio per questo deve essere aiutato a vederlo come più positivo e come una nuova possibilità da cogliere (Scocco et al., 2001). Le transizioni di ruolo dell’età senile sono rappresentate da eventi di vita come il pensionamento, il matrimonio dei figli e la nascita dei nipoti, tra queste rientra, anche, il lutto costituito dalla perdita del Sé sano che caratterizza soprattutto gli anziani in cui la depressione si accompagna al deterioramento cognitivo; è quindi necessario affrontare tale condizione riflettendo sulle limitazioni di questo sulla sfera sociale e sul funzionamento di vita (Scocco et al., 2001).

Il lavoro terapeutico sui contrasti di ruolo, che si osservano secondo Kleirman et al. (1984) quando tra il paziente e una persona a lui significativa non vi è la stessa condivisione di aspettative, può risultare particolarmente complicato con il paziente anziano. Quest’ultimo, infatti, potrebbe attribuire il suo stato depressivo alle sue difficoltà relazionali con il coniuge o altri familiari, ma risulta difficile comprendere in che misura i sintomi depressivi siano dovuti a una minor tollerabilità dell’anziano stesso a queste difficoltà, se vi è realmente un aggravamento di tali contrasti o se la condizione depressiva è attribuibile ad entrambi le condizioni (Scocco et al., 2001). In tale caso occorrerà prendere in considerazione molto attentamente tali contrasti per comprendere quale sia l’obiettivo più adeguato alla singola situazione del paziente; l’obiettivo può limitarsi, anche, a sviluppare una maggiore tollerabilità dell’anziano di fronte a tali contrasti, piuttosto che incentivarne la modifica (Scocco et al., 2001).

Per quanto riguarda il lavoro sui deficit interpersonali, che nell’anziano possono determinare isolamento e ritiro sociale, essi sono dovuti a una pluralità di cause come la stessa psicopatologia depressiva o da condizioni di disabilità; in ogni caso l’obiettivo è quello di ridurre l’isolamento sociale del paziente, stimolandolo a instaurare nuove relazioni sociali e focalizzando l’attenzione su come le relazioni significative passate influenzino quelle del presente (Scocco et al., 2001). Questo può avvenire attraverso la relazione terapeutica, infatti, la figura dello psicoterapeuta e la relazione con esso può costituire la base da cui partire per esplorare i sentimenti positivi e negativi del paziente nella relazione con altri significativi (Scocco et al., 2001).

Le sedute conclusive sono dedicate alla discussione della fine della terapia e alla riflessione sui cambiamenti ottenuti, che possono essere anche minimi ma comunque fonte di soddisfazione, essendo il cambiamento ciò a cui si aspira nel lavoro terapeutico (Scocco et al., 2001). È possibile stabilire eventualmente un nuovo contratto per la terapia di mantenimento, che prevede le stesse tecniche e strategie ma con una nuova considerazione degli obiettivi e può prolungarsi per anni con sedute anche mensili (Scocco et al., 2001). La fine della terapia può costituire un potenziale lutto per il paziente, soprattutto per l’anziano che potrebbe avere scarse relazioni sociali (Scocco et al., 2001). In questa fase finale, il passaggio da uno stato depressivo a un progressivo stato di benessere può avvenire attraverso il viraggio “pseudomaniacale”, in cui il paziente manifesta un cambiamento improvviso evidente, nel quale compie azioni considerate impensabili per lo stesso fino a prima, poiché il superamento dello stato depressivo stesso viene percepito dal paziente come un’esperienza totalmente nuova, alla quale poi segue l’acquisizione graduale dello stato di consapevolezza della persona e la costruzione di un nuovo equilibrio (Scocco et al., 2001).

L’altra psicoterapia già citata per il trattamento della depressione senile è la psicoterapia cognitiva comportamentale (TCC), elaborata inizialmente da Beck, Rush, Shaw ed Emery (1979). Essa è una psicoterapia strutturata e limitata nel tempo, di durata di circa venti sedute in quattro mesi, che concepisce lo stato depressivo come dovuto a percezioni negative della realtà e degli avvenimenti di vita (Bizzini, 2001). La TCC prevede che paziente e terapeuta collaborino insieme, per favorire la consapevolezza del paziente del proprio stato depressivo e per incentivare nuove modalità di concepire se stesso, il mondo e gli altri. Ciò può avvenire attraverso l’utilizzo sia di tecniche comportamentali, come per esempio affidare compiti pratici da svolgere al paziente tra una seduta e l’altra, sia con l’utilizzo di tecniche di tipo cognitivo, come l’evidenziare i pensieri automatici del paziente e l’individuazione di pensieri alternativi (Bizzini, 2001).

Per il trattamento della depressione senile, il protocollo della TCC è lo stesso utilizzato nel trattamento della depressione con i pazienti giovani adulti, ma tale approccio psicoterapeutico non trascura o nega le differenze che il paziente anziano presenta, in quanto tale, poiché coinvolto nel processo di invecchiamento. Il protocollo classico prevede inizialmente l’instaurarsi dell’alleanza terapeutica di tipo collaborativo, che vede paziente e terapeuta impegnati nella ricerca degli obiettivi da raggiungere al momento presente, individuando la miglior soluzione di problemi presentati dal paziente, al fine anche di aumentare il senso di autoefficacia della persona stessa (Bizzini, 2001). Nel caso dell’anziano, questo viene successivamente incoraggiato a riprendere in maniera graduale le attività piacevoli, che a causa dello stato depressivo ha interrotto e ad instaurare relazioni interpersonali, che potrebbero essere molto deficitarie a causa dell’isolamento della persona stessa (Bizzini, 2001). Come nel caso del paziente giovane adulto, il terapeuta s’impegna nell’esplicitare il modello cognitivo della depressione, ma ciò avviene attraverso l’utilizzo di strumenti indispensabili per affrontare le limitazioni del paziente dovute all’età, come la lavagna o strategie pratiche, come la semplificazione del linguaggio da parte dello psicoterapeuta, che eviterà un lessico complesso e tecnico. Fondamentale è anche l’esplorazione delle cognizioni negative dell’anziano, soprattutto quelle che fanno riferimento all’invecchiamento, alle limitazioni che questo comporta e all’eventuale perdita di autonomia con la conseguente dipendenza da altri (Bizzini, 2001). Gli obiettivi, inoltre, riguardano l’incentivare l’anziano a strategie pratiche, come l’autosservazione sui propri pensieri favorendo il legame con l’aspetto emotivo e il ricostruire la storia personale dell’anziano stesso. La TCC prevede interventi pratici e focalizzati sul presente, che, oltre a risultare efficaci, sembrano costituire un incentivo per l’anziano stesso ad accettare di buon grado tale tipo di approccio psicoterapeutico (Bizzini, 2001).

La TCC insieme alla psicoterapia interpersonale rappresentano solo due delle tante possibilità terapeutiche da utilizzare per trattare la psicopatologia depressiva in età senile. Al dilà del tipo di orientamento dello psicoterapeuta e delle strategie utilizzate, il trattamento risulterà efficace solo nella misura in cui il terapeuta sarà in grado di favorire un clima di empatia con il paziente anziano, soprattutto per non cadere nel paradosso di un clinico schiavo delle sue teorie dinnanzi a un paziente fondamentalmente schiavo dei suoi sintomi (Bove, 2009).

 

[1] Cfr. paragrafo 1.1

[2] Cfr. paragrafo 1.1.

[3] Cfr. paragrafo 3.1.

di Vittoria Cerreti

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